venerdì 16 gennaio 2009


La gioia amara degli africani «Adesso deve dirci perché»

VINCENZO AMMALIATO «Questo per noi è un grande giorno». Sammy Sangru, immigrato tanzaniano che vive sul litorale domizio da dieci anni e amico di tutte e sei vittime ghanesi trucidate a Castelvolturno quattro mesi fa, non sta più nella pelle. Ha appreso telefonicamente dell’arresto del capo della banda che lo scorso 18 settembre eseguì il raid di morte al chilometro 41 della Domiziana. A telefonargli, alle 17, è stato un suo connazionale che vive a Modena, e che a sua volta aveva saputo dell’operazione delle forze dell’ordine dal giornale radio. «Subito dopo - dice Sammy - è stato un susseguirsi di numerose telefonate fra noi immigrati delle varie comunità presenti in zona. Sono state tutte conversazioni concitate e, soprattutto, tutte telefonate di gioia». Attendevano da quasi quattro mesi questa notizia gli extracomunitari del litorale. Clandestini e regolari, gli immigrati della Domiziana da quella maledetta sera del 18 settembre si sentivano tutti dei potenziali bersagli della camorra. «Ringraziamo lo Stato italiano per la veloce risposta che ha dato contro questi feroci criminali - ha detto Jaw Asabre, fratello di uno delle sei vittime ghanesi— «Finalmente dopo quattro lunghi mesi, possiamo tornare a sorridere». Giubilo e sollievo, quindi, fra gli immigrati di Castelvolturno. Nei loro occhi non si legge più solo paura e scoramento. E nei loro animi pare non esserci spazio neanche per la sete di vendetta. «Che la giustizia italiana - ha detto Samuel, un giovane ghanese che condivideva la casa con una delle vittime della strage di San Gennaro - faccia adesso il suo corso. Noi, ha aggiunto, chiediamo solo di conoscere i motivi che hanno spinto queste persone ad esplodere contro i nostri fratelli centocinquanta colpi d’arma da fuoco. Ci devono dire perché». Gli immigrati della Domiziana da quella sera di settembre non riuscivano più a darsi pace. «Perché la camorra italiana ha massacrato sei ragazzi ghanesi venuti in Italia solo per lavorare onestamente?». Lo chiedevano ai giornalisti venuti di ogni parte d’Italia e d’Europa per intervistarli. Lo chiedevano alle forze dell’ordine che li interrogavano per avere maggiori dettagli sulla vita dei ghanesi morti. Fra qualche giorno, forse, potranno avere finalmente delle risposte. Anche l’Iman della moschea di San Marcellino, Nasser Hiouduri, si è detto sollevato nello spirito alla notizia della cattura di Giuseppe Setola. «I nostri fratelli morti a Castelvolturno potranno finalmente riposare più in pace. La speranza, adesso - ha detto l’Iman - è che possano finalmente mettersi tutti i puntini sulle i, conoscendo i motivi della strage, in modo tale che gli immigrati che vivono in zona possano trascorrere le proprie giornate più serenamente». «Anche io, questa sera - dice il tanzaniano Sangru - tornerò finalmente più sereno a casa, e potrò accarezzare i miei due figli sperando per loro in un futuro migliore anche in questa parte d’Italia. Da fine settembre avevo smesso di sperare».



15/01/2009

«Castelvolturno volta pagina»
«Una grande vittoria dello Stato, ora si volta pagina». Ha commentato così il primo cittadino di Castelvolturno, Francesco Nuzzo, la cattura di Giuseppe Setola. «Una vittoria, però - ha aggiunto il sindaco-magistrato - che va accolta con estremo rispetto». Quello appena trascorso è stato un anno particolarmente difficile per Castelvolturno e per i suoi cittadini con ben quindici omicidi di matrice camorristica avvenuti nei confini comunali. Non meno facile è stato, ovviamente, per il primo cittadino del posto. Due settimane dopo la strage di San Gennaro sulle mura della casa comunale comparvero anche delle scritte particolarmente offensive nei confronti del sindaco Nuzzo e altre inneggianti alla sua morte. «In questo momento di festa, però - ammonisce Francesco Nuzzo - non bisogna abbassare la guardia, anzi». Due le priorità dal primo cittadino per il suo territorio. «Innanzitutto - dice - che lo Stato e le sue istituzioni comprendano che Castelvolturno non è solo un problema di ordine pubblico, ma soprattutto di carattere sociale. E poi che la gente comune collabori». v.a.

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