sabato 24 ottobre 2009

Due proiettili in una busta per i servizi sociali

Una busta contenente due proiettili calibro 22 e un messaggio anonimo indirizzato al dirigente dei servizi sociali del Comune che lascia poco all'immaginativa («Sei una persona morta»). La missiva è giunta ieri mattina all'ufficio protocollo del municipio di Castelvolturno, ed è stata immediatamente consegnata ai carabinieri. I militari hanno ascoltato gli addetti dell'ufficio affari sociali, senza, però, riuscire ad avere elementi utili per le indagini. «Di minacce più o meno velate e di insulti, hanno detto i dipendenti dell'ufficio ai militari dell'arma, ne subiamo in continuazione, quasi quotidianamente e da moltissime persone». Castelvolturno è un territorio dove il disagio socioeconomico è una costante. Negli ultimi periodi, poi, stando alle sempre più pressanti richieste ricevute dall'ufficio affari sociali, la povertà fra le gente del posto è andata aumentando in maniera esponenziale. E i problemi di bilancio dell'ente gestito dal sindaco Nuzzo non sempre hanno permesso di soddisfare mantenere gli impegni assunti. La lettera adesso è nelle mani dei Ris per analizzare eventuali presenze di impronti digitali. vi. am.

24/10/2009 Dopo le minacce ufficio deserto
In ferie la dirigente che ha ricevuto i proiettili
VINCENZO AMMALIATO Il giorno dopo la lettera minatoria alla dirigente del settore Affari sociali l’ufficio si presenta vuoto. Ufficialmente la dirigente è in ferie. Per lei le forze dell’ordine non hanno predisposto forme particolari di tutela, perché seppur non minimizzano la portata dell’atto non ritengono che possano esserci reali rischi per la sua incolumità. Con l’assenza della dirigente l’ufficio si trova completamente sguarnito, in quanto la destinataria delle minacce era l’ unica addetta del settore. «Da tempo, sottolinea Rosalba Scafuri, l’assessore agli Affari sociali del Comune di Castelvolturno, la dirigente dell’ufficio chiedeva supporto. Si trovava a dover gestire una mole di lavoro eccessiva per un solo dipendente. Per questo stavamo pensando a un bando di soccorso per l’assunzione di una seconda assistente sociale». Evidentemente, è arrivata prima la busta anonima con le minacce e i bossoli di proiettili. Quello del settore agli affari sociali è un ufficio particolarmente delicato per il Comune di Castelvolturno. Nonostante il paese conti poco più di ventimila residenti, all’ufficio in questione giungono decine di richieste d’ interventi al giorno. I minori in difficoltà affidati dal Comune alle case famiglie, ad esempio, sono ben trentasette. Diciassette di questi sono ospitati dal Centro Laila, la comunità gestita da Angelo Luciano che vanta crediti dal Comune di Castelvolturno per svariate decine di migliaia di euro e alla quale non sono pagate le rette dei minori da numerosi mesi. Il bilancio di previsione del municipio di Castelvolturno per il 2009 prevedeva un impegno spesa di circa seicentomila euro a favore dei minori in difficoltà. «Quattrocentoventimila di questi, fa sapere l’assessore Scafuri sono stati impegnati, ma non elargiti del tutto. Solo una piccola parte è stata realmente spesa in quanto alla cassa comunale manca liquidità». Peraltro, i responsabili della ragioneria dell’ente di piazza Annunziata non riescono neanche ad individuare i capitoli di spesa per impegnare i restanti duecentomila euro necessari per arrivare a fine anno. Per questo, lo scorso mese è stata soppressa l’annuale gita a favore degli anziani per recuperare ottantamila euro. “Senza l’apporto delle istituzioni centrali, denuncia Rosalba Scafuri, non riusciremo a superare questa che è una vera e propria emergenza». Da Castelvolturno gli amministratori si lamentano anche del fatto che l’assessore regionale agli Affari sociali, De Felice, promise due mesi fa durante un convegno un intervento speciale per il litorale di centomila euro. Ma dalla Regione non è giunto ancora alcun contributo. Intanto, l’ufficio affari sociale ieri e rimasto chiuso e chissà ancora per quanti giorni non andrà in funzione, facendo aumentare il disagio dei più deboli sul territorio. © RIPRODUZIONE RISERVATA

venerdì 16 ottobre 2009

Il lunapark dei bracconieri, Lipu parte civile


16/10/2009
Tra gli imputati anche Terracciano uomo di Setola e attore di Gomorra VINCENZO AMMALIATO L’accusa è quella di essersi impadroniti in modo illecito di un’ampia fetta di territorio in buona parte demaniale. Il processo prende il via oggi al tribunale di Santa Maria Capua Vetere con l'udienza preliminare. Alla sbarra ci saranno quattordici persone, fra le quali Carmine Schiavone, il primo collaboratore di giustizia del clan dei Casalesi; e Bernardino Terracciano, attore per hobby (nei film L’Imbalsamatore e Gomorra), camorrista di professione secondo la Dda che lo fece arrestare nell'ottobre dello scorso anno con l’accusa di essere il collettore delle tangenti sul litorale domizio agli ordini del killer Peppe Setola. I reati contestati sono numerosi: associazione a delinquere ai danni dell’ambiente e della collettività, bracconaggio, utilizzo illegale delle acque, truffa a enti pubblici,lottizzazione abusiva, danni alla rete idrica, occupazione di aree demaniali. L’inchiesta, denominata «Volo libero», portò nel gennaio del 2005 al sequestro di circa quaranta specchi d’acqua realizzati abusivamente drenando l’acqua del consorzio di bonifica al confine fra i Comuni di Villa Literno e Castelvolturno. Qui, fu realizzata una sorta di luna park della doppietta, destinato a cacciatori senza scrupoli con il desiderio di imbracciare il fucile in qualsiasi periodo dell’anno (anche quando la caccia era chiusa) e di mirare a ogni tipo d’uccello, anche quelli appartenenti a specie protette. «Addirittura - denuncia la Lipu - i cacciatori delle Soglietelle sparavano agli uccelli migratori e anche ai fenicotteri rosa». La Lipu, peraltro, stamane si costituirà parte civile nel processo. «Lo facciamo - sottolinea Matteo Palmisani, dirigente della Lipu - per dare voce alle settemila persone che hanno aderito a una nostra specifica petizione». Ma la sorte delle Soglietelle non si fermerà ai risultati del dibattimento processuale. «Per l’area - denuncia Rino Esposito, consigliere regionale della Lipu - c’è ancora molto da fare. La Regione Campania nel 2006 inserì le Soglietelle all’interno di un parco naturale, per dare vita a una specifica zona di protezione degli uccelli migratori. Oggi, purtroppo, Soglietelle è una sorta di discarica a cielo aperto per rifiuti d’ogni tipo». E intanto, sempre in materia ambientale, i carabinieri del Noe hanno arrestato a Marcianise Pasquale Di Giovanni, 51 anni, nell’elenco dei 100 latitanti più pericolosi, ricercato dal 28 naggio scirso, quando furono eseguiti i provvedimenti dell’operazione «Giudizio Finale», indagine della Dda di Napoli nei confronti di Salvatore Belforte. L’indagine ha segnato una tappa fondamentale nella lotta alla criminalità organizzata, riuscendo a dimostrare come esponenti apicali di clan camorristici da lungo tempo si sono inseriti nella gestione dei rifiuti mediante società direttamente da loro gestite: è il caso ad esempio della Sem, direttamente controllata dal clan Belforte per mezzo proprio di Pasquale Di Giovanni, promotore e organizzatore inoltre dell’associazione a delinquere nei settori del traffico illecito organizzato dei rifiuti e nel riciclaggio e reimpiego di capitali di illecita provenienza, nonché partecipe nel settore delle estorsioni. La Sem aveva la capacità di stringere alleanze con analoghe società, riferibili ad altri gruppi camorristici e operanti nel medesimo settore, riuscendo adottenere appalti pubblici anche grazie alla compiacenza di pubblici funzionari seppure in assenza delle necessarie iscrizioni, come nel caso degli appalti aggiudicati per le bonifiche di alvei di corsi d’acqua in Campania. L’attività di indagine si era focalizzata sull’analisi del settore dei rifiuti e aveva consentito di appurare che il clan Belforte aveva assunto, anche in questo ambito e accanto ai settori tradizionali (racket e usura), una posizione dominante. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Camorra, a fuoco il bar della famiglia Cerci

Castelvolturno: esplosione nella notte in viale Gramsci, distrutto il locale della parente di Bidognetti
Forse un avvertimento dei nuovi esattori del racket ma non si esclude la truffa
Sgomberati i due piani della palazzina abitata in prevalenza da africani Solai a rischio di crollo
VINCENZO AMMALIATO Un boato nel cuore della notte. Un botto seguito dal crepitio delle fiamme che si sono alzate alte, illuminando a giorno viale Gramsci e Destra Volturno. Era da poco passata l’una della scorsa notte quando un’esplosione ha distrutto il bar «Titos». Alcune persone hanno rotto la finestra del locale buttando all’interno benzina e appiccando il fuoco. Il bar è saltato in aria per via della compressione dell’anidride carbonica nella stanza. Il fuoco ha fatto il resto: il rogo, infatti, ha provocato la distruzione dell’intero locale e creato problemi di stabilità al fabbricato di due piani. Un incendio doloso, hanno concluso i vigili del fuoco dopo il sopralluogo. Provocato da un liquido infiammabile, verosimilmente benzina. Ma c’è ancora da lavorare parecchio per ricostruire con esattezza, al di là di quanto appreso dalle scarne testimonianza, dinamiche e movente dell’attentato. La prima ipotesi è che si tratta di un danneggiamento provocato da mano camorrista. Il «Titos», infatti, è di proprietà di Angelina Cerci, nipote di Gaetano Cerci, arrestato l’ultima volta il 12 agosto scorso mentre partecipava a un summit nella sua villa di Casal di Principe. In questo caso, si tratterebbe di un messaggio intimidatorio a Gaetano Cerci, nipote acquisito di Francesco Bidognetti, suo rappresentante nel consiglio di amministrazione dell’ecomafia. Era proprio lui, tra il 1991 e il 1993, a garantire i rapporti tra i Casalesi e la massoneria toscana; lui a tenere i contatti con Licio Gelli. Ma non risulta che stia collaborando con la magistratura. La proprietaria del locale ha riferito ai carabinieri della compagnia di Mondragone, che stanno seguendo il caso, di non aver subito alcuna richiesta estorsiva, né di aver avuto problemi con nessuno. Gli investigatori, comunque, ci vanno cauti: «L’incendio potrebbe anche essere stato causato da un corto circuito e successivamente si sarebbe potuta verificare un’autoesplosione», ipotizzano. Ma in realtà la pista alternativa che stanno verificando è che possa essersi trattato di un attentato «autocommissionato», finalizzato a incassare il premio assicurativo. L’esplosione, come dicevamo, è stata percepita da decine di persone. Il bar era chiuso ma nel palazzo dormivano decine di persone, quasi tutti cittadini africani. Adesso sono sfollati: i vigili del fuoco hanno sgombrato l’intero edificio, perché c’è il rischio che possano crollare addirittura i solai. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Attentato al locale di Cerci c’è la pista della vendetta
15/10/2009
Attesa la relazione dei vigili del fuoco Sospetti pure sugli albanesi
VINCENZO AMMALIATO La relazione tecnica dei vigili del fuoco non è ancora arrivata alla compagnia dei carabinieri di Mondragone che stanno seguendo il caso, ma i militari dell’Arma sono sempre più convinti che l’ipotesi dell’incendio avvenuto per motivi accidentali sia poco verosimile. Ieri, a Destra Volturno, i carabinieri hanno eseguito un nuovo sopralluogo in quello che resta del Bar Titus, completamente distrutto da un incendio la notte fra domenica e lunedì; e il veloce propagarsi delle fiamme rende assai probabile la mano dolosa alla base del rogo. L’allarme, infatti, è stato lanciato dagli abitanti dello stabile dove era ospitato il bar immediatamente dopo l’esplosione. I vigili del fuoco hanno impiegato una ventina di minuti per giungere sul posto, ma a quel punto era rimasto già ben poco da salvare del bar che occupava una superficie di oltre cento metri quadrati. «Al momento, però, restano in piedi, comunque tutte le ipotesi», fanno sapere i carabinieri: incendio appiccato perché i gestori del locale non hanno accondisceso alle richieste del racket; per intimidazione nei confronti di Gaetano Cerci, parente della titolare del bar, Angelina Cerci; incendio autocommissionato per intascare un premio assicurativo. Una nuova pista, invece, porta a eventuali contrasti che i gestori del bar avrebbero potuto avere con qualche avventore del locale. Il Titus, per lo più nel periodo invernale, è frequentato soprattutto da cittadini albanesi, quelli che abitano le numerose ville del «ghetto», a nord del centro storico di Castelvolturno. In un altro bar di Destra Volturno, a poche decine di metri dal Titos, nell’agosto del 2008 furono freddati dal commando di Setola-Cirillo proprio due cittadini albanesi mentre erano seduti al tavolino intenti a bere una birra. © RIPRODUZIONE RISERVATA

martedì 13 ottobre 2009

Fuorilegge per nascita costretti all’ignoranza


Impiegati comunali obbligati alla denuncia a Castelvolturno si studia una soluzione
Né mensa né trasporti per i bambini degli irregolari
11/10/2009
VINCENZO AMMALIATO La prima volta, sei anni fa, fu l’amministrazione comunale Scalzone a bloccare temporaneamente il finanziamento. Adesso lo stesso stop è dovuto a un particolare emendamento del pacchetto sicurezza emanato dal governo. Niente scuola a Castelvolturno per i figli degli immigrati irregolari della Domiziana, e disparità evidente di trattamento con tutti gli altri bambini che vivono in zona; e il centro costiero torna a interrogarsi se sia legittimo che le responsabilità dei genitori debbano ricadere anche sui figli. Dall’ufficio agli affari sociali del municipio rivierasco fanno sapere che lo scorso anno sono stati una trentina i bambini figli di immigrati irregolari per i quali si è intervenuti annullando il ticket per la mensa e per i trasporti a causa dello stato d’indigenza della famiglia. «Quest’anno - denuncia l’assessore agli affari sociali del Comune di Castelvolturno, Rosalba Scafuro - questo tipo di procedura non può essere attuata perché il dipendente comunale a cui toccherebbe vagliare la pratica, in quanto pubblico funzionario, sarebbe tenuto a denunciare alle forze dell’ordine l’eventuale cittadino straniero sprovvisto di regolare permesso di soggiorno». E non sono mancati già i primi casi di bambini figli d’immigrati irregolari scoperti a non frequentare la scuola sul litorale. I loro nomi sono Rosy e Hope, hanno sei e otto anni, e sono due fratelli nati in qui in Italia da una coppia di immigrati nigeriani. Quest’anno non sono stati a scuola. «I due bambini - segnala un dirigente dell’associazione di volontariato Jerry Masso (nella foto il camper per l’assistenza) - vivono solo con la loro mamma, che attualmente si trova agli arresti domiciliari in un villino di Pescopagano. La donna, oltre a trovarsi in un profondo stato di indigenza economica, non ha ovviamente la possibilità di accompagnare i propri figli a scuola, perché soggetta a misura restrittiva. Non potendo beneficiare dell’annullamento del ticket perché immigrata irregolare, i due bambini restano come incarcerati a casa con lei e non riescono a frequentare la scuola, così come hanno potuto fare fino allo scorso anno». La differenza fra i bambini figli di immigrati irregolari della Domiziana e quelli, invece, nati da genitori con regolare permesso di soggiorno oppure da coppie di cittadini italiani sta tutta in un documento e nei settanta euro necessari a pagare il ticket per la mensa e il trasporto. «Non so ancora in che modo potremmo fare per non violare la legge - fa sapere l’assessore Rosalba Scafuro, ma studieremo al Comun,e di concerto con il sindaco Francesco Nuzzo ogni forma possibile per assicurare l’istruzione a qualsiasi bambino vive qui sul territorio di Castelvolturno». Intanto, l'anno scolastico è già cominciato da quasi un mese e tra qualche settimana arriveranno anche le festività natalizie. Chissà, se la risoluzione del problema sarà più veloce di Babbo Natale.
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Laghetti avvelenati, solo due da sequestrare

9/10/09Per gli altri venticinque specchi d’acqua non ci sarebbero rischi dovuti all’inquinamento
Castelvolturno: il ministero della Salute invia al Comune i risultati delle analisi sugli invasi abusivi
Se fossero confermate tali ipotesi sarebbe in qualche modo ridotto l’allarme

VINCENZO AMMALIATO Lanciato a fine estate, va sgonfiandosi a Castelvolturno l’allarme «laghetti tossici». I risultati ufficiali da parte dell’Asl non sono ancora arrivati negli uffici del Comune litoraneo, ma analizzando nel dettaglio l’articolato dossier preparato dalla ditta che ha effettuato le analisi sugli specchi d’acqua e comparando i dati con la tabella del ministero della Salute che stabilisce i limiti previsti dalla legge, emerge chiaro che per la quasi totalità dei laghetti presenti a est della via Domiziana l’immersione nelle acque non provoca alcun pericolo alla salute umana. Lo studio conferma anche che solo per due di questi, nello specifico due cave abbandonate, rappresentano un reale rischio ambientale, perché dalla caratterizzazione sono saltati fuori valori di alcuni agenti chimici estremamente alti. Solo qui, probabilmente, negli anni passati sono stati scaricati rifiuti speciali e forse anche quelli tossici. Per tutti gli altri venticinque laghetti, invece, i valori di inquinamento sono di molto al di sotto della soglia minima tollerata dalla legge: non c’è alcuna presenza di salmonella, e anche i valori dei pericolosi polofluorobifenili sono estremamente bassi. In pratica, l’esiguo inquinamento presente dovrebbe essere stato causato non dalla lunga mano delle ecomafie, ma prevalentemente dai continui roghi di pneumatici e materiali plastici che ormai sono divenuti endemici. Diversa la situazione per i due laghi contaminati (uno è quello che stato è prodotto nella ex cava Baiano), dove invece i valori inquinanti sono alti: una nota del ministero dell’ambiente parla chiaramente di «presenza di contaminanti di natura non organica, né agricola». Scorie chimiche e policarburi, dunque, pericolose per l’uomo e per le specie ittiche. A tal proposito, in attesa dell’ufficializzazione da parte dell’Asl dei risultati delle analisi, l’amministrazione comunale sta preparando le ordinanze sindacali per la delimitazione delle aree interessate, «che saranno firmate, assicura l’assessore alla sanità, Antonio Rainone, entro la prossima settimana». E alla luce degli ultimi dati in possesso del Comune di Castelvolturno, risulta sproporzionato anche l’allarme "spiagge al cadmio". Il pericoloso agente chimico, negli oltre trecento carotaggi effettuati durante le analisi degli specchi d’acqua, solo una manciata di volte ha raggiunto i due punti convenzionali di rischio. La tabella del ministero dell’Ambiente pone a quindici il limite consentito per la salute umana. Di «atto criminale nel divulgare notizie non confermate», ha parlato Tommaso Morlando, attuale dirigente di Italia dei Valori e ex assessore all’ambiente del Comune di Castelvolturno. Durante la sua carica, l’amministrazione litoranea riuscì a fermare le ventennale attività estrattiva (per lo più abusiva) che ha creato i laghetti. «In ogni caso - ha sottolineato - sarebbe stato utile al territorio e ai suoi abitanti conoscere da subito integralmente l’intero studio sui laghetti. E non lasciare che ne fosse fatta una speculazione». Dal Comune, intanto, fanno sapere che subito dopo avere avuto i dati ufficiali, partirà la bonifica delle aree. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Si prostituiva in casa con la figlia di 4 anni


07/10/2009
L’immigrata arrestata dai carabinieri in seguito ad un blitz in una villetta
Indagini in corso per tentare di risalire ai clienti della donna
VINCENZO AMMALIATO Quattro anni di vita. Nuda sul letto con indosso solo un reggiseno e col volto interamente truccato come un'adulta, intenta a giocare con alcuni profilattici; mentre il televisore acceso adagiato sul comò trasmetteva un film dal contenuto pornografico. Questa la raccapricciante scena che si è presentata la notte fra lunedì e martedì ai carabinieri di Castelvolturno che erano entrati in un'abitazione del posto per un controllo sulla prostituzione. Nei pressi di quel villino a metà strada fra Baia Verde e Castelvolturno da qualche giorno c'era un notevole via-vai di persone. I militari dell'arma sospettavano che all'interno dell'immobile ci fosse un giro di prostituzione e ci hanno voluto vedere chiaro. Ma mai avrebbero immaginato di trovare una situazione tanto aberrante. Al momento dell'irruzione dei carabinieri la bimba si trovava sul letto con la sua mamma, che si è resa conto della presenza degli uomini in divisa solo quando hanno fatto irruzione nella camera. Subito dopo il primo momento di evidente stupore, sono scattate per la donna le manette. Immigrata sprovvista di regolare permesso di soggiorno, originaria della Nigeria, la trentatreenne non aveva precedenti penali. Dopo gli accertamenti di rito alla caserma del centro storico è stata condotta al carcere di Pozzuoli con le pesantissime accuse di corruzione di minore e abusi sessuali su minore. Mentre la figlia è stata affidata ai servizi sociali del Comune di Castelvolturno. I carabinieri hanno disposto per lei anche visite mediche per verificare se avesse subito violenze sessuali. Per fortuna il loro esito è stato negativo. In ogni caso, l'abitazione dove viveva la donna nigeriana con la figlia è stata messa a soqquadro dalle forze dell'ordine per risalire ad eventuali suoi clienti e valutare le loro responsabilità. Pur se non aveva precedenti penali, infatti, i carabinieri già avevano segnalato l'immigrata sospettando che si prostituisse. E al momento del blitz immaginavano di sorprenderla con un cliente intenta in una prestazione sessuale. Invece, quello scoperto è stato ben diverso e molto più amaro. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Castelvolturno, gli scissionisti di Pinetamare

«I giovani di Pinetamare chiedono la scissione da Castelvolturno». Inizia in questo modo una lettera di un abitante del cento litoraneo, Vincenzo Lo Cascio, che parafrasando la Lega Nord chiede che il Comune sia diviso in due: una parte che mantenga lo stesso nome, quella individuata nel centro storico e i nei quartieri limitrofi nella zona nord. E l'altra, quella sud, dove abita lui e i suoi amici, che, una volta resa autonoma, sia chiamata «Comune di Pinetamare». Alla base della richiesta scissionistica apparsa su un periodico però, non ci sono eccezioni di natura etniche. È il malcontento nelle scelte degli attuali amministratori della cosa pubblica, troppo sbilanciati secondo lo scissionista castellano nei confronti della parte nord del territorio a scapito di quella sud. Il dibattito è particolarmente acceso ovviamente via web. «Abbiamo proposto un sondaggio in rete - dice Vincenzo Lo Cascio - e ben il 98% dei votanti, quasi mille, sono propensi per la scissione». E gli immigrati della Domiziana, qualora avvenisse la scissione, quale zona del territorio sceglierebbero? Vincenco Ammaliato © RIPRODUZIONE RISERVATA

Depuratore Hydrogest sotto accusa


02/10/2009
Rischi biologici la società non consegna agli operai la relazione: scoppia la rivolta
VINCENZO AMMALIATO L'estate e la lunga coda di polemiche sulla qualità delle acque del mare sono ormai un ricordo dei mesi caldi, ma i problemi agli impianti di depurazioni che sversano sul litorale domizio, quelli dei Regi Lagni, continuano senza sosta. Ieri gli operai della ditta che gestisce i depuratori, la Hydrogest, hanno bloccato il cantiere di Villa Literno, quello alla foce del canale borbonico, impedendo a chiunque l'ingresso all'impianto. Questa volta, però, ad innescare l'ennesima protesta degli addetti ai depuratori non sono i soliti ritardi nella corresponsione degli stipendi, ma i gravi rischi alla salute delle maestranze impegnate nei processi lavorativi denunciati nei mesi scorsi dalle rappresentative sindacali e che secondo i manifestanti non sarebbero stati presi in considerazione dalla dirigenza della Hydrogest. A far traboccare il vaso, la mancata consegna ai dipendenti dello studio sul rischio biologico. «La Hydrogest - denuncia Tammaro Tavoletta, segretario regionale Ugl Energia - ha detto di aver completato lo studio sul rischio biologico da qualche settimana, ma non intende consegnarlo né agli operai, né alle rappresentanze sindacali». Intanto, solidarietà agli operai in agitazione è giunta da più parti. Ai cancelli del depuratore ieri si sono visti i sindaci di Cancello e Arnone e di Succivo ed anche il consigliere regionale Angelo Polverino. Antonio Rainone, assessore con delega alla sanità al Comune di Castelvoturno, invece, tramite un comunicato ha fatto sapere di comprendere ed appoggiare i motivi che hanno spinto gli addetti della Hydrogest alla manifestazione, ma ha auspicato, al contempo, che non si arrivi ad un blocco dell'impianto che provocherebbe ben altri problemi all'intero territorio. Senza citarli direttamente, l'assessore Rainone, ha fatto riferimento ai danni all'ambiente e all'economia della zona provocati lo scorso giugno dall'azione degli operai del depuratore di Cuma, che per tre giorni, a causa di una rivendicazione sindacale, bloccarono l'impianto favorendo la fuoriuscita dei liquami. Dal fronte sindacale fanno sapere che l'agitazione andrà avanti ad oltranza fino a quando la Hydrogest non garantirà un tavolo di lavoro ma che il depuratore non sarà bloccato. © RIPRODUZIONE RISERVATA


07/10/2009

I DIPENDENTI DI VILLA LITERNO
Protesta in cima al depuratore
Erano in sedici. Sono saliti all'alba su uno dei quattro digestori in disuso dell'impianto di Villa Literno per attirare l'attenzione degli enti preposti sulle loro precarie condizioni di lavoro e per i continui rischi d'infortunio sul lavoro che subiscono. Dopo una lunga trattativa portata avanti dai sindacati solo nel tardi pomeriggio il gruppo di operai della Hydrogest Campania ha deciso di scendere dal manufatto pericolante e dalla ringhiera arrugginita. A convincerli, soprattutto la notizia della convocazione di una riunione da tenersi la prossima settimana alla prefettura di Napoli con all'ordine del giorno le problematiche di tutti i depuratori dei Regi Lagni. Intanto, però, la stato d'agitazione all'impianto di Villa Literno continua ad oltranza. «Gli addetti del depuratore, ha fatto sapere Tammaro Tavoletta, delegato sindacale, non hanno più fiducia in alcuna istituzione».
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