mercoledì 28 dicembre 2011

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giovedì 24 novembre 2011

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Scuola inagibile, chiuso plesso a tempo indeterminato


Vincenzo Ammaliato. Quando la cattiva amministrazione della Cosa pubblica arriva a colpire i cittadini più indifesi, quando a pagare il conto più salato sono i bambini. Castel Volturno, oramai ha superato abbondantemente l’asticella della decenza e l’opera dei suoi amministratori passati e presenti non ha più l’alone del beneficio del dubbio. Ieri l’ultimo atto in ordine di tempo di quello che appare come un film dai toni grotteschi: l’ordinanza comunale di sospensione delle attività scolastiche alla scuola elementare di Pientamare, a causa delle scarse, se non assenti, misure di sicurezza. Sospensione, peraltro, che non ha una data precisa. I dirigenti del municipio hanno preferito affidarsi alla locuzione latina “sine die” per certificare che non sanno quando riusciranno a risolvere l’ennesimo problema, che si potrebbe trascinare addirittura fino alla fine dell’anno solare. In pratica, una sorta di Vacanze di Natale anticipate per gli alunni del II circolo. Tutto è cominciato (si fa per dire) con l’arrivo dei vigili del fuoco alla struttura di via Acacie, nella località di Pinetamare a inizio settimana. I pompieri hanno eseguito un’accurata ispezione alla fine della quale hanno certificato le inadempienze della struttura e comunicato al Comune litoraneo il referto e l’ingiunzione di chiusura del plesso. In pratica, un atto dovuto l’ordinanza di sospensione delle attività didattiche firmata ieri, che di fatto, da oggi, fa restare a casa circa seicento bambini della scuola dell’obbligo. Piccoli alunni, peraltro, per i quali al momento non ci sono destinazioni alternative. Negli uffici del Comune, subito dopo che è scoppiato il problema hanno iniziato a cercare delle soluzioni per risolvere la delicata questione. Le uniche due percorribili, al momento, appaiono quelle di accorpare temporaneamente i bambini delle elementari nell’istituto Giuseppe Garibaldi che ospita le medie (e in questa circostanza lo stabile passerebbe ad avere milleduecento alunni, decisamente troppi, e in ogni caso si dovrebbero organizzare doppi turni); oppure nello stabile che ospita le scuole superiori, l’ex palazzo di cristallo. Ma quest’immobile è affidato all’Isis e sembra ci siano resistenze da parte dei suoi dirigenti ad un’opzione del genere. Peraltro, la manutenzione al plesso di viale Acacie, non è certo quando inizierà, né chi se ne dovrà occupare. Il municipio del centro litoraneo è a un passo dal dichiarare il dissesto finanziario e nelle casse non ci sono fondi per alcuna attività. Lo stabile, poi, è oggetto insieme ad altri immobili della transazione Stato-Coppola. I costruttori dell’omonimo Villaggio l’avrebbero dovuto consegnare al demanio, come prevedeva la transazione stessa, in buono stato e con l’adeguamento strutturale alle norme vigenti. Evidentemente tutto questo non è stato fatto. Insomma, una vera e propria baraonda, dove a pagare il disagi maggiori sono seicento bambini della scuola dell’obbligo, per i quali questo sostantivo appare decisamente un’amara beffa. @RIPRODUZIONE RISERVATA IL MATTINO 24/11/2011

giovedì 3 novembre 2011

Costretta a prostituirsi, si ribella a madame

Il clichè è sempre lo stesso. E gli ingranaggi ben oleati e collaudati. Per le organizzazioni criminali domiziane che gestiscono questo business illegale funziona tutto alla perfezione da oltre venti anni. Anche in questo caso la giovane ragazza è stata convinta a lasciare il suo povero villaggio in Africa con la promessa di poter prendere parte al ricco banchetto europeo, come avviene per tutte le altre. Con la promessa di un lavoro decoroso, da commessa, da parrucchiera, da collaboratrice domestica nel paese più africano d’Europa, a Castelvolturno. E invece, all’arrivo nel centro casertano, non c’è altro che un pezzo di marciapiede e umiliazioni continue. Sono poche le ragazze nigeriani e ghanesi che una volta nel vortice della Domiziana riescono ad uscirne e a salvarsi. Per loro ci sono continue minacce e aggressioni fisiche. E l’organizzazione criminale che le sfrutta può colpire anche lontano, ai parenti rimasti in Africa. Ma la cosa cui più temono le giovani donne vittime della tratta degli esseri umani, sono i riti animisti, cui sono sottoposte e dei quali sono letteralmente soggiogate. Questa volta, però, una di loro ha trovato la forza d’animo per dire no. Arrivata a Castelvolturno da quasi due anni, Blessing (nome di fantasia), dopo il viaggio in barca per oltrepassare il Mediterraneo e un lungo soggiorno al centro d’accoglienza di Crotone, viene presa in consegna dalla sua madam in un villino della Domiziana e spedita dopo un paio di giorni su un marciapiedi della vecchia statale romana. Blessing si prostituisce per circa un anno senza trovare la forza di ribellarsi. Vende il suo corpo a dieci euro a prestazione. E lavora sette giorni la settimana, col freddo e col caldo, col sole e con la pioggia. Vorrebbe fuggire il più lontano possibile, ma ha troppa paura delle minacce della sua madam e del rito wodoo che ha subito. Peraltro, la sua sfruttatrice le ha anche sequestrato il passaporto. Per poterlo riavere e tornare libera, Blessing deve pagare un vero e proprio riscatto, pari a trentacinquemila euro. La giovane lucciola, però, resta incinta e partorisce uno splendido bambino. Subito dopo conosce un uomo italiano, del quale se ne innamora e vorrebbe andare a vivere con lui. Approfitta di una breve assenza della sua aguzzina e scappa dalla casa dove è prigioniera. Ma la madam la rintraccia e la minaccia. Vuole che torni a lavorare per lei, pretende che torni sul mariciapiedi. Blessing, però, desidera ardentemente cambiare vita, e questa volta scappa a Mantova. Nella città lombarda trova finalmente il coraggio di raccontare tutto alle forze dell’ordine. L’indagine passa alla procura di Santa Maria Capua Vetere, che dopo serrate indagini emette un ordine di carcerazione per la sfruttatrice. Otiti Arase, questo è il suo nome, trentacinque anni, originaria della stessa nazionalità della sua vittima, la Nigeria, è arrestata con la pesante accusa di sfruttamento della prostituzione, estorsione e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Per lei si aprono le porte del carcere. Blessing, invece, è libera di poter vivere la sua vita. Per una volta, l’ingranaggio è saltato. Evidentemente, anche la Domiziana, non è infallibile.

sabato 29 ottobre 2011

Finito il terrore, iniziano le ansie



Vincenzo Ammaliato
27/10/2011

Erano loro i padroni incontrastati del territorio. Fra il 2007 e il settembre del 2008 misero a ferro e fuoco tutta Castel Volturno. Intimidivano e minacciavano i commercianti e i piccoli imprenditori del luogo; dettavano le agende dei lavori agli amministratori pubblici. E soprattutto ammazzavano. Toglievano la vita a suon di kalaschnikov a chiunque ritenevano potesse ostacolare il loro delirante progetto criminale. Eppure la sentenza di ieri che ha inflitto pene durissime a Giuseppe Setola e tutta la sua consorteria criminale non sembra rasserenare gli animi della gente del paese costiero. I giorni successivi alla strage della sartoria etnica Ob Ob Fashion, e soprattutto dopo gli arresti dei protagonisti del periodo del terrore domiziano, tutti a Castel Volturno, italiani e immigrati, istituzioni e semplici cittadini, erano convinti che il litorale domizo fosse arrivato a un bivio; e che da quel tragico 18 settembre, sarebbe potuto iniziare un periodo virtuoso per il territorio; che si sarebbero potuti ridurre considerevolmente i forti disagi e squilibri sociali tipici della zona, gli stessi che avevano portato Setola e Cirillo ad avere nelle loro mani il destino di Castel Volturno, e, soprattutto, a uccidere sedici persone in appena dieci mesi di attività criminale. Nel periodo del terrore a capo dell’amministrazione locale c’era il giudice Francesco Nuzzo. Pochi mesi dopo il Comune fu sciolto con decreto del presidente della repubblica. Qualche mese di commissariamento e il paese passò nella mani di Antonio Scalzone. Ma dissidi interni alla maggioranza defenestrarono anche lui. Il centro litoraneo è tutt’ora senza guida politica, e ancora più senza speranza. Quella speranza di rilancio attesa invano da troppi anni e che sarebbe dovuta passare attraverso le grandi opere edili ferme ancora al palo. La sentenza di condanna ai protagonisti del periodo del terrore cambia poco al centro domiziano. Qui il sentimento di rivalsa nei confronti dei camorristi che hanno devastato il territorio cede miseramente il passo al complicato viver quotidiano. Lo Stato negli ultimi tre anni è riuscito a garantire sulla via Domiziana maggiore sicurezza, ma le occasioni di sviluppo sociale ed economico appaiano oramai poco più di un miraggio. Quello che avanza, invece, è il sentimento di paura, che una volta spente le luci sul territorio, quei fari accesi proprio dalla strage dei migranti, il territorio ritorni nelle mani di faccendieri e prepotenti. @riproduzione riservata

domenica 28 agosto 2011

Dimissioni consiglio comunale

Vincenzo Ammaliato. Diciassette mesi. probabilmente Antonio Scalzone non è superstizioso; eppure il numero diciassette non gli ha portato bene, perché tanti sono i mesi che è durata la sua terza amministrazione del turbolento centro domiziano. Eletto come sindaco di Castel Volturno nel mese di marzo del 2010 a capo di una coalizione di centrodestra, il ragionier Scalzone viene mandato a casa dalla maggioranza del suo consiglio comunale, che ieri sera ha presentato le dimissioni in maniera compatta al protocollo dell’ente di Piazza Annunziata. I nomi degli undici sottoscrittori sono in ordine rigorosamente alfabetico Armando Baiano, Carmine Brancaccio, Alfonso Caprio, Mosvaldo Caterino, Luigi Diana, Giuseppe Gravante, Flavio Iovene, Alfonso Iovine, Luigi Petrella, Umberto Sementini e Luigi Spierto. Più difficile risulterebbe l’elenco per partito politico d’appartenenza, considerando i continui cambi di casacca che hanno contraddistinto questa breve esperienza amministrativa, così come fu quella precedente del giudice Nuzzo. Peraltro, cinque degli undici consiglieri che hanno rovinato l’estate ad Antonio Scalzone, risultano essere stati eletti proprio nel suo partito di riferimento, il Pdl. In ogni caso, l’ormai ex primo cittadino annuncia ricorso legale. “Fra i firmatari delle dimissioni – sottolinea Scalzone – c’è un consigliere illegittimo”. Il suo riferimento è a Carmine Brancaccio, che al momento della campagna elettorale ricopriva la carica di presidente in un’azienda misto pubblico-privata, dove la parte pubblica è del Comune di Castel Volturno. “Sul caso del consigliere Brancaccio – sottolinea Scalzone – si è espressa anche la prefettura di Caserta, secondo cui la sua elezione è illegittima. Pertanto non avrebbe potuto firmare le dimissioni”. Secondo l’ex sindaco è lo stesso Carmine Brancaccio il burattinaio dell’operazione che di fatto ha sciolto la sua amministrazione. E le uniche ragioni che hanno portato a una così grossa adesione sarebbero da ricercare soltanto in aspetti di carattere personale e non politico. Incassato il duro colpo, Antonio Scalzone sferra, poi, il suo attacco: “A breve – avvisa – presenterò un articolato documento, dove, con prove fondate, mostrerò le ragioni delle dimissioni di ogni singolo consigliere comunale. Mostrerò i loro orticelli che la mia amministrazione è andata a ledere, nell’interesse dell’intera collettività; fra cui c’è la mancata bonifica di una cava inquinante, che sarebbe dovuta costare alla famiglia Baiano circa sette milioni di euro. E poi ci sono terreni di proprietà di alcuni consiglieri dissidenti che non sono rientrati nel Puc e tanto altro acora”. E’ una furia l’ex sindaco, che appena ventiquattrore prima aveva sottoscritto un accordo politico con l’Mpa e Forza del Sud per rilanciare la sua amministrazione. Ma anche gli undici consiglieri dimissionari sono apparsi particolarmente determinati. Sul documento di dimisisoni di legge che è la stessa città di Castel Volturno ad aver chiesto loro un atto simile. “ Perché il degrado politco degli ultimi mesi - scrivono - è il responsabile del mancato sviluppo del territorio. La cosa pubblica a Castel Volturno è gestita con inettitudine e assoluta approssimazione. Gli amministatori e la giunta comunale sono assolutamente incapaci e non c'è una maggioranza politica da troppi mesi”. Durante la particolare giornata di ieri, un primo tentativo di dimissioni dei consiglieri era andato a vuoto. Gli undici si erano recati a Caserta per formalizzare la propria volontà dinanzi a un notaio (iter non indispensabile per perfezionare la procedura). Successivamente avevano protocollato l’atto in municipio. Ma il documento era una semplice mozione di sfiducia al sindaco. E’ stata la funzionaria del Comune che ha ricevuto le dimissioni che ha fatto notare l’anomalia. Ormai la frittata, però, era fatta e il protocollo stava per chiudere. Ma per mandare a casa Scalzone non si poteva rischiare di perdere un altro giorno. La notte, infatti, avrebbe potuto far cambiare idea a qualche consigliere. Quindi è stato stilato in fretta un nuovo documento; una nuova carovana di consiglieri, quindi, è ripartita alla volta del notaio di Caserta, e una manciata di minuti prima delle 18, orario di chiusura del municipio, è stato protocollato l’atto, quello giusto.


Vincenzo Ammaliato. A mezzogiorno nel municipio di Castel Volturno la colonnina di mercurio ha toccato la riga record di trentasei gradi. Eppure, fra le stanze del Comune domiziano si respirava un’aria relativamente tranquilla, considerando l’atto delle dimissioni protocollate il giorno prima da undici consiglieri comunali, col quale si è di fatto mandato a casa l’amministrazione Scalzone. Alla prefettura di Caserta i dirigenti sono al lavoro per individuare il commissario da spedire nel centro litoraneo. Probabilmente già lunedì il funzionario metterà piede nel palazzo di piazza Annunziata. Fino a quel momento sarà ancora l’ormai ex sindaco, Antonio Scalzone, a firmare gli atti ufficiali, ma solo quelli ordinari. il commissariamento del Comune di Castel Volturno durerà fino alla prossima primavera. Ma la prefettura, valutando lo stato pietoso delle casse comunali e le inchieste giudiziarie della direzione distrettuale antimafia che vedono coinvolti numerosi pubblici amministratori, dipendenti comunali e agenti di polizia municipale del luogo, potrebbe anche decidere di posticipare le nuove elezioni amministrative nell’autunno del 2012. Intanto, il sindaco defenestrato si dice pronto alla battaglia. Non ha assolutamente intenzione di mollare la carica, e ancora meno la politica. Antonio Scalzone ha fatto sapere di aver già contattato il proprio legale e che sarebbe quasi pronto il ricorso al Tribunale amministrativo dell’atto di dimissioni, “viziato”, a suo parere, dalla firma di un consigliere non legittimato, Carmine Brancaccio. Peraltro, Scalzone ha aggiunto: “chi fa politica come me, per passione e amore del proprio territorio, lo fa per sempre. Pertanto, dello scioglimento di ieri si assumeranno la pesante responsabilità i consiglieri che lo hanno firmato. E in ogni caso, l’atto non servirà a togliere il sottoscritto dai loro piedi”. L’ex primo cittadino, quindi, si candida per lo “Scalzone quater”, ovvero la quarta candidatura a sindaco del paese domiziano. Chissà, se anche nella prossima tornata elettorale, però, sarà appoggiato dal partito delle libertà, spaccato in due tronconi sul litorale domizio: quelli che appoggiano Scalzone sempre e comunque e quelli che lo detestano. Ancora più complicato è lo scenario nei partiti di opposizione, posto che a Castel Volturno fossero esistiti durante questa amministrazione delle vere e proprie compagini politiche di cosiddetta minoranza. All’orizzonte manca un leader carismatico, capace di compattare il fronte. Gli stessi undici dissidenti che hanno messo lo sgambetto al ragionier Scalzone, sono riusciti a farlo solo nell’interesse di defenestrarlo, e non perché avessero un progetto politico alternativo. In ogni caso, è la prefettura adesso chiamata a risolvere le grane che l’amministrazione Scalzone avrebbe dovuto affrontare in questo scorcio di fine estate. La prossima settimana c’era in programma un delicato consiglio comunale con un solo punto all’ordine del giorno: la ratifica del bilancio. In cassa a Castel Volturno non ci sono più soldi. Sarà un commissario a gestire l’emergenza, e non solo questo. C'è da definire anche una volta per tutte la questione degli usi civici in una parte dell'area dove dovrebbe sorgere il nuovo porto turistico, far partire la raccolta differenziata e affrontare il bubbone di Castel Volturno: l'evasione tributaria. Intanto, stasera in piazza delle Fieste è confermata l'esibizione della banda musicale della Nato. Doveva suonare per festeggiare la fine dell'estate; suggellerà, invece, la fine dell'amministrazione Scalzone.

Grand Hotel Pinetamare


Vincenzo Ammaliato. Aveva riaperto i battenti appena due mesi fa, da ieri è nuovamente chiuso il Grand Hotel di Pinetamare. E questa volta, l’imponente struttura alberghiera al centro della località a sud di Castelvolturno non ha chiuso per ragioni commerciali, ma per un atto della procura a seguito di un blitz dei carabinieri accompagnati da agenti dell’ispettorato del lavoro. Ieri mattina, infatti, mentre nella piscina della struttura, stesi sui lettini e in acqua c’erano decine di clienti, i militari dell’arma guidati dal maresciallo Antonio Passaro hanno predisposto un’azione di controllo in materia di lavoro. Al termine dei serrati controlli, dei dieci dipendenti trovati al loro posto di lavoro, ben nove sono risultati essere impegnati senza alcun tipo di contratto. Nove impiegati su dieci, quindi, assunti a nero. All’amministratrice (le cui iniziali fornite dalle forze dell’ordine sono J.M.) della società Grand Hotel s.r.l., che dallo scorso giugno gestisce l’albergo da centocinquanta camere, è stato notificata una contravvenzione molto salata da diciannovemila euro. Solo dopo aver pagato questa cifra, l’albergo potrà riaprire, e con esso la piscina, il ristorante e il bar. Momenti di stupore si sono registrati fra i clienti della struttura alberghiera all’arrivo delle forze dell’ordine. Poco dopo aver compreso quello che stava succedendo, però, tutti hanno lasciato l’albergo e le strutture annesse e i carabinieri hanno potuto completare liberamente i propri controlli. Il Grand Hotel Pinetamare fra gli anni ’60 e ’70 aveva rappresentato il fiore all’occhiello della località turistica. Qui d’estate arrivavano a svernare numerosi turisti dal nordeuropa, e si organizzavano spettacoli con artisti di rilevanza internazionale. Nel 1981, però, iniziò la sua parabola discendente a seguito della decisione della Regione Campania di far ospitare nella struttura temporaneamente parte degli sfollati del terremoto che avave funestato l'Irpinia e Napoli. I cosiddettiSeguirono lunghi anni di anni di abbandono, fino a quando, a cavallo fra gli anni '90 e 2000, la famiglia Coppola, proprietaria della struttura, decise la sua laboriosa ristrutturazione, e al termine dei lavori fu affidata a una società turistica di Como che aveva numerosi credenziali nel settore. Dopo tre anni di attività, però, i gestori andarono via, lasciando all’asciutto i fornitori, senza vacanza i clienti e soprattutto senza corrispondere gli stipendi arrestrati e le liquidazione i dipendenti. Da qui seguirono altri tre anni di chiusura per la struttura, nelle cui mura sono stati girati alcuni film, il più famoso fra tutti “Stasera mi butto” con l’attrice Lola Falana e la coppia comica Ciccio e Franco. A giugno, finalmente, la riapertura, con una nuova gestione e tante speranze per il territorio che nella ripresa del Grand Hotel pone sempre molte aspettative, soprattutto, come volano per il settore commerciale. Evidentemente, però, questa nuova esperienza è partita col piede sbagliato, assumendo il personale senza contratto. La stagione estiva, intanto, volge al termine. La strttura non è stata sequestrata, hanno fatto sapere i carabinieri. Però per riaprire i battenti dovrà pagare l'ingente multa. Tutta la località di Pinetamare confida che il Grand Hotel non resti abbandonato al centro della territorio come esempio di una rinascita agognata ma che non arriva più.


Vincenzo Ammaliato. I carabinieri di nuovo in azione al Grand Hotel di Pinetamare. Questa volta, però, non si tratta di un’operazione di contrasto al lavoro nero, ma di qualcosa di molto più grosso. Per la direzione distrettuale antimafia di Napoli che ha firmato i cinque ordini d’arresto eseguiti dai carabinieri della locale stazione di Pinetamare, coadiuvati dai colleghi della compagnia di Mondragone, non c’è dubbio: è il clan dei casalesi che tenta di rialzare la testa dopo i duri colpi subiti negli ultimi tre anni anche sul litorale domizio dalla dura attività di repressione e investigazione messa in campo dagli apparati statali. A finire con le manette ai polsi e condotti in varie strutture carcerarie sono state cinque persone, sorprese all’alba nelle proprie abitazione. Si tratta dei quattro soci dell’istituto di vigilanza che gestisce la sicurezza all’interno del Gran Hotel: Luca Aprea, quarantadue anni, residente a Giugliano, i coniugi Natale Fioretto di cinquantuno anni, e Vincenza Vorzillo di quarantanove, domiciliati a Secondigliano, e del loro figlio ventottenne, Vincenzo Fioretto, residente a Melito. L’ultima persona raggiunta da decreto di fermo indiziato di reato è Alessandro Frongillo, un venticinquenne di Castelvolturno, residente in via Latina. L'uomo ha alcuni precedenti penali per reati contro la persona e il patrimonio, ma a suo carico risultano anche numerose informative di polizia che lo danno come molto vicino al clan camorristico dei casalesi e probabile nuovo referente della stessa banda criminale per l’area di Pinetamare. Secondo l’accusa dei giudici della direzione investigativa antimafia di Napoli, i cinque arrestati si sarebbero resi responsabili del reato di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso nei confronti dei gestori del grosso albergo posto al centro di Pinetamare, il Grand Hotel. Avrebbero, in pratica, imposto il servizio di vigilanza alla nuova gestione della struttura, e tentato di estorcergli denaro per conto e per nome del clan dei casalesi. A margine dei decreti di fermo, sono stati anche sequestrati i locali commerciali dove ha sede a Pinetamare la Traidng Security Aprea S. a. S., l’istituto di vigilanza oggetto del blitz. Gli inquirenti, hanno tenuto a precisare che agli arresti si è arrivati dopo una laboriosa azione d'indagine investigativa, posta in essere grazie a numerose intercettazioni ambientali.


Vincenzo Ammaliato. “Se l’indagine della direzione distrettuale antimafia di Napoli che ha portato all’arresto dei soci dell’istituto di vigilanza che presta servizio anche nel nostro albergo è concentrata esclusivamente sulla Grand Hotel Pinetamare, allora possiamo senza paura d’essere smentiti che ha preso un grosso granchio”. Aniello Tuccillo, il direttore della struttura alberghiera, poche ore dopo aver appreso degli arresti eseguiti dai carabinieri per una probabile estorsione subita dal suo hotel è categorico: “Non abbiamo subito alcuna pressione per avere indebitamente soldi o qualsiasi altra cosa da nessuno, meno che dall’istituto di vigilanza Aprea”. La società che lui rappresenta, La Grandi Alberghi s.r.l. con sede sociale ad Afragola, ha rilevato appena due mesi fa la gestione dell’albergo dei proprietà dei costruttori Coppola. “L’istituto Aprea – sottolinea il direttore Tuccillo – presta il suo servizio per il Grand Hotel da circa dodici anni. Noi abbiamo messo piede nella struttura da appena poche settimane, e ci è sembrato naturale confermare tutti i contratti con i precedenti fornitori di beni e servizi, fra i quali c'è anche l’istituto Aprea. E così come non ho notizie che in passato ci sono stati problemi di nessun tipo fra gli Aprea e i vecchi gestori, allo stesso modo, nel mese e mezzo che è iniziata la nostra attività, i rapporti con l’istituto di vigilanza sono più che buoni”. Seduto di fianco al Aniello Tuccillo ci sono i soci della Grandi Alberghi e l’amministratrice della società. Tutti confermano le parole del direttore, che aggiunge “Sia il sottoscritto, sia i soci della Grandi Alberghi, qualora chiunque di noi subisse una richiesta estorsiva, non esiteremo un solo istante ad avvisare le forze dell’ordine. In questo caso, però, non è successo nulla del genere. O quanto meno niente che ci abbia allarmato o preoccupato: nessuna minaccia, nessun furto, nessuna pretesa fuori dalle righe. In questo pochi giorni di nostra gestione al Grand Hotel Pinetamare è filato tutto liscio”. E’ visibilmente turbato il direttore del Gran Hotel. Sottolinea di aver appreso dell’operazione dai mezzi d’informazione. Di essersi recato spontaneamente dai carabinieri per chiedere maggiori dettagli. La sua società, seppure arrivata da poco a Castel Volturno ha aderito all’associazione commercianti di Pinetamare. E aveva fatto richiesta di adesione anche all’associazione antiracket Mimmo Noviello. “Le cose che succedono in questa zona – aggiunge il direttore Tuccillo – continuano a stupirci. In ogni caso, abbiamo investito a Castelvolturno perché crediamo che sia un territorio dalle grosse potenzialità. Qui, abbiamo anche trasferito le nostre famiglie. E nonostante tutto continueremo la nostra attività”.