giovedì 30 settembre 2010

Ordine pubblico vietato il corteo di Forza Nuova

30/09/2010

Vincenzo Ammaliato
Gli aderenti al partito di estrema destra dovranno trovare un’altra strada e un altro comune per dire «no alla camorra, all’immigrazione clandestina e ai comunisti». La prefettura di Caserta ha espresso il diniego alla manifestazione organizzata da Forza Nuova che era prevista per questa sera lungo la via Domiziana a Castelvolturno. «Per ragioni di ordine pubblico e sicurezza», si legge nella missiva della prefettura. Che peraltro ha suggerito agli organizzatori di spostare la manifestazione nel capoluogo, a Caserta. «Non avrebbe lo stesso valore simbolico», ha fatto sapere, però, Antonio Michele Ciliberti, segretario regionale di Forza Nuova. Questa sera, quindi, per la Domiziana sarà un normale giovedì sera. Mentre sabato prossimo a sfilare lungo l’arteria litoranea sono attesi i sostenitori del sindaco del posto, Antonio Scalzone, che insieme ai partiti politici che compongono l’amministrazione comunale da lui retta (escluso il Partito democratico) sta organizzando un evento sul tema «contro la camorra, la mafia nigeriana, l’immigrazione clandestina e lo spaccio di droga». E siccome lo slogan è molto simile a quello adottato da Forza Nuova, i militanti del partito neofascista hanno fatto sapere che si adegueranno al diniego della prefettura di Caserta ma prenderanno parte a questa manifestazione. «Saremo a Castelvolturno sabato prossimo - ha annunciato il coordinatore Ciliberti - e resteremo a lungo sul territorio domizio per dare vita al primo nucleo popolare di resistenza. Perché sentiamo forte il bisogno di liberare Castelvolturno». © RIPRODUZIONE RISERVATA

No al racket, prime 10 adesioni

28/09/2010

Vincenzo Ammaliato.
Per il momento sono soltanto in dieci. Ma per una zona come quella di Castel Volturno dove la gente per sopravvivere ogni giorno deve fare a pugni con la stessa quotidianità un tale numero di commercianti che ha deciso di fare il salto del fosso, di uscire allo scoperto e fondare la prima associazione del litorale domizio antiracket è un grosso segnale di speranza. Appena fino a due anni fa qui l'ala stragista del clan retto dall'ergastolano Domenico Bidognetti teneva sotto scacco qualsiasi tipo di attività commerciale (comprese quelle illecite). E chi si rifiutava di pagare il pizzo veniva minacciato e malmenato, nei migliori dei casi. Da oggi, invece, anche sul litorale domizio c'è chi apertamente dice «no» a qualsiasi forma di pressione e condizionamento malavitoso. Sono stati gli stessi Tano Grasso e Silvana Fucito (rispettivamente, presidente nazionale e responsabile del coordinamento campano della federazione antiracket Italiane) a comunicare la nascita dell'associazione di Castelvolturno. Il suo nome è «Associazione Domenico Noviello», apertamente ispirato al commerciante trucidato barbaramente a Baia Verde dal killer Peppe Setola e dai suoi gregari nel maggio del 2008. Dell'associazione fa parte anche il figlio del titolare della scuola guida che nel 2001 aveva avuto il coraggio di denunciare il racket, Massimo Noviello. Eppure, Castelvolturno aveva già avuto una precedente esperienza legata all'antiracket. Nel 2006 l'amministrazione Nuzzo firmò una convenzione con un'associazione che avrebbe dovuto coordinare i commercianti della zona nella lotta al pizzo. Quel tentativo si rilevò, però, assolutamente infruttuoso. Quali sono le speranza per Tano Grasso affinché questa nuova associazione antiracket possa avere maggiore fortuna? «Perché in questo caso, sottolinea il presidente della Fai, si tratta di un'associazione formata esclusivamente da commercianti del territorio; in pratica è autogestita, con un proprio presidente e un proprio direttivo. Peraltro, ha aggiunto Grasso, gli associati fondatori vengono tutti già da un precedente percorso di denuncia al racket che ha portato all'arresto di una banda di taglieggiatori. E per far parte dell'associazione è necessario che i commercianti non abbiano alcuna macchia, perché le nuove richieste di adesione vengono inviate alla procura e alle forze dell'ordine per una preliminare valutazione». la presentazione dell'associazione sarà fatta il mese prossimo in una sala dell'Holiday Inn di Castelvolturno. «la data non è ancora certa, fa sapere Tano Grasso, perché all'evento ci tiene a essere presente anche il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano. E attendiamo sue indicazioni. In ogni caso, la presentazione sarà fatta non oltre la terza settimana di ottobre». Pochi giorni, quindi, e anche sulla Domiziana sarà posta un'importante pietra per la lunga battaglia al crimine organizzato e il recupero della piena legalità. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Un «calcetto» per battere barriere e indifferenza

24/09/2010


Vincenzo Ammaliato
Immigrati contro italiani sul litorale domizio. Ma in questo caso non è l’ennesima cronaca fatta di integralismi, esasperazione e incomprensioni. Anzi. Per dieci giorni si sperimenterà una nuova forma di aggregazione: una forma sferica. Partirà oggi al Centro Fernandes il primo campionato di calcetto di Castelvolturno, dove a contendersi il torneo saranno quattro squadre di italiani e sei di immigrati. Organizzato dalla rete antirazzista di Caserta, le squadre che prenderanno parte al singolare campionato sono espressione delle numerose Chiese del litorale. Oltre ai calciatori della Chiesa cattolica, si sono iscritti anche quelli della Chiesa avventista, di quella pentecostale e di quella evangelica. Mentre da Destra Volturno, a scendere in campo saranno gli atleti della locale moschea. Il fischio d’inizio è per stasera alle 19. Appuntamento per la finale il 4 ottobre, stesso orario. Peccato, solo, che fra le squadre che si contenderanno il campionato manchi una formata dai politici locali; probabilmente, o non saranno stati avvisati, o saranno seriamente impegnati a guidare il paese.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

giovedì 23 settembre 2010

L'erosione divora le case


23/09/2010


Vincenzo Ammaliato

Avere la «villa al mare» è per molti un sogno. Per gli abitanti di Bagnara, invece, da qualche mese è un vero e proprio incubo. Le loro abitazioni si trovano letteralmente in acqua. E qui non siamo a Venezia, ma a Castelvolturno. E non è stato il passaggio di un uragano oppure di uno tsunami a creare il disastro ecologico, ma la lenta e inesorabile erosione della costa. I crolli dei primi fabbricati qui si verificarono lo scorso mese di gennaio, durante una mareggiata che rosicchiò quasi due metri d'arenile. Da allora nuovi crolli sono quasi quotidiani: l'ultimo ha interessato parte di quella che è oramai una ex villa. Lo scorso giugno, invece, è crollata la struttura di un intero stabilimento balneare, il Bora Bora, che ovviamente d’estate non ha potuto aprire i battenti. E se il Bora Bora praticamente non esiste più, non stanno messi meglio gli altri lidi di Bagnara. Qui il mare non è inquinato come nella parte sud di Castelvolturno, eppure è rimasto poco più di un metro di spiaggia per i bagnanti della zona. I residenti del quartiere a nord di Castelvolturno ricordano che appena quindici anni fa qui c'erano non meno di cinquanta metri d'arenile. Mentre la prossima estate, se l'erosione dovesse continuare come negli ultimi mesi, a Bagnara la spiaggia resterà appunto solo un ricordo. E oltre all'arenile il mare a breve ingoierà anche le circa cinquecento villette dell'abitato realizzato a ridosso della costa. In pratica, la natura a Castelvolturno si sta riprendendo la rivincita sul sacco del territorio e sullo scempio subito negli anni '70. Le villette di Bagnara, infatti, furono realizzate in maniera abusiva su solo, peraltro, di pertinenza del demanio marittimo. L'autorità di bacino ha preparato un progetto per il recupero dell'area, che passa attraverso la realizzazione di una scogliera. Alla gente del luogo, però, nell'attesa che la burocrazia faccia il suo corso, non resta che soffermarsi a scrutare l'orizzonte sulla linea che divide il mare dal cielo nella speranza che il cattivo tempo e quindi le mareggiate arrivino il più tardi possibile. Ma anche a Castelvolturno siamo già quasi in autunno. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Il sangue di San Gennaro, icona della strage


20/09/2010
Il ricordo, la provocazione Il graffito comparso davanti alla sartoria di Castel Volturno

Vincenzo Ammaliato Castel Volturno.
L’analogia con il sangue del martire Gennaro non è un accostamento blasfemo. I giovani che nella notte hanno disegnato una ampolla come quella che contiene il sangue del santo vogliono ricordare che la violenza deve essere condannata senza distinzione tra buoni e cattivi; perché il sangue versato accomuna tutti. Insomma, santi e non: «Nessuno tocchi Caino», vogliono dire i ragazzi di Villaggi Globali, un’associazione culturale trasversale alla politica, tant’è che ne fanno parte anche rampolli dell’amministrazione locale che nei giorni scorsi, anche attraverso gli attacchi alla commemorazione da parte del sindaco Scalzone, si era dimostrata contraria all’istallazione di un monumento. Il graffito disegnato sulla saracinesca della sartoria etnica Ob Ob Fashion arriva appunto il giorno dopo la commemorazione di quella che ora viene ricordata come «la strage di san Gennaro»: due anni fa i killer di Setola sterminarono sei immigrati; mezz'ora prima, a quindici chilometri di distanza dalla sartoria, a Baia Verde, lo stesso commando criminale aveva già stato assassinato un altro uomo; in questo caso si trattava di un italiano, il suo nome era Antonio Celiento. I graffitari hanno voluto ricordare anche lui. Sulla saracinesca oltre all'ampolla sono disegnati i fori lasciati dai proiettili delle semiautomatiche e dai kalashnikov esplosi dai killer: sei sono di colore nero il settimo è bianco. «A noi non interessa se nel gruppo di persone massacrate il 18 settembre del 2010 ci fossero stati alcuni delinquenti o se a cadere fossero state tutte persone perbene, degli onesti lavoratori, sostengono gli autori del graffito. Quella sera è stata compiuta un'azione criminale che va stigmatizzata senza alcun vincolo culturale, né alcuna partigianeria. E noi che siamo nati e viviamo qui abbiamo ritenuto opportuno ricordala in questo modo». In effetti, lo scorso sabato di fronte la sartoria, nel momento della commemorazione della strage pesava l'assenza della gente di Castel Volturno. C'era Tommaso Morlando dell'Idv di Castel Volturno, che nel suo intervento ha cercato di far capire che il popolo del litorale domizio è tutto contro la camorra e per la legalità assoluta. Anche Maria Gatto, portavoce regionale dell'Api e residente nella cittadina litoranea ha sottolineato che la scultura istallata di fronte la sartoria rappresenta un monumento alla vita e alla libertà. Ma la gente di Castel Volturno non si era vista fra la folla di cronisti e volontari che si accalcavano al monumento, quasi a confermare la tesi del sindaco Scalzone secondo cui l'integrazione fra immigrati e castellani sia inesistente. Il graffito della sartoria, seppure nel dolore, ha unito le morti nere e quelle bianche. Persone morte nella speranza del miracolo, magari quello dell'integrazione. © RIPRODUZIONE RISERVATA



20/09/2010
«Razzista è chi prende finanziamenti sulla miseria degli immigrati»

«Non mi sono trovato solo nella decisione di non partecipare alla commemorazione perché gran parte della cittadinanza di Castel Volturno la pensa come me», dice il sindaco Vincenzo Scalzone Eppure l'associazione Villaggi Globali ha voluto ancora ricordare, dopo la celebrazione ufficiale di sabato, la strage con un graffito sulla saracinesca della sartoria. «Già, e sono contento del fatto che nel disegno abbiano ricordato anche la persona italiana uccisa la stessa sera dallo stesso commando omicida, a differenza da quello fatto dalla rete antirazzista che ha celebrato solo i caduti africani. Perché i morti della camorra sono tutti uguali e andrebbero ricordati tutti alla stessa maniera». Ma lei è stato contarrio alle celebrazioni. «In questo caso è stato interpretato male il mio pensiero. Le azioni della camorra, ci tengo a precisarlo, vanno condannate tutte in quanto tali. La stessa strage della sartoria è da condannare anche se a cadere sotto i colpi dei killer fossero stati sei criminali». E allora perché provare a vietare l'istallazione del monumento rischiando di passare per razzista? «I veri razzisti sono i religiosi e le associazioni che lavorano con gli immigrati della zona e ai quali stanno bene le condizioni di degrado e di miseria in cui vivono gli africani. Perché fino a quando gli immigrati vivranno sulla Domiziana come dei miserabili, le associazioni e i religiosi avranno continue risorse economiche per gestire le emergenze». © RIPRODUZIONE RISERVATA




Immigrati: Natale querela Scalzone

21/09/2010

Vincenzo Ammaliato
Si trasferiranno a breve nelle aule giudiziarie le polemiche nate a Castelvolturno in occasione del secondo anniversario della strage dei sei immigrati africani. Renato Natale, presidente dell’associazione Jerry Masslo, ha presentato ai carabinieri una denuncia-querela per calunnia e diffamazione nei confronti del primo cittadino di Castelvolturno, Antonio Scalzone. Al presidente Natale non sono andate giù le accuse di Scalzone rivolte alla sua associazione di approfittare delle condizioni d’indigenza degli immigrati che assiste per avere fondi pubblici. «Le parole del sindaco - si legge dalla denuncia - sono lesive della dignità delle decine di volontari che mettono a disposizione della parte più sfortunata della popolazione il proprio tempo e la propria professionalità. Le parole di Scalzone tendono a delegittimare il difficile lavoro della nostra organizzazione su questo territorio sul fronte immigrazione e legalità». Dopo ventuno anni di lavoro sull’area domiziana che si materializza in ambulatori medici, prevenzione e cura delle malattie infettive, assistenza psicologica e sociale e tanto altro prestato in maniera gratuita, il presidente della Jerry Masslo ha deciso per la prima volta una reazione giudiziaria alle accuse che riceve. Il sindaco è invece sorpreso della denuncia. Antonio Scalzone, ha fatto sapere che si difenderà nelle sedi appropriate, ma ritiene d’essere stato forse equivocato: «Non ho mai detto che il presidente Natale o i suoi collaboratori si fossero arricchiti con i fondi per gli immigrati. Ho cercato di difendere il mio territorio da chi ritiene che Castelvolturno debba restare perennemente nel degrado in cui si trova». © RIPRODUZIONE RISERVATA

Strage immigrati, il sindaco vieta il monumento



17/09/2010

Scalzone: "sfida alla città". Gli organizzatori: "segno di pace e fratellanza".

Vincenzo Ammaliato
Una serie di tubi neri intrecciati fra loro. Secondo gli organizzatori della commemorazione degli africani uccisi il 18 settembre del 2008 nella sartoria etnica di Castel Volturno (prevista domani alle 11 nello stesso luogo della strage), questa scultura rappresenterebbe la fratellanza dei popoli e la battaglia alla camorra e al razzismo. Secondo il primo cittadino Antonio Scalzone, invece, è un'aperta sfida nei suoi confronti e quindi verso tutta la cittadinanza di Castel Volturno. La statua che sarebbe dovuta essere posta domani alle 11 al tristemente famoso chilometro 43 della via Domiziana, quindi, non sarà più istallata. Il sindaco Scalzone lo ha fatto capire chiaramente agli organizzatori dell'evento, che ieri mattina si erano recati nel municipio castellano per presentare la specifica richiesta. «Tecnicamente, ha fatto sapere Scalzone, al lago Patria c'è un grosso vincolo paesaggistico. E quindi il nostro ufficio urbanistica ha bisogno di più tempo per valutare la pratica. In ogni caso, però, mi opporrò in maniera decisa all'istallazione dell'opera». Ma come mai il primo cittadino si è mostrato in maniera così ostinata nei confronti dell'evento che ha organizzato la Rete antirazzista di Caserta e che domani fra gli altri dovrebbe portare di fronte alla sartoria etnica il vescovo di Capua Bruno Schettino e l'imam della moschea di San Marcellino Nasser Hidouri? «Perché le sei persone uccise dalla camorra due anni fa alla Ob Ob Fashion - ha detto Scalzone - non è ancora detto che fossero tutte estranee al mondo del crimine organizzato. Non per niente, la magistratura è ancora impegnata nel tracciare il motivo preciso di quella strage». Chi immaginava, quindi, che con il 18 settembre del 2008 il litorale domizio avesse toccato il fondo della sua storia recente e che poi sarebbe iniziato un processo riqualificazione, soprattutto di carattere sociale, dovrà immaginare ancora una strada lunga da percorrere. «Se anche un semplice momento di commemorazione e di preghiera può rappresentare lo spunto per polemiche e scontri fra parti della cosiddetta società civile e delle istituzioni, significa che a Castel Volturno c'è ancora tanto da lavorare per il pieno recupero del territorio», spiegano gli organizzatori che, in ogni caso, hanno confermato la celebrazione. Domattina alle 11 saranno di fronte alla sartoria etnica dove due anni prima il killer «cieco» Peppe Setola e i suoi soldati seminarono morte e disperazione nella comunità degli immigrati. Fu quello l’atto che fece scatenare la rivolta degli immigrati che per giorni misero a ferro e fuoco la città; ma fu anche l’episodio che spinse lo Stato a varare il piano per il presidio del territorio. Padre Antonio Bonato dei missionari comboniani, peraltro, ha tenuto a precisare che la manifestazione non è assolutamente contro il sindaco del posto, né contro la cittadinanza di Castel Volturno. «Questa è una libera interpretazione del sindaco Antonio Scalzone, ha sottolineato il missionario. E ha poi aggiunto: «Domani saranno ricordati non sei eroi, ma un gruppo di persone trucidate dalla camorra. E poi, il giudizio se fossero innocenti o colpevoli non spetta al primo cittadino, né ai religiosi, ma ai tribunali». Insieme con gli organizzatori dell'evento e tutti i partecipanti, domani alle 11 al chilometro 43 della via Domiziana sarà portata anche la statua da tubi neri intrecciati. Subito dopo sarà tenuta una preghiera interreligiosa. A mezzogiorno, circa, tutti andranno via, portandosi dietro la scultura. E la Domiziana continuerà con la sua solita routine, come sempre popolata dai suoi cittadini, dagli automobilisti che la percorrono e dai suoi fantasmi. © RIPRODUZIONE RISERVATA




Rischiamo di finire come gli indiani.

9/09/2010
La polemica Continua l’attacco del sindaco di Castel Volturno alle celebrazioni per il secondo anniversario della strage degli immigrati

Vincenzo Ammaliato.
Quattro viti e altrettanti bulloni sistemati con decisione, due chiodi piantati col trapano, un fragoroso applauso e ieri alle 11 il monumento in ricordo dei sei immigrati del Ghana trucidati due anni fa è stato posizionato al chilometro 43 della via Domiziana, proprio sotto al civico 1083. Di fronte c'è la saracinesca chiusa della sartoria etnica Ob Ob Fashion, dove il 18 settembre del 2008 poco prima delle 22 si materializzarono i killer della camorra, Peppe Setola e i suoi gregari, e in dodici secondi seminarono morte e terrore. Ieri alla commemorazione della strage c'erano alcuni parenti e amici delle sei vittime. C'erano i volontari della rete antirazzista di Caserta che ha organizzato l'evento. E c'erano anche i vescovi Bruno Schettino e Raffaele Nogaro, i missionari comboniani e l'iman della moschea di Caserta. Assenti, invece, i politici locali (tranne Fabio Russo e Tommaso Morlando dell'Idv). Assente anche il primo cittadino Antonio Scalzone che aveva fatto sapere che avrebbe impedito la sistemazione del monumento sul luogo della strage. Non lo ha fatto, ma non manca di attaccare: «Senza l'aiuto dello Stato, che qui ha abdicato, la nostra comunità farà la fine degli indiani d'America. Morirà sotto il peso dell'immigrazione». E aggiunge Scalzone: «L'inchiesta sul vero motivo della strage è tutt'ora in corso. Alcune indagini delle forze dell'ordine identificano la sartoria come una centrale per lo smistamento di droga». La pensa in maniera completamente opposta Mimma d'Amico, dell'ex Canapificio di Caserta. «Stiamo seguendo il processo della strage udienza per udienza - dice la responsabile della rete antirazzista - E fino a oggi sono emersi soltanto elementi che riconducono l'eccidio della sartoria a odio razziale e a terrorismo». Ribatte da lontano Scalzone: «Qui i neri sono di casa a cominciare da quelli delle basi Nato, anche se venissero 15mila svedesi il problema sarebbe lo stesso. Un esempio su tutti? La spazzatura che produce Castelvolturno è pari a quella di una cittadina da 70mila abitanti, pagando per lo smaltimento circa 8 milioni di euro. Il Comune, però, dalle tasse ne riesce a incassare soltanto 3,5 milioni». E poi «l'integrazione tra la mia comunità e gli immigrati è uguale a zero e chi sostiene il contrario mente». Comunque, i responsabile della rete antirazzista che hanno commissionato il monumento allo scultore Raffaele Siciliano, hanno deciso di posizionare ugualmente l’opera sul luogo della strage nonostante il divieto imposto dal Antonio Scalzone. «Perché la lettera ricevuta dal sindaco - spiega Mimma D'Amico - riportava soltanto indicazioni di carattere politico. E noi la richiesta l'abbiamo regolarmente presentata anche alla sovrintendenza» (la zona di lago Patria è sottoposta a vincolo paesaggistico, ndr). «Il dramma dell'immigrazione in Campania non si risolve con le parate». A sostenerlo, attraverso una nota, è l'assessore al Lavoro della Regione Campania Severino Nappi. «A due anni dalla strage di Castelvolturno - ha aggiunto Nappi - con l'insediamento della nuova giunta, stiamo cercando innanzitutto di mettere a sistema gli interventi, a partire dal necessario coordinamento tra politiche della sicurezza e quelle dell'integrazione sociale. Il peso del disagio e dei ritardi non può essere sostenuto solo dalle piccole comunità - ha concluso Nappi - occorre agire in sinergia tra istituzioni, parti sociali e attori del territorio». Non è interessato ad alcun tipo di polemica, invece, Stefan Antwi, fratello di Kuame, una delle sei persone morte nella strage. «Nostro padre - racconta - è morto lo scorso anno di crepacuore. Dal momento della morte di Kuame non faceva altro che chiedersi il motivo dell'uccisione del proprio figlio. Adesso sono rimasto io a farlo; e chissà per quanto tempo ancora dovrò farlo». Alle 12, poi, il chilometro 43 della via Domiziana si è svuotato e sul posto è rimasto solo il monumento di tubi intrecciati. E il sindaco Scalzone ha fatto sapere che non lo farà rimuovere. «Non voglio essere trasportato sul ring dello scontro razziale. Col tempo, in ogni caso si sapranno con certezza le ragioni della strage della sartoria. E probabilmente in quell'occasione chi ha posizionato questo monumento si vergognerà di quello che ha fatto». © RIPRODUZIONE RISERVATA



«Ce l’hanno con me perché voglio legalità»

25/09/2010


Vincenzo Ammaliato Castel Volturno.
«Mi vogliono a tutti i costi fuori dai giochi, magari addirittura in carcere, in modo tale che sul litorale domizio potranno fare quello che più fa comodo a loro». Il primo cittadino Antonio Scalzone non appare sorpreso dalla denuncia presentata ieri dalla Rete antirazzista di Caserta. Se l'aspettava, quindi, la seconda denuncia - dopo quella di altre associazioni - in meno di una settimana? «Stanno provando in tutti i modi possibili a togliersi il sottoscritto dai piedi, perché io difendo tutti i cittadini e il territorio del litorale domizio». Eppure, la miccia sulle polemiche l'ha accesa lei tentando di vietare l’istallazione del monumento ai caduti nella strage di camorra di due anni fa. «Assolutamente falso. Io ho espresso semplicemente il mio disappunto nel celebrare delle persone di cui ancora non si conosce il reale motivo per il quale sono state ammazzate. Sono gli organizzatori dell'evento, al contrario, che hanno strumentalizzato la mia azione». Ma ha ricevuto numerose critiche anche da tutt'Italia e pochissimi attestati di solidarietà. «Mi sono vicini i miei concittadini, e questo mi basta. Peraltro, anche alcune associazioni del territorio che lavorano con gli immigrati ed alcuni religiosi hanno condiviso la mia azione. Anche il vescovo mi ha contattato nei giorni scorsi dicendomi di capire le difficoltà che ho nell'amministrare un territorio difficile come questo del litorale domizio». Quindi non pensa di provare a colloquiare con chi l'ha denunciata? «Io sono per lo Stato di diritto assoluto. Chi a Castel Volturno vuole imporre la sua legge personale, troverà in me un muro invalicabile». E intanto il 9 ottobre è annunciata una marcia sulla Domiziana organizzata dalla Rete antirazzista. «Sì, ma chiederò al prefetto di vietarlo perché anche in questo caso è una dimostrazione di forza che vogliono fare nei nostri confronti, una sorta di intimidazione». © RIPRODUZIONE RISERVATA

giovedì 9 settembre 2010

Testimoniò contro il killer, premio alla donna coraggio



09/09/2010

«Una rosa nel deserto» della Domiziana

Vincenzo Ammaliato

Qual è la ricetta per una vita serena e gioiosa? Probabilmente stare bene con se stessi e vivere insieme ai propri familiari nel posto dove si è nati; frequentare gli stessi amici di sempre, andare a corsi di ballo e avere un lavoro che seppure non è quello che si sognava da bambini almeno ti permette l’indipendenza economica. E se poi, nel bel mezzo di questa vita serena si incrocia per tre secondi, tre lunghissimi secondi lo sguardo di un killer della camorra che ha appena portato a termine una missione di morte? Si tira avanti come se nulla fosse successo, forse con una macchia sulla coscienza, ma con la speranza che col tempo vada via. Carmelina Prisco, invece, quel drammatico 13 agosto del 2003 all’appuntamento con la propria coscienza ha risposto senza alcuna esitazione. Non conosceva la vittima dell’agguato, né l’omicida del Roxy Bar di Mondragone. Eppure subito dopo la sparatoria si è recata immediatamente dai carabinieri per raccontare tutto quello che aveva visto. «Perché lo ha fatto?» perché le è parsa la cosa più normale da fare. Dopo quella scelta il killer è stato arrestato e per Carmelina sono iniziati quattro anni di isolamento totale deciso dallo Stato che doveva provvedere alla sua sicurezza. Completato il processo con la condanna all’ergastolo per il killer, Carmelina ha potuto fare rientro nel suo paese d’origine. All’arrivo a Mondragone non attendeva il tappeto rosso, né che fosse considerata un’eroina. Sperava semplicemente di poter tornare alla sua vecchia vita normale e serena. Nel suo paese, invece, ha trovato solo diffidenza e addirittura persecuzione. D’un tratto, Carmelina si è trovata a essere una persona da evitare, da non frequentare. I vecchi amici sono scomparsi. Lo stesso è stato per il suo lavoro. La cosiddetta società civile del paese domiziano sembrava non solo non ricordarsi di lei, ma addirittura che gli volesse far pagare con l’isolamento la sua decisione di aver fatto la cosa giusta. Questo almeno fino a ieri. Poche ore fa, infatti, Carmelina Prisco ha ricevuto la notizia che il prossimo 24 settembre nella Chiesa di San Michele Arcangelo, proprio su iniziativa della parrocchia, riceverà il premio de «La Dama del Bufone», un riconoscimento che a Mondragone viene dato di anno in anno alla persona del posto che più d’ogni altra si è distinta in opere sociali e che col suo esempio ha contribuito alla promozione e valorizzazione locale. Chi, più di Carmelina Prisco merita un riconoscimento del genere? © RIPRODUZIONE RISERVATA

mercoledì 8 settembre 2010

I ladri di rame lasciano una frazione senza telefono

tre furti in due settimane. I cittadini, ci sentiamo isolati dal mondo.

08/09/2010

Enzo Ammaliato È un vero e proprio calvario della linea telefonica, quello che loro malgrado sono costretti quasi da un mese gli abitanti della località agricola di Mazzafarro, al confine fra i Comuni di Castelvolturno, Mondragone e Cancello Arnone. I telefoni di questo territorio fatto soprattutto di allevamenti di bufale e culture di ortaggi, dove più che nelle aree metropolitane si avverte il bisogno della comunicazione telefonica, sono praticamente muti dallo scorso 15 agosto. Ma questa volta non sono i classici disservizi delle aziende telefoniche all’origine delle pene delle circa duecento famiglie del posto; ma i cosiddetti «ladri di rame», che separano il prezioso metallo dalla guaina dei cavi e lo rivendono al mercato nero. Subito dopo il distacco della linea telefonica avvenuto il giorno di ferragosto, infatti, gli abitanti di Mazzafarro notarono in via Pietro Pagliuca nei pressi dell’oasi del Volturno parte della linea aerea dei cavi telefonici divelta. E avvisarono prontamente la Telecom, che probabilmente a causa delle ferie estive non riuscì a mandare in zona una squadra d’operai prima di nove giorni. Giunti sul posto gli operai si accorsero subito dell’assenza (e quindi del furto) di circa trecento metri di fili, e li sostituirono. I telefoni di Mazzafarro tornarono finalmente nuovamente a squillare, ma soltanto per poche ore. Nella stessa notte, infatti, i ladri di rame tornarono in azione rubando i cavi appena posizionati sui tralicci. Dopo sette giorni, e siamo al 2 settembre, sono nuovamente tornati gli operai Telecom col loro malloppo di cavi ed hanno installato per la seconda volta la linea telefonica. Ma I ladri, mostrando una solerzia e un tempismo fuori dal comune, si sono ripresentati la stessa notte e rubato i cavi per la terza volta in poco più di due settimane. I carabinieri della stazione di Cancello Arnone, competente territorialmente, allargano le braccia. «Il territorio è troppo ampio per essere controllato 24 ore al giorno», hanno detto i militari dell’arma agli sconsolati abitanti di Mazzafarro che si sono presentati in caserma per denunciare i furti. Peraltro, a quanto pare, la zona di Mazzafarro non è l’unica a subire danni e furti del genere. E la Telecom, da parte sua, evidentemente non intende mettere a disposizione dei ladri di rame centinaia di metri di cavi ad ogni intervento; e così a tutt’oggi l’area risulta non servita dal servizio telefonico. Le famiglie di Mazzafarro sono confuse. Sarebbero anche disposte ad organizzare delle ronde notturne per controllare i cavi della linea telefonica. Ma se sorprendessero i ladri in flagranza di reato come avvertirebbero le forze dell’ordine se in zona il segnale dei telefoni cellulari e debole e la linea di casa non c’è? © RIPRODUZIONE RISERVATA

Va a denunciare il furto, arrestata per evasione

06/09/2010

Si reca dai carabinieri di Pinetamare per denunciare il furto della sua autovettura, ma non esce più dalla caserma, se non dopo qualche ora con le manette ai polsi per essere condotta dai militari dell’arma direttamente in carcere. La protagonista della particolare domenica è Esther Yjenn, immigrata nigeriana trentenne, che si trovava agli arresti domiciliari in un appartamento della vicina via Tivoli a Castelvolturno. Ed è stata proprio la sua condizione di restrizione della libertà, o meglio, quella che i carabinieri hanno ritenuto una vera e propria evasione a far scattare per lei l’arresto. La donna, infatti, non avrebbe avvisato i carabinieri, né la magistratura che si sarebbe allontanata dal suo alloggio, seppure per recarsi in caserma per sporgere una denuncia. E questo le è valso l’arresto-bis. Il primo, avvenne lo scorso mese di maggio. La trentenne fu sorpresa dalle forze dell’ordine nei pressi della stazione centrale di Napoli, con in tasca un biglietto ferroviario per Palermo, e nello stomaco, ovuli contenenti quattrocentocinquanta grammi di sostanza stupefacente. e.amm. © RIPRODUZIONE RISERVATA