martedì 26 ottobre 2010

Il sindaco: prendo io la discarica in cambio di 20 milioni


25/10/2010


Vincenzo Ammaliato Castelvolturno.
Così come i romani sostenevano che «pecunia non olet», per la gente di Castelvolturno, o meglio, per il primo cittadino del centro litoraneo, Antonio Scalzone, «l’immondizia non puzza». Ed è sempre il denaro a non far percepire all’olfatto gli sgradevoli odori. «Domani (oggi per chi legge) - ha detto il ragionier Scalzone - chiederò ai consiglieri comunali di maggioranza la disponibilità ad accettare sul nostro territorio per un breve periodo i rifiuti urbani campani, quelli che non si riescono a conferire da nessuna parte e che stanno mettendo in ginocchio l’intera regione. Se accetteranno, presenterò la stessa proposta anche a quelli di opposizione. Con un loro voto favorevole, l’intero consiglio comunale potrebbe presentare un piano specifico al commissariato straordinario ai rifiuti. In cambio della nuova discarica, però, dovremmo avere un ristoro economico immediato non inferiore ai quindici, venti milioni di euro». In pratica, immondizia in cambio di soldi; questa è la proposta del sindaco di Castelvolturno; tanti soldi, quelli necessari a sanare le casse del Comune sull’orlo della bancarotta. Una montagna di denaro (in cambio di una montagna di sacchetti dell’immondizia) che potrebbe anche salvare la traballante amministrazione, che appena lo scorso venerdì non è riuscita a votare il bilancio dell’ente. © RIPRODUZIONE RISERVATA


Il sindaco: voglio la discarica, scoppia la protesta

31/10/2010

Vincenzo Ammaliato Castel Volturno. Mentre nei territori vesuviani e a Giugliano la gente è tutt’ora mobilitata per impedire nuovi conferimenti di rifiuti, anche a Castelvolturno l’immondizia è oggetto di accesi dibattiti. Ma in questo caso, siamo soltanto nel campo teorico, che trova spunto dalla disponibilità mostrata la scorsa settimana dal sindaco del posto, Antonio Scalzone, ad ospitare sul litorale domizio una nuova discarica di rifiuti urbani. Il primo cittadino aveva lanciato il classico sasso nello stagno comunicando a Il Mattino la sua idea e cercando la disponibilità dell’intero assise cittadino ad ospitare un nuovo sito ecologico, a fronte dei soldi necessari a sanare le casse comunali sull’orlo della bancarotta. Ma mentre i suoi uomini hanno preferito non esporsi, i consiglieri d’opposizione, al contrario, hanno già mostrato in maniera compatta la propria contrarietà alla proposta. «Castel Volturno ha già dato in materia di rifiuti, di discariche e di ammalati di malattie tumorali - sottolinea in maniera laconica Alfonso Caprio, del partito democratico - e per questo non riteniamo di rpendere assolutamente in considerazione la proposta». Gli fa eco il capogruppo della minoranza in consiglio, Ferdinando Letizia, secondo il quale «la creazione di una nuova discarica a Castelvolturno non è assolutamente ipotizzabile, in cambio di qualsiasi cifra di denaro». Speculare il pensiero di Antonio Leone di Liberamente, il quale in un comunicato ufficiale del suo partito ha rimarcato i rischi ambientali e sanitari cui andrebbe in contro il territorio qualora ospitasse un nuovo sito ecologico. «Venti milioni di ero - scrive il vicepresidente di Liberamente Leone - non possono valere la salute di un intero popolo». Mentre Tommaso Morlando, presidente di Officina Voltuno, ed ex assessore all’Ambiente, bocciando la proposta, propone l’accento ancora una volta sulla mancata bonifica della discarica Sogeri, che produce da anni un inquinamento nelle falde acquifere che arriva a circa quaranta metri di profondità, danneggiando l'economia dell'intero territorio e minando la salute dei cittadini». Inondato da una tale mole di polemiche, Antonio Scalzone fare un passo indietro. «Resto convinto della bontà della mia idea - conferma il sindaco di Castel Volturno - ma valutando l’atteggiamento dei consiglieri d’opposizione preferisco non portare avanti la proposta». Per molti sul litorale domizio questa decisione è una vittoria, che allontana lo spettro della terza discarica dopo quelle di Sogeri e di Bortolotto. Eppure, per il primo cittadino Scalzone si tratta «dell'ennesima occasione persa per il territorio. Il municipio di Castelvolturno – ha detto il sindaco – ha oltre trenta milioni di euro di debiti che non riesce a onorare. Quotidianamente arrivano al Comune da almeno tre mesi nuovi atti ingiuntivi da parte di creditori non pagati. A breve, peraltro - ha aggiunto Antonio Scalzone - mi troverò costretto a sospendere numerosi servizi comunali, fra i quali quello del trasporto scolastico, perché non abbiamo i soldi necessari per sostenerli. In questa situazione, in pratica, non abbiamo il lusso di poter avere la cosiddetta puzza sotto al naso». E intanto a Castel Volturno seppure non crescono le discariche aumenta il monte debiti al Comune. Il prossimo primo dicembre dovrebbe partire finalmente la raccolta differenziata. All'azienda che si occupa del servizio spettano da contratto sette milioni d'euro l'anno, ma il municipio ne riesce a incassare dalla tassa sui rifiuti appena due. © RIPRODUZIONE RISERVATA

venerdì 22 ottobre 2010

Bambino costretto da bulli a consegnare i soldi della merenda

22/10/2010

Vincenzo Ammaliato
Vivere la quotidianità sul litorale domizio è complicato un po’ per tutti; lo è per gli italiani, lo è ancora di più per i numerosi immigrati che devono fare i conti con una integrazione che non c’è. Se poi sei un bambino, alunno della scuola media, e finisci nel mirino di una banda di bulli, allora tutto diventa un incubo. La vittima è un dodicenne d’origine ucraina. Vive a Castel Volturno da circa dieci anni insieme con la sua mamma che ha un regolare permesso di soggiorno. Frequenta la media Giuseppe Garibaldi e il suo calvario durava da oltre un anno ed è terminato appena ieri, quando la Procura di Santa Maria Capua Vetere ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare per il suo aguzzino, Massimo Flosco di ventitre anni, e ha denunciato i quattro componenti (tutti tredicenni) della banda che aveva messo su per taglieggiare i ragazzi di Castel Volturno. I carabinieri della locale stazione sono riusciti, a seguito di un’attività d’indagine, a documentare i soprusi della gang. I bulli intimidivano e minacciavano il ragazzino tutte le mattine e lo costringevano a consegnare il denaro che la mamma gli lasciava per comprarsi la merendina. E se lui si rifiutava, scattavano ceffoni e calci. La vittima ha tenuto tutto dentro di sé per oltre un anno; fino a quando i bulli lo hanno minacciato di fargliela pagare se non avesse consegnato loro immediatamente cinquecento euro. Una cifra a cui il piccolo proprio non poteva arrivare, neppure rinunciando per sempre alla merenda. A questo punto ha raccontato tutto alla mamma che, con grande senso civico, si è rivolta ai carabinieri. Il resto è cronaca con l’ordinanza di custodia cautelare per il capo della banda e la denuncia a piede libero (in quanto minorenni) per gli altri componenti della cosca. © RIPRODUZIONE RISERVATA

martedì 12 ottobre 2010

Sciopero ai semafori: "oggi non lavoro a meno di 50 euro"


09/10/2010

Vincenzo Ammaliato
Non hanno bloccato il traffico di alcuna strada, non hanno urlato slogan o invettive nei confronti di nessuno, non hanno neanche lanciato uova o altro materiale simile, né hanno sventolato alcun tipo di bandiera. Semplicemente si sono rifiutati di salire nelle vetture o nei camioncini degli occasionali «sfruttatori» di lavoro che ogni giorno li prelevano (quando gli va bene) dai quattro angoli delle province di Napoli e Caserta per offrirgli «la giornata» a venti, massimo trenta euro. Eloquente il messaggio scritto a caratteri cubitali sui cartelli che portavano al collo: «Oggi non lavoro per meno di cinquanta euro». Sono i lavoratori fantasma della Campania, quell’esercito di immigrati clandestini impegnati nei campi agricoli dell’agro aversano e della provincia a nord di Napoli (a raccogliere fragole, pesche e mele), nei piccoli e abusivi cantieri edili del doppio senso (quelli capaci di tirare su case intere in due, tre giorni), o nei giardini delle ville del litorale domizio e di Casal di Principe a sistemare e potare aiuole e roseti. Lavorano da anni senza alcun tipo di assistenza e con una paga bassissima; di sicurezza sul lavoro, neanche a parlarne. Ma per un giorno, almeno per un giorno (ieri appunto) hanno detto «no» a qualsiasi tipo di sfruttamento. Anche quello agli incroci dove c’è chi si arrangia a fare il lavavetri o a vendere fazzolettini. Sono stati numerosi i luoghi dove è andato in scena il primo sciopero d’Italia degli immigrati clandestini: Casal di Principe, Giugliano, Pianura solo per citarne alcuni. Ma senza dubbio, i più affollati erano quelli delle famose rotonde di Castel Volturno e di Villa Literno. Qui si riuniscono quotidianamente, ormai da molti anni, col sole e con la pioggia, centinaia d’immigrati. Provengono soprattutto dai Paesi dell’Africa centrale e chiamano questi luoghi «califfo road». Sulla rotonda di Villa Literno cercava lavoro anche un immigrato originario del Sud Africa scappato dal suo Paese perché perseguitato politico. Fu ucciso da alcuni malviventi durante una rapina. Da allora sono passati oltre venti anni, e a Castel Volturno c’è un’associazione che si occupa degli immigrati e che porta il suo nome: Jerry Masslo. I suoi volontari fanno parte della rete antirazzista di Caserta che insieme con gli immigrati ha ideato la singolare protesta. I primi lavoratori stranieri con i cartelli al collo si sono visti già alle 6. Lo sciopero è durato per l’intera giornata. In pratica, ieri le braccia di tutti gli immigrati clandestini della Campania sono rimaste conserte. Qualche autovettura si è comunque avvicinata ai manifestanti; il copione è stato sempre lo steso: il probabile e occasionale datore di lavoro leggeva timidamente il manifesto al collo degli immigrati restando a bordo della sua vettura o camioncino col motore acceso, e subito dopo ripartiva velocemente per la sua strada così come era arrivato senza invitare nessun lavoratore con sé. «Nessuna manifestazione, né sciopero – ha tenuto a sottolineare padre Antonio Bonato, dei missionari comboniani di Castel Volturno. Il religioso, la cui missione fa parte della rete antirazzista di Caserta, ha spiegato che sulle rotonde della Campania c’è stata una semplice presa di posizione di un fenomeno illegale e di sfruttamento che si ripete da decenni senza che alcuna istituzione intervenga». In ogni caso, gli organizzatori si sono detti soddisfatto della totalità dei lavoratori immigrati che hanno preso parte all’evento. Non tutti, ovviamente, erano stati avvisati dello sciopero. Ma una volti arrivati sulle rotonde e letto lo slogan della manifestazione, nessun immigrato si è tirato indietro. A metà mattinata, poi, alla rotonda di Villa Literno, alcuni lavoratori italiani si sono avvicinati a quelli stranieri. «Comprendiamo e appoggiamo il vostro disagio – hanno detto agli immigrati – ma sappiate che anche per noi lavoratori italiani le cose non vanno a gonfie vele». Lavoratori italiani e stranieri, quindi, uniti nel disagio. Quelli stranieri, però, almeno ieri hanno fatto sapere che non ci stanno e che desiderano sia invertito questo anomalo percorso che è in Campania per loro è diventato ormai ordinario. © RIPRODUZIONE RISERVATA

09/10/2010


Tre settimane di scontri verbali, carte bollate e invettive incrociate. La questione immigrazione clandestina sembrava aver creato una spaccatura insanabile fra l’amministrazione comunale di Castel Volturno, retta da Antonio Scalzone e parte delle associazioni che compongono la rete antirazzista di Caserta. Ad accendere le micce, lo stesso primo cittadino, che in occasione del secondo anniversario della strage dei sei africani, si era detto contrario all’istallazione di un monumento in loro ricordo. Ieri alle 13, in maniera assolutamente inattesa, si è registrata la pace fra i contendenti, siglata con un incontro ufficiale nel palazzo comunale. Antonio Scalzone ha ricevuto i volontari del centro ex canapificio, dei missionari comboniani, dell’associazione Jerry Masslo e altri gruppi; in pratica, tutti quelli che meno di dieci giorni fa per ben due volte lo hanno citato in giudizio per istigazione all’odio razziale, alla violenza e per calunnia. Tutti durante il summit hanno convenuto sul fatto che sul litorale domizio il numero degli immigrati irregolari è decisamente troppo elevato. Ovviamente diverse sono apparse le strategia che il sindaco e la rete antirazzista vorrebbero mettere in campo per risolvere il problema. Ma oltre un ora di dialogo fra le parti lascia aperta la porta della speranza. v.am. © RIPRODUZIONE RISERVATA

venerdì 8 ottobre 2010

Lo sciopero degli immigrati


07/10/2010
Vincenzo Ammaliato

"Lo sciopero delle rotonde questa mattina, la manifestazione con corteo domani alle 9". Tutto come previsto dagli organizzatori. Tranne per un particolare che in un altro periodo sarebbe potuto apparire marginale, ma che invece tenendo presente la cronaca del litorale domizio delle ultime due settimane diventa di carattere sostanziale: il corteo organizzato dalla rete antirazzista deve ripiegare sul capoluogo, a Caserta. Così come già accaduto la scorsa settimana per il partito di Roberto Fiore, Forza Nuova, e per l’amministrazione comunale del sindaco Antonio Scalzone, Castelvolturno è dichiarato dalla prefettura territorio off limits per qualsiasi tipo di manifestazione. “Abbiamo concordato e convenuto con i dirigenti della prefettura – ha fatto sapere Mimma D’Amico del centro ex Canapificio – di spostare il corteo a Caserta, in maniera da evitare qualsiasi tipo di polemica e concentrare l’attenzione sui temi per i quali manifestiamo”. Parole sagge quelle di Mimma D’Amico, che, però, arrivano quando lo scontro fra gli amministratori del Comune di Castelvolturno e le associazioni che compongono il forum antirazzista appare bollente e difficile da sanare. Peraltro, anche nel mondo stesso dell’associazionismo che si occupa degli immigrati si intravedono delle spaccature. Il centro Laila, casa famiglia che da oltre venti anni sul litorale domizio si prende cura di minori in difficoltà, in un’accorata lettera aperta ha fatto sapere di non condividere il movimento delle manifestazioni. “Perché con questa strategia - ha scritto Angelo Luciano, fondatore del centro – si produce danni al territorio e agli stessi immigrati. Mentre l’unica strada percorribile per ottenere risultati produttivi e non distruttivi resta decisamente quella del dialogo”. Intanto, questa mattina sul litorale casertano e nell’agro aversano sta andando in scena il primo sciopero d’Italia che vede come protagonisti gli immigrati clandestini. Solitamente, il popolo dei cosiddetti “fantasmi” si riunisce e trova lavoro alle rotonde di Castelvolturno, Villa Literno, Casal di Principe e di Giugliano. Ed è proprio in questi quattro luoghi (che nel corso degli anni si sono trasformati in uffici di collocamento abusivo dove trovare braccia a buon mercato) che si sono ritrovati stamattina i volontari della rete antirazzista di Caserta per sostenere i clandestini nella loro singolare forma di protesta. Al collo i lavoratori immigrati hanno deciso di portare per l’intera giornata odierna dei cartelli con su scritto: “Oggi se vuoi le mie braccia, non le avrai a disposizione per meno di cinquanta euro”. Domani, poi, ci sarà il corteo a Caserta e domenica, finalmente, giornata di riposo per tutti. Tranne per i clandestini, che torneranno sulle rotonde già nella giornata festiva; si ritroveranno quasi tutti, come tutti i giorni dell’anno, sperando in un improvvisato e effimero datore di lavoro, che li accompagni nelle campagne, nei piccoli cantieri edili, nei giardini delle ville del litorale per la classica “giornata di lavoro a nero”. Lavoro disponibile anche di domenica per chi ha buona volontà ed è disperato; lavoro che sicuramente non sarà pagato cinquanta euro.

Arresti domiciliari, il record è qui

05/10/2010
Vincenzo Ammaliato
La sua giurisdizione è su cinque Comuni: Castelvolturno, Mondragone, Santa Maria la Fossa, Cancello Arnone e Grazzanise; copre un bacino di circa centomila residenti, a cui secondo i calcoli dell’amministrazione centrale di polizia deve essere prevista una pianta organica di agenti pari a circa cinquanta unità. Al commissariato di Castel Volturno, però, fra trasferimenti, pensionamenti e decessi prematuri non sono rimasti più di quaranta poliziotti; e qui il tasso criminale è fra i più alti d’Italia. Basta un semplice dato per comprendere la mole di lavoro cui gli agenti del commissariato litoraneo sono sottoposti quotidianamente. Non si tratta del numero degli omicidi, né di quello delle rapine, e neanche del peso del traffico e dello spaccio delle sostanze stupefacenti, o dello sfruttamento della prostituzione (seppure sono molto elevati rispetto alla media nazionale). Ma di quello delle persone che nei cinque Comuni della giurisdizione risultano essere agli arresti domiciliari o soggetti alle altre misure di pena alternative alla detenzione. Si tratta di un vero e proprio esercito di duecentosette persone; soggetti da controllare giorno per giorno, soprattutto lungo i ventisette chilometri della via Domiziana di pertinenza di Castelvolturno. Solo nel paese alla foce del fiume Volturno ci sono ben centododici persone agli arresti domiciliari, due agli obblighi di dimora, undici in affidamento in prova e altrettanti in libertà vigilata. Si tratta di persone da vigilare e controllare quotidianamente su richiesta della magistratura che attende i rapporti per stabilire le eventuali modifiche delle pene. I controlli, ovviamente, sono concertati con i carabinieri. In ogni caso, per un commissariato che a malapena riesce a mettere per strada una sola volante nel corso delle ventiquattro ore, resta particolarmente impegnativo e laborioso questo servizio. Mentre a Mondragone spetta la palma per le persone soggette al regime della cosiddetta «sorveglianza speciale»: in totale sono sedici (in altre zone della Campania un tale numero di persone è più che sufficiente a formare un clan malavitoso). Peraltro, il numero delle persone soggette alle misure alternative di pena è estremamente variabile; ogni giorno ci sono continui mutamenti. E da quattro anni, peraltro, tende addirittura a salire. A breve, quindi, il numero delle persone da controllare nel territorio del commissariato di Castel Volturno potrebbe raggiungere quello di una piccola cittadina; mentre quello degli agenti del commissariato, molto probabilmente, resterà sempre lo stesso. Intanto, il malaffare ringrazia. © RIPRODUZIONE RISERVATA


05/10/2010
Chiudi





«Ancora un paio di mesi, massimo entro il prossimo Natale, e il commissariato di polizia si trasferirà nella nuova sede di Pinetamare». Parola del sindaco di Castelvolturno, Antonio Scalzone, in merito alla questione che si trascina ormai da anni senza alcuna soluzione, che ruota attorno al trasferimento, o meglio, al mancato trasferimento del commissariato litoraneo dall’attuale struttura fatiscente del centro storico, alla ex scuola Nato di Pinetamare. Il nuovo immobile di circa quattromila metri quadri (che sarà diviso con la scuola ufficiali della forestale) era di proprietà della Famiglia Coppola e fa parte delle strutture che i costruttori hanno ceduto allo Stato nell’ambito della transazione sottoscritta nel 2003 col commissariato straordinario di governo. Prima della consegna formale e il cambio di proprietà, però, devono essere completati tutti i lavori di ristrutturazione necessari al futuro utilizzo dell’immobile; e secondo il primo cittadino del posto, Scalzone, i lavori termineranno massimo in sessanta giorni. «Ne abbiamo avuto conferma e certezza - sottolinea il sindaco - durante una riunione tenuta in prefettura fra tutte le parti in causa per capire come mai si era inceppato l’iter di consegna». A questo punto, l'ultimo intoppo per il trasferimento resta la resistenza di alcune sigle sindacali della polizia, che premono affinchè sia ristrutturato l'attuale stabile che ospita gli agenti, perché la struttura si trova al centro del territorio di pertinenza del commissariato stesso. © RIPRODUZIONE RISERVATA

«Via dal litorale camorra clandestini e comunisti»

02/10/2010

Vincenzo Ammaliato
«Inquietante». Questo l'aggettivo col quale Roberto Fiore, il presidente nazionale di Forza Nuova, aveva bollato la doppia decisione della prefettura di Caserta di vietare sia la manifestazione organizzata a Castelvolturno dal suo partito (prevista giovedì scorso), sia quella dei partiti politici che compongono l'amministrazione comunale del paese litoraneo (escluso il partito democratico), che si sarebbe dovuta tenere oggi con partenza da piazza Domenico Noviello. Eppure le sue dichiarazioni durante la conferenza stampa che si è tenuta regolarmente ieri nella sala comunale del municipio di Castelvolturno alle 12 non sono certo servite a rasserenare il clima nel centro domiziano, surriscaldato dal giorno della commemorazione delle sei vittime africane della camorra (lo scorso 18 settembre) e che tende giorno dopo giorno ad alzare l'asticella dello scontro fra istituzioni locali, partiti politici, associazioni e immigrati. «A Castelvolturno, ha detto il presidente Roberto Fiore durante il suo intervento, c'è la più alta concentrazione che nel resto d'Italia delle cosiddette tre C del male: camorra, clandestini e comunisti. E Forza Nuova costituirà in zona a breve dei comitati popolari per la liberazione del territorio». Fra curiosi e simpatizzanti del partito di estrema destra, nella sala comunale si contavano circa cinquanta persone, che hanno accolto con fragorosi applausi sia gli interventi dei militanti di Forza Nuova, sia quelli del sindaco del posto, Antonio Scalzone, e di alcuni suoi assessori, intervenuti alla conferenza stampa. «Siamo compiaciuti dell'attenzione che Forza Nuova ha mostrato al nostro martoriato territorio», ha sottolineato in apertura del suo intervento il primo cittadino del luogo, Scalzone. Il quale subito dopo ha tenuto a ribadire (come fatto nel volantino che annunciava la manifestazione vietata dalla prefettura) che Castelvolturno non è un paese razzista, e che, in ogni caso, spetta alle istituzioni della repubblica intervenire in zona per reprimere ogni forma d'illegalità. Ma Forza Nuova appare particolarmente decisa nel suo intervento di costituire in zona i cosiddetti «gruppi popolari di resistenza e libertà». «Durante la conferenza stampa - ha fatto sapere Antonio Michele Giliberti, il segretario regionale di Forza Nuova - quattro persone di Castelvolturno hanno sottoscritto la tessera del partito. Dalle loro adesioni, partirà il processo necessario per costituire un nucleo di militanti, che nel tempo massimo di un paio di mesi porterà alla creazione della prima sede di Forza Nuova del litorale Domizio. E si tratterà - ha concluso Giliberti - di un vero e proprio avamposto di libertà contro la camorra, i clandestini e i comunisti». Ha resistito a oltre venti anni di devastazione socioeconoica, il litorale domizio resisterà anche agli "avamposti di libertà" di Forza Nuova. © RIPRODUZIONE RISERVATA

venerdì 1 ottobre 2010

Anna & Anna, fra passato, presente e futuro della loro vita e qulla della Romania





Anna ha ventotto anni e vive in un piccolo appartamento al centro di Timisoara nei pressi di piazza Unirii. E’ carina, ben vestita, capelli biondi appena pettinati dal parrucchiere, e un make up deciso. Studia economia all’università cittadina, ma più che fare conti e analizzare indici di mercato le piacerebbe diventare una cantante di successo. Intanto, è sostenuta economicamente dalla famiglia che abita a Bucarest. Suo padre era un burocrate del vecchio regime dittatoriale di Ceausescu. Oggi fa l’immobiliarista; negli anni’90 ha fatto una fortuna comprando il diritto alla restituzione degli immobili da mano degli eredi di quei romeni emigrati o esiliati subito dopo l’ascesa del regime socialista e che avevano dovuto abbandonare le proprie case (immobili che entrarono a far parte del patrimonio statale). Con l’avvento della democrazia in Romania fu deciso di restituire questi immobili ai legittimi proprietari; ma solo una piccola parte di loro è tornata in patria per gestire i beni. Quasi tutti hanno venduto i propri diritti a faccendieri romeni che gestivano spesso capitali stranieri. Quasi tutti hanno ricavato poco denaro. Chi ha acquisito i diritti, al contrario, ci ha fatto sopra una montagna di soldi.
Anna ha ventotto anni e vive insieme al marito e ai loro tre figli a sei chilometri da Timisoara, in un vecchio condominio dell’edilizia socialista di fronte a un’imponente fabbrica di zucchero abbandonata. I sacrifici di una vita di stenti e sacrifici si avvertono tutti sul suo volto, che sembra quello di una donna che si avvicina ai cinquanta anni. Non ha un’istruzione. Si occupa esclusivamente della casa e dei figli, e appena i lavori domestici glielo consentono, si reca in un piccolo spazio di terra abbandonato che si trova nei pressi del suo “block” grigio. Qui, un po’ tutta la gente del posto ha ricavato dei piccoli spazi dove coltivare le verdure che portano sulle loro tavole. I suoi genitori vivono in un villaggio di campagna ad un ora di autobus, in una casa che sembra tirata su con mattoni fatti di fango e sterco di animali. Il bagno è esterno: una casupola di legno con un buco nel centro del pavimento.
Anna nel portafogli ha la carta di credito e il bancomat del suo conto corrente; e ha anche una carta di prelievo data dai genitori. Da questa può prelevare fino a seicento euro al mese. Per i suoi acquisti si reca al “Mall”, un fantasmagorico centro commerciale sorto qualche anno fa nei pressi di piazza dell’Opera (dove nacque la rivolta dell’’89) che per maestosità e per la cura dei materiali utilizzati per la struttura ha poco da invidiare a quelli presenti nei Paesi occidentali. All’interno. Peraltro, ci sono insegne dei negozi simili a quelle presenti in Italia, Francia Stati Uniti: (Zara, Benetton, solo per citarne alcune). Nella profumeria c’è un’offerta sugli smalti. Anna ne approfitta e ne compra di tutti i colori presenti.
Anna ha una sola borsa; è di pelle nera. Le fu regalata il giorno del suo matrimonio da sua cugina che vive a Torvajanica. Quando va a fare spesa nel piccolo negozietto sotto casa non la porta con sé, per non sciuparla. Compra una bottiglia di latte, una confezione di carta igienica, del detersivo per lavare i panni, sei uova, del pane, un chilo di farina, spende quattro euro e settanta. C’è una buona offerta sulle confezioni di croiassant, ma non li compra. Il marito lavora in un’officina meccanica e guadagna duecentotrenta euro al mese. Con uno stipendio del genere, la sua famiglia non si può permettere i cornetti a colazione, neanche se sono in offerta. Peraltro, oggi è giorno lavorativo, e il marito seppure indossa la tuta da lavoro alle 11 è ancora in cucina. E’ seduto con la sedia rivolta verso il muro, fuma sigarette nazionali e beve caffè nero.
Anna non è preoccupata del taglio degli stipendi degli statali del 20%, né dell’aumento dell’iva del 5% decisi entrambi dal governo lo scorso giungo e entrati in vigore ad agosto per venire in contro alle richieste del fondo monetario. È certa che le cose da un punto di vista economico e sociale per il suo Paese riprenderanno a viaggiare sostenute nel breve periodo. E che questi piccoli sacrifici serviranno a fare un po’ di pulizia e selezione di tutti quegli imprenditori arrembanti (soprattutto stranieri) che in Romania dalla caduta del regime ad oggi hanno solo speculato.
Anna è terrorizzata dalle decisioni economiche prese dal suo governo. Crede che le aziende private si adegueranno presto a quelle pubbliche e che il già misero stipendio del marito si ridurrà ancora di più nei prossimi mesi. A novembre la temperatura atmosferica a Timisoara arriverà come ogni anno vicino allo zero termico. E nelle case, soprattutto dove ci sono i bambini, ci sarà bisogno di calore (di molto calore). I suoi genitori per riscaldarsi utilizzano la legna dei boschi. Lei, in appartamento deve necessariamente affidarsi alla rete condominiale. E se non pagherà regolarmente le bollette, gli operai della ditta di fornitura energetica ci metteranno un solo giorno a distaccare il servizio.
Anna non ci pensa affatto di lasciare la sua città per andare a vivere all’estero. Non comprende la scelta di cinque milioni di suoi connazionali (sul totale di ventidue) che negli ultimi venti anni hanno scelto la via dell’emigrazione. Lei viaggia spesso fra l’Australia, Stati Uniti e l’Europa occidentale, dove ha numerosi amici. Ma torna sempre a Timisoara, perché questa e la sua città e qui vuole vivere e sognare.
Anna non sogna più da tempo, e forse non lo ha mai fatto. Emigrerebbe anche oggi stesso per un qualsiasi altro Paese che non fosse il suo. Ma non sa come potrebbe farlo, né cosa fare all’estero. Non consoce lingue straniere, non sa come varcare le frontiere. In ogni caso, ha paura di non essere all’altezza della situazione e di finire ancora peggio che nel suo block grigio. “La Romania è nella comunità europea da tre anni, e non ci sono più le frontiere?” Non ne è al corrente; lei non è mai andata oltre la fabbrica di zucchero abbandonata, se non per disbrigare pratiche burocratiche negli uffici pubblici del centro di Timisoara.
Anna è stata lo scorso luglio ospite di alcuni amici italiani a Forte dei Marmi. Qui ha mangiato in maniera divina e ha passato delle lunghissime giornate a mare. Mentre ad agosto è stata con il fidanzato e dei connazionali sulle sponde del lago di Garda per una vacanza all’insegna del relax.
Anna ricorda quando da piccola insieme alla sua famiglia poteva fare un solo viaggio d’estate ogni tre anni. L’escursione era organizzata e imposta dal governo socialista, e la meta era sempre La stessa: il mare di Costanza. Da quando in Romania c’è la democrazia chiunque può scegliere dove e quando andare in vacanza. Eppure, Anna sono circa venti anni che non va più in vacanza.
Anna nutre molte speranze per la sua Romania
Anna non ha alcuna speranza né per sé, né per il suo Paese: futuro che non sente, o forse, che non ha mai sentito suo.