mercoledì 28 dicembre 2011

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giovedì 24 novembre 2011

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Scuola inagibile, chiuso plesso a tempo indeterminato


Vincenzo Ammaliato. Quando la cattiva amministrazione della Cosa pubblica arriva a colpire i cittadini più indifesi, quando a pagare il conto più salato sono i bambini. Castel Volturno, oramai ha superato abbondantemente l’asticella della decenza e l’opera dei suoi amministratori passati e presenti non ha più l’alone del beneficio del dubbio. Ieri l’ultimo atto in ordine di tempo di quello che appare come un film dai toni grotteschi: l’ordinanza comunale di sospensione delle attività scolastiche alla scuola elementare di Pientamare, a causa delle scarse, se non assenti, misure di sicurezza. Sospensione, peraltro, che non ha una data precisa. I dirigenti del municipio hanno preferito affidarsi alla locuzione latina “sine die” per certificare che non sanno quando riusciranno a risolvere l’ennesimo problema, che si potrebbe trascinare addirittura fino alla fine dell’anno solare. In pratica, una sorta di Vacanze di Natale anticipate per gli alunni del II circolo. Tutto è cominciato (si fa per dire) con l’arrivo dei vigili del fuoco alla struttura di via Acacie, nella località di Pinetamare a inizio settimana. I pompieri hanno eseguito un’accurata ispezione alla fine della quale hanno certificato le inadempienze della struttura e comunicato al Comune litoraneo il referto e l’ingiunzione di chiusura del plesso. In pratica, un atto dovuto l’ordinanza di sospensione delle attività didattiche firmata ieri, che di fatto, da oggi, fa restare a casa circa seicento bambini della scuola dell’obbligo. Piccoli alunni, peraltro, per i quali al momento non ci sono destinazioni alternative. Negli uffici del Comune, subito dopo che è scoppiato il problema hanno iniziato a cercare delle soluzioni per risolvere la delicata questione. Le uniche due percorribili, al momento, appaiono quelle di accorpare temporaneamente i bambini delle elementari nell’istituto Giuseppe Garibaldi che ospita le medie (e in questa circostanza lo stabile passerebbe ad avere milleduecento alunni, decisamente troppi, e in ogni caso si dovrebbero organizzare doppi turni); oppure nello stabile che ospita le scuole superiori, l’ex palazzo di cristallo. Ma quest’immobile è affidato all’Isis e sembra ci siano resistenze da parte dei suoi dirigenti ad un’opzione del genere. Peraltro, la manutenzione al plesso di viale Acacie, non è certo quando inizierà, né chi se ne dovrà occupare. Il municipio del centro litoraneo è a un passo dal dichiarare il dissesto finanziario e nelle casse non ci sono fondi per alcuna attività. Lo stabile, poi, è oggetto insieme ad altri immobili della transazione Stato-Coppola. I costruttori dell’omonimo Villaggio l’avrebbero dovuto consegnare al demanio, come prevedeva la transazione stessa, in buono stato e con l’adeguamento strutturale alle norme vigenti. Evidentemente tutto questo non è stato fatto. Insomma, una vera e propria baraonda, dove a pagare il disagi maggiori sono seicento bambini della scuola dell’obbligo, per i quali questo sostantivo appare decisamente un’amara beffa. @RIPRODUZIONE RISERVATA IL MATTINO 24/11/2011

giovedì 3 novembre 2011

Costretta a prostituirsi, si ribella a madame

Il clichè è sempre lo stesso. E gli ingranaggi ben oleati e collaudati. Per le organizzazioni criminali domiziane che gestiscono questo business illegale funziona tutto alla perfezione da oltre venti anni. Anche in questo caso la giovane ragazza è stata convinta a lasciare il suo povero villaggio in Africa con la promessa di poter prendere parte al ricco banchetto europeo, come avviene per tutte le altre. Con la promessa di un lavoro decoroso, da commessa, da parrucchiera, da collaboratrice domestica nel paese più africano d’Europa, a Castelvolturno. E invece, all’arrivo nel centro casertano, non c’è altro che un pezzo di marciapiede e umiliazioni continue. Sono poche le ragazze nigeriani e ghanesi che una volta nel vortice della Domiziana riescono ad uscirne e a salvarsi. Per loro ci sono continue minacce e aggressioni fisiche. E l’organizzazione criminale che le sfrutta può colpire anche lontano, ai parenti rimasti in Africa. Ma la cosa cui più temono le giovani donne vittime della tratta degli esseri umani, sono i riti animisti, cui sono sottoposte e dei quali sono letteralmente soggiogate. Questa volta, però, una di loro ha trovato la forza d’animo per dire no. Arrivata a Castelvolturno da quasi due anni, Blessing (nome di fantasia), dopo il viaggio in barca per oltrepassare il Mediterraneo e un lungo soggiorno al centro d’accoglienza di Crotone, viene presa in consegna dalla sua madam in un villino della Domiziana e spedita dopo un paio di giorni su un marciapiedi della vecchia statale romana. Blessing si prostituisce per circa un anno senza trovare la forza di ribellarsi. Vende il suo corpo a dieci euro a prestazione. E lavora sette giorni la settimana, col freddo e col caldo, col sole e con la pioggia. Vorrebbe fuggire il più lontano possibile, ma ha troppa paura delle minacce della sua madam e del rito wodoo che ha subito. Peraltro, la sua sfruttatrice le ha anche sequestrato il passaporto. Per poterlo riavere e tornare libera, Blessing deve pagare un vero e proprio riscatto, pari a trentacinquemila euro. La giovane lucciola, però, resta incinta e partorisce uno splendido bambino. Subito dopo conosce un uomo italiano, del quale se ne innamora e vorrebbe andare a vivere con lui. Approfitta di una breve assenza della sua aguzzina e scappa dalla casa dove è prigioniera. Ma la madam la rintraccia e la minaccia. Vuole che torni a lavorare per lei, pretende che torni sul mariciapiedi. Blessing, però, desidera ardentemente cambiare vita, e questa volta scappa a Mantova. Nella città lombarda trova finalmente il coraggio di raccontare tutto alle forze dell’ordine. L’indagine passa alla procura di Santa Maria Capua Vetere, che dopo serrate indagini emette un ordine di carcerazione per la sfruttatrice. Otiti Arase, questo è il suo nome, trentacinque anni, originaria della stessa nazionalità della sua vittima, la Nigeria, è arrestata con la pesante accusa di sfruttamento della prostituzione, estorsione e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Per lei si aprono le porte del carcere. Blessing, invece, è libera di poter vivere la sua vita. Per una volta, l’ingranaggio è saltato. Evidentemente, anche la Domiziana, non è infallibile.

sabato 29 ottobre 2011

Finito il terrore, iniziano le ansie



Vincenzo Ammaliato
27/10/2011

Erano loro i padroni incontrastati del territorio. Fra il 2007 e il settembre del 2008 misero a ferro e fuoco tutta Castel Volturno. Intimidivano e minacciavano i commercianti e i piccoli imprenditori del luogo; dettavano le agende dei lavori agli amministratori pubblici. E soprattutto ammazzavano. Toglievano la vita a suon di kalaschnikov a chiunque ritenevano potesse ostacolare il loro delirante progetto criminale. Eppure la sentenza di ieri che ha inflitto pene durissime a Giuseppe Setola e tutta la sua consorteria criminale non sembra rasserenare gli animi della gente del paese costiero. I giorni successivi alla strage della sartoria etnica Ob Ob Fashion, e soprattutto dopo gli arresti dei protagonisti del periodo del terrore domiziano, tutti a Castel Volturno, italiani e immigrati, istituzioni e semplici cittadini, erano convinti che il litorale domizo fosse arrivato a un bivio; e che da quel tragico 18 settembre, sarebbe potuto iniziare un periodo virtuoso per il territorio; che si sarebbero potuti ridurre considerevolmente i forti disagi e squilibri sociali tipici della zona, gli stessi che avevano portato Setola e Cirillo ad avere nelle loro mani il destino di Castel Volturno, e, soprattutto, a uccidere sedici persone in appena dieci mesi di attività criminale. Nel periodo del terrore a capo dell’amministrazione locale c’era il giudice Francesco Nuzzo. Pochi mesi dopo il Comune fu sciolto con decreto del presidente della repubblica. Qualche mese di commissariamento e il paese passò nella mani di Antonio Scalzone. Ma dissidi interni alla maggioranza defenestrarono anche lui. Il centro litoraneo è tutt’ora senza guida politica, e ancora più senza speranza. Quella speranza di rilancio attesa invano da troppi anni e che sarebbe dovuta passare attraverso le grandi opere edili ferme ancora al palo. La sentenza di condanna ai protagonisti del periodo del terrore cambia poco al centro domiziano. Qui il sentimento di rivalsa nei confronti dei camorristi che hanno devastato il territorio cede miseramente il passo al complicato viver quotidiano. Lo Stato negli ultimi tre anni è riuscito a garantire sulla via Domiziana maggiore sicurezza, ma le occasioni di sviluppo sociale ed economico appaiano oramai poco più di un miraggio. Quello che avanza, invece, è il sentimento di paura, che una volta spente le luci sul territorio, quei fari accesi proprio dalla strage dei migranti, il territorio ritorni nelle mani di faccendieri e prepotenti. @riproduzione riservata

domenica 28 agosto 2011

Dimissioni consiglio comunale

Vincenzo Ammaliato. Diciassette mesi. probabilmente Antonio Scalzone non è superstizioso; eppure il numero diciassette non gli ha portato bene, perché tanti sono i mesi che è durata la sua terza amministrazione del turbolento centro domiziano. Eletto come sindaco di Castel Volturno nel mese di marzo del 2010 a capo di una coalizione di centrodestra, il ragionier Scalzone viene mandato a casa dalla maggioranza del suo consiglio comunale, che ieri sera ha presentato le dimissioni in maniera compatta al protocollo dell’ente di Piazza Annunziata. I nomi degli undici sottoscrittori sono in ordine rigorosamente alfabetico Armando Baiano, Carmine Brancaccio, Alfonso Caprio, Mosvaldo Caterino, Luigi Diana, Giuseppe Gravante, Flavio Iovene, Alfonso Iovine, Luigi Petrella, Umberto Sementini e Luigi Spierto. Più difficile risulterebbe l’elenco per partito politico d’appartenenza, considerando i continui cambi di casacca che hanno contraddistinto questa breve esperienza amministrativa, così come fu quella precedente del giudice Nuzzo. Peraltro, cinque degli undici consiglieri che hanno rovinato l’estate ad Antonio Scalzone, risultano essere stati eletti proprio nel suo partito di riferimento, il Pdl. In ogni caso, l’ormai ex primo cittadino annuncia ricorso legale. “Fra i firmatari delle dimissioni – sottolinea Scalzone – c’è un consigliere illegittimo”. Il suo riferimento è a Carmine Brancaccio, che al momento della campagna elettorale ricopriva la carica di presidente in un’azienda misto pubblico-privata, dove la parte pubblica è del Comune di Castel Volturno. “Sul caso del consigliere Brancaccio – sottolinea Scalzone – si è espressa anche la prefettura di Caserta, secondo cui la sua elezione è illegittima. Pertanto non avrebbe potuto firmare le dimissioni”. Secondo l’ex sindaco è lo stesso Carmine Brancaccio il burattinaio dell’operazione che di fatto ha sciolto la sua amministrazione. E le uniche ragioni che hanno portato a una così grossa adesione sarebbero da ricercare soltanto in aspetti di carattere personale e non politico. Incassato il duro colpo, Antonio Scalzone sferra, poi, il suo attacco: “A breve – avvisa – presenterò un articolato documento, dove, con prove fondate, mostrerò le ragioni delle dimissioni di ogni singolo consigliere comunale. Mostrerò i loro orticelli che la mia amministrazione è andata a ledere, nell’interesse dell’intera collettività; fra cui c’è la mancata bonifica di una cava inquinante, che sarebbe dovuta costare alla famiglia Baiano circa sette milioni di euro. E poi ci sono terreni di proprietà di alcuni consiglieri dissidenti che non sono rientrati nel Puc e tanto altro acora”. E’ una furia l’ex sindaco, che appena ventiquattrore prima aveva sottoscritto un accordo politico con l’Mpa e Forza del Sud per rilanciare la sua amministrazione. Ma anche gli undici consiglieri dimissionari sono apparsi particolarmente determinati. Sul documento di dimisisoni di legge che è la stessa città di Castel Volturno ad aver chiesto loro un atto simile. “ Perché il degrado politco degli ultimi mesi - scrivono - è il responsabile del mancato sviluppo del territorio. La cosa pubblica a Castel Volturno è gestita con inettitudine e assoluta approssimazione. Gli amministatori e la giunta comunale sono assolutamente incapaci e non c'è una maggioranza politica da troppi mesi”. Durante la particolare giornata di ieri, un primo tentativo di dimissioni dei consiglieri era andato a vuoto. Gli undici si erano recati a Caserta per formalizzare la propria volontà dinanzi a un notaio (iter non indispensabile per perfezionare la procedura). Successivamente avevano protocollato l’atto in municipio. Ma il documento era una semplice mozione di sfiducia al sindaco. E’ stata la funzionaria del Comune che ha ricevuto le dimissioni che ha fatto notare l’anomalia. Ormai la frittata, però, era fatta e il protocollo stava per chiudere. Ma per mandare a casa Scalzone non si poteva rischiare di perdere un altro giorno. La notte, infatti, avrebbe potuto far cambiare idea a qualche consigliere. Quindi è stato stilato in fretta un nuovo documento; una nuova carovana di consiglieri, quindi, è ripartita alla volta del notaio di Caserta, e una manciata di minuti prima delle 18, orario di chiusura del municipio, è stato protocollato l’atto, quello giusto.


Vincenzo Ammaliato. A mezzogiorno nel municipio di Castel Volturno la colonnina di mercurio ha toccato la riga record di trentasei gradi. Eppure, fra le stanze del Comune domiziano si respirava un’aria relativamente tranquilla, considerando l’atto delle dimissioni protocollate il giorno prima da undici consiglieri comunali, col quale si è di fatto mandato a casa l’amministrazione Scalzone. Alla prefettura di Caserta i dirigenti sono al lavoro per individuare il commissario da spedire nel centro litoraneo. Probabilmente già lunedì il funzionario metterà piede nel palazzo di piazza Annunziata. Fino a quel momento sarà ancora l’ormai ex sindaco, Antonio Scalzone, a firmare gli atti ufficiali, ma solo quelli ordinari. il commissariamento del Comune di Castel Volturno durerà fino alla prossima primavera. Ma la prefettura, valutando lo stato pietoso delle casse comunali e le inchieste giudiziarie della direzione distrettuale antimafia che vedono coinvolti numerosi pubblici amministratori, dipendenti comunali e agenti di polizia municipale del luogo, potrebbe anche decidere di posticipare le nuove elezioni amministrative nell’autunno del 2012. Intanto, il sindaco defenestrato si dice pronto alla battaglia. Non ha assolutamente intenzione di mollare la carica, e ancora meno la politica. Antonio Scalzone ha fatto sapere di aver già contattato il proprio legale e che sarebbe quasi pronto il ricorso al Tribunale amministrativo dell’atto di dimissioni, “viziato”, a suo parere, dalla firma di un consigliere non legittimato, Carmine Brancaccio. Peraltro, Scalzone ha aggiunto: “chi fa politica come me, per passione e amore del proprio territorio, lo fa per sempre. Pertanto, dello scioglimento di ieri si assumeranno la pesante responsabilità i consiglieri che lo hanno firmato. E in ogni caso, l’atto non servirà a togliere il sottoscritto dai loro piedi”. L’ex primo cittadino, quindi, si candida per lo “Scalzone quater”, ovvero la quarta candidatura a sindaco del paese domiziano. Chissà, se anche nella prossima tornata elettorale, però, sarà appoggiato dal partito delle libertà, spaccato in due tronconi sul litorale domizio: quelli che appoggiano Scalzone sempre e comunque e quelli che lo detestano. Ancora più complicato è lo scenario nei partiti di opposizione, posto che a Castel Volturno fossero esistiti durante questa amministrazione delle vere e proprie compagini politiche di cosiddetta minoranza. All’orizzonte manca un leader carismatico, capace di compattare il fronte. Gli stessi undici dissidenti che hanno messo lo sgambetto al ragionier Scalzone, sono riusciti a farlo solo nell’interesse di defenestrarlo, e non perché avessero un progetto politico alternativo. In ogni caso, è la prefettura adesso chiamata a risolvere le grane che l’amministrazione Scalzone avrebbe dovuto affrontare in questo scorcio di fine estate. La prossima settimana c’era in programma un delicato consiglio comunale con un solo punto all’ordine del giorno: la ratifica del bilancio. In cassa a Castel Volturno non ci sono più soldi. Sarà un commissario a gestire l’emergenza, e non solo questo. C'è da definire anche una volta per tutte la questione degli usi civici in una parte dell'area dove dovrebbe sorgere il nuovo porto turistico, far partire la raccolta differenziata e affrontare il bubbone di Castel Volturno: l'evasione tributaria. Intanto, stasera in piazza delle Fieste è confermata l'esibizione della banda musicale della Nato. Doveva suonare per festeggiare la fine dell'estate; suggellerà, invece, la fine dell'amministrazione Scalzone.

Grand Hotel Pinetamare


Vincenzo Ammaliato. Aveva riaperto i battenti appena due mesi fa, da ieri è nuovamente chiuso il Grand Hotel di Pinetamare. E questa volta, l’imponente struttura alberghiera al centro della località a sud di Castelvolturno non ha chiuso per ragioni commerciali, ma per un atto della procura a seguito di un blitz dei carabinieri accompagnati da agenti dell’ispettorato del lavoro. Ieri mattina, infatti, mentre nella piscina della struttura, stesi sui lettini e in acqua c’erano decine di clienti, i militari dell’arma guidati dal maresciallo Antonio Passaro hanno predisposto un’azione di controllo in materia di lavoro. Al termine dei serrati controlli, dei dieci dipendenti trovati al loro posto di lavoro, ben nove sono risultati essere impegnati senza alcun tipo di contratto. Nove impiegati su dieci, quindi, assunti a nero. All’amministratrice (le cui iniziali fornite dalle forze dell’ordine sono J.M.) della società Grand Hotel s.r.l., che dallo scorso giugno gestisce l’albergo da centocinquanta camere, è stato notificata una contravvenzione molto salata da diciannovemila euro. Solo dopo aver pagato questa cifra, l’albergo potrà riaprire, e con esso la piscina, il ristorante e il bar. Momenti di stupore si sono registrati fra i clienti della struttura alberghiera all’arrivo delle forze dell’ordine. Poco dopo aver compreso quello che stava succedendo, però, tutti hanno lasciato l’albergo e le strutture annesse e i carabinieri hanno potuto completare liberamente i propri controlli. Il Grand Hotel Pinetamare fra gli anni ’60 e ’70 aveva rappresentato il fiore all’occhiello della località turistica. Qui d’estate arrivavano a svernare numerosi turisti dal nordeuropa, e si organizzavano spettacoli con artisti di rilevanza internazionale. Nel 1981, però, iniziò la sua parabola discendente a seguito della decisione della Regione Campania di far ospitare nella struttura temporaneamente parte degli sfollati del terremoto che avave funestato l'Irpinia e Napoli. I cosiddettiSeguirono lunghi anni di anni di abbandono, fino a quando, a cavallo fra gli anni '90 e 2000, la famiglia Coppola, proprietaria della struttura, decise la sua laboriosa ristrutturazione, e al termine dei lavori fu affidata a una società turistica di Como che aveva numerosi credenziali nel settore. Dopo tre anni di attività, però, i gestori andarono via, lasciando all’asciutto i fornitori, senza vacanza i clienti e soprattutto senza corrispondere gli stipendi arrestrati e le liquidazione i dipendenti. Da qui seguirono altri tre anni di chiusura per la struttura, nelle cui mura sono stati girati alcuni film, il più famoso fra tutti “Stasera mi butto” con l’attrice Lola Falana e la coppia comica Ciccio e Franco. A giugno, finalmente, la riapertura, con una nuova gestione e tante speranze per il territorio che nella ripresa del Grand Hotel pone sempre molte aspettative, soprattutto, come volano per il settore commerciale. Evidentemente, però, questa nuova esperienza è partita col piede sbagliato, assumendo il personale senza contratto. La stagione estiva, intanto, volge al termine. La strttura non è stata sequestrata, hanno fatto sapere i carabinieri. Però per riaprire i battenti dovrà pagare l'ingente multa. Tutta la località di Pinetamare confida che il Grand Hotel non resti abbandonato al centro della territorio come esempio di una rinascita agognata ma che non arriva più.


Vincenzo Ammaliato. I carabinieri di nuovo in azione al Grand Hotel di Pinetamare. Questa volta, però, non si tratta di un’operazione di contrasto al lavoro nero, ma di qualcosa di molto più grosso. Per la direzione distrettuale antimafia di Napoli che ha firmato i cinque ordini d’arresto eseguiti dai carabinieri della locale stazione di Pinetamare, coadiuvati dai colleghi della compagnia di Mondragone, non c’è dubbio: è il clan dei casalesi che tenta di rialzare la testa dopo i duri colpi subiti negli ultimi tre anni anche sul litorale domizio dalla dura attività di repressione e investigazione messa in campo dagli apparati statali. A finire con le manette ai polsi e condotti in varie strutture carcerarie sono state cinque persone, sorprese all’alba nelle proprie abitazione. Si tratta dei quattro soci dell’istituto di vigilanza che gestisce la sicurezza all’interno del Gran Hotel: Luca Aprea, quarantadue anni, residente a Giugliano, i coniugi Natale Fioretto di cinquantuno anni, e Vincenza Vorzillo di quarantanove, domiciliati a Secondigliano, e del loro figlio ventottenne, Vincenzo Fioretto, residente a Melito. L’ultima persona raggiunta da decreto di fermo indiziato di reato è Alessandro Frongillo, un venticinquenne di Castelvolturno, residente in via Latina. L'uomo ha alcuni precedenti penali per reati contro la persona e il patrimonio, ma a suo carico risultano anche numerose informative di polizia che lo danno come molto vicino al clan camorristico dei casalesi e probabile nuovo referente della stessa banda criminale per l’area di Pinetamare. Secondo l’accusa dei giudici della direzione investigativa antimafia di Napoli, i cinque arrestati si sarebbero resi responsabili del reato di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso nei confronti dei gestori del grosso albergo posto al centro di Pinetamare, il Grand Hotel. Avrebbero, in pratica, imposto il servizio di vigilanza alla nuova gestione della struttura, e tentato di estorcergli denaro per conto e per nome del clan dei casalesi. A margine dei decreti di fermo, sono stati anche sequestrati i locali commerciali dove ha sede a Pinetamare la Traidng Security Aprea S. a. S., l’istituto di vigilanza oggetto del blitz. Gli inquirenti, hanno tenuto a precisare che agli arresti si è arrivati dopo una laboriosa azione d'indagine investigativa, posta in essere grazie a numerose intercettazioni ambientali.


Vincenzo Ammaliato. “Se l’indagine della direzione distrettuale antimafia di Napoli che ha portato all’arresto dei soci dell’istituto di vigilanza che presta servizio anche nel nostro albergo è concentrata esclusivamente sulla Grand Hotel Pinetamare, allora possiamo senza paura d’essere smentiti che ha preso un grosso granchio”. Aniello Tuccillo, il direttore della struttura alberghiera, poche ore dopo aver appreso degli arresti eseguiti dai carabinieri per una probabile estorsione subita dal suo hotel è categorico: “Non abbiamo subito alcuna pressione per avere indebitamente soldi o qualsiasi altra cosa da nessuno, meno che dall’istituto di vigilanza Aprea”. La società che lui rappresenta, La Grandi Alberghi s.r.l. con sede sociale ad Afragola, ha rilevato appena due mesi fa la gestione dell’albergo dei proprietà dei costruttori Coppola. “L’istituto Aprea – sottolinea il direttore Tuccillo – presta il suo servizio per il Grand Hotel da circa dodici anni. Noi abbiamo messo piede nella struttura da appena poche settimane, e ci è sembrato naturale confermare tutti i contratti con i precedenti fornitori di beni e servizi, fra i quali c'è anche l’istituto Aprea. E così come non ho notizie che in passato ci sono stati problemi di nessun tipo fra gli Aprea e i vecchi gestori, allo stesso modo, nel mese e mezzo che è iniziata la nostra attività, i rapporti con l’istituto di vigilanza sono più che buoni”. Seduto di fianco al Aniello Tuccillo ci sono i soci della Grandi Alberghi e l’amministratrice della società. Tutti confermano le parole del direttore, che aggiunge “Sia il sottoscritto, sia i soci della Grandi Alberghi, qualora chiunque di noi subisse una richiesta estorsiva, non esiteremo un solo istante ad avvisare le forze dell’ordine. In questo caso, però, non è successo nulla del genere. O quanto meno niente che ci abbia allarmato o preoccupato: nessuna minaccia, nessun furto, nessuna pretesa fuori dalle righe. In questo pochi giorni di nostra gestione al Grand Hotel Pinetamare è filato tutto liscio”. E’ visibilmente turbato il direttore del Gran Hotel. Sottolinea di aver appreso dell’operazione dai mezzi d’informazione. Di essersi recato spontaneamente dai carabinieri per chiedere maggiori dettagli. La sua società, seppure arrivata da poco a Castel Volturno ha aderito all’associazione commercianti di Pinetamare. E aveva fatto richiesta di adesione anche all’associazione antiracket Mimmo Noviello. “Le cose che succedono in questa zona – aggiunge il direttore Tuccillo – continuano a stupirci. In ogni caso, abbiamo investito a Castelvolturno perché crediamo che sia un territorio dalle grosse potenzialità. Qui, abbiamo anche trasferito le nostre famiglie. E nonostante tutto continueremo la nostra attività”.



martedì 16 agosto 2011

Tartaruga Caretta - Caretta morta



Vincenzo Ammaliato
Sono le 17, e il soccorso acquatico dei vigili del fuoco e una motovedetta della capitaneria di porto si dirigono entrambi velocemente in direzione della spiaggia di Fontana bleu per un’emergenza. Ma qui, al Lido Il Gabbiano, non c’è alcun bagnante in difficoltà da soccorrere. Sull’arenile si è spiaggiata l’ennesima tartaruga marina. Ed anche in questa circostanza, come tante altre in precedenza, la testuggine è morta. La sfortunata tartaruga era della specie Caretta-Caretta ed era lunga circa un metro. Non presentava sul corpo alcuna lesione. Ma aveva delle macchie di sangue sul volto, probabilmente fuoriuscite dal naso. “Si tratta sicuramente di un’animale morto a causa della pesca di frodo effettuata con la tecnica delle bombe”, sentenzia Luigi Russo, il titolare dello stabilimento balneare. Che poi aggiunge: ”li vedo tutte le sere i pescherecci arrivare fin quasi sotto la riva. E di notte sento il fragore dell’esplosioni”. La tartaruga morta ieri e solo l’ultima in ordine di tempo di una lunga lista di stessi esemplari spiaggiati a Castelvolturno, e purtroppo non sarà neanche l’ultimo; perché la pratica della pesca di frodo in zona è molto diffusa. La Caretta–Caretta è un esemplare in via d’estinzione. Solitamente, parte dalle limpide acque del Peloponneso per raggiungere il mar Tirreno. E qui spesso va incontro a una cattiva sorte.

Lavoratori immigrati sorpresi di spalle e picchiati



Vincenzo Ammaliato.
La prima vittima degli agguati è stato un giovane nigeriano, bersagliato da un lancio di pietre. Poi è stata la volta di un immigrato ghanese, spintonato di spalle e fatto ruzzolare a terra. L’altra notte, invece, l’asticella della violenza si è pericolosamente alzata: la vittima delle aggressioni è stato un liberiano, accerchiato da un gruppo di almeno dieci persone e malmenato con delle aste di legno, e come le volte precedenti, senza alcuna ragione apparente. Il luogo degli agguati e l’orario sono sempre gli stessi: la strada di Destra Volturno che dai villini porta alla fermata del pullman sulla via Domitiana, fra le quattro e le cinque di mattina. Gli assalitori si materializzano nel buio dai viali polverosi del quartiere a bordo di scooter e in auto. Sono probabilmente gruppi di giovani italiani ed hanno fra i diciotto e i venticinque anni. Le loro vittime, giovani immigrati che in questo quartiere dormono, e che tutte le mattine dell’anno, anche nel periodo di ferragosto, si alzano dal letto alle 4 della mattina e si recano sul doppio senso nella provincia di Napoli attendendo chiunque gli possa offrire una giornata di lavoro. A denunciare le aggressioni è l’Imam della piccola moschea di Castelvolturno, Kamal. “Si tratta di atti vili, condotti da gruppi di persone che prendono di mira ragazzi di colore che viaggiano da soli”, sottolinea con rabbia l’Iman Kamal, che aggiunge: “Sto cercando di rassicurare i miei fratelli del posto che a breve queste aggressioni termineranno, di stare tranquilli e di non cedere alle continue provocazioni. Ma le istituzioni e le forze dell’ordine ci devono stare vicini. Temo si possano verificare anche qui a Castelvolturno tumulti molto simili a quelli scoppiati due anni fa a Rosarno”. Ma chi sono gli assalitori degli immigrati lavoratori a nero di Destra Volturno? Le vittime si esprimono in inglese, e spiegano che è gene che viene in questo quartiere di Castelvolturno “in the summer time” (nel periodo estivo). Si tratta quindi probabilmente di villeggianti. “Di giorno – racconta Anthony Prince, uno degli immigrati colpito – li vedi circolare impunemente per il quartiere a bordo di moto senza casco, ma anche a dorso nudo e con in bella mostra tutti i loro numerosi tatuaggi. Perché – chiede l’immigrato – nessuno interviene e gli è consentito fare ogni cosa desiderano, anche se illegali. Perché ci prendono come bersaglio i ci aggrediscono con tanta rabbia?”. Anthony ha la testa fasciata, numerosi dubbi e tanta perplessità. Lui e i suoi amici non si sono recati dalle forze dell’ordine per denunciare le aggressioni. “Siamo clandestini – spiegano con la paura che si materializza nei loro occhi – se lo facciamo rischiamo di essere arrestati”. I balordi dell’estate castellana sanno bene che le loro vittime difficilmente li denunceranno. Si tratta certamente di vigliacchi che proprio per questo motivo scelgono loro come vittime.

I parcheggi della camorra


Vincenzo Ammaliato. Per la polizia che sta seguendo il caso, non si tratta di una bravata estiva di ragazzetti annoiati, né di un episodio da sottovalutare. Il parabrezza dell’auto di Fabrizio Maddaluno sfondato l’altra notte da un colpo d'arma di fuoco esploso da anonimi pistoleri potrebbe rappresentare il segnale di alcune contrapposizioni all’interno di personaggi del posto legati alla malavita organizzata. Maddaluno, seppure pregiudicato per vari reati, non è mai stato coinvolto in fatti di associazione a delinquere; ufficialmente è disoccupato. Ma è conosciuto bene dalle forze dell'ordine del luogo come parcheggiatore abusivo. Lui è uno dei tanti giovani di Castelvolturno che in estate e nei finesettimana si piazzano ad ogni angolo della località pronti ad accogliere i numerosi automobilisti che qui arrivano per recarsi negli stabilimenti balneari e nelle attività ristorative e a estorcere loro soldi per il parcheggio dell’auto (due euro nei giorni feriali, tre i fine settimana). E non si tratta di improvvisati disoccupati che cercano con questo tipo di attività di sbarcare il lunario. I parcheggiatori abusivi della località domiziana, infatti, sono sempre stati gestiti direttamente dalla criminalità organizzata, che qui aveva fino allo scorso anno in una vecchia e radicata famiglia malavitosa i propri reggenti. Recenti operazioni della direzione antimafia di Napoli, però, l'ha di fatto annullata. E ai vecchi capi ne saranno sopraggiunti di nuovi; col passaggio, qualcosa nel collaudato business dei parcheggi sarà saltato. Non tutto per i nuovi boss evidentemente sta scivolando liscio. L’atto intimidatorio all’auto di uno dei parcheggiatori abusivi, potrebbe esserne la dimostrazione. Peraltro, nelle ultime settimane ci sono state numerose attività di contrasto del fenomeno dei parcheggi abusivi portate a termine dalle forze dell’ordine. Ci sono stati anche alcuni parcheggiatori arrestati perché colti in flagranza di reato da carabinieri che si erano finti automobilisti in cerca di sostare la propria vettura. Evidentemente i nuovi capi non sono riusciti a gestire alla perfezione gli eventi. Lo sparo dell’altra notte potrebbe essere il chiaro sintomo che qualcosa nel collaudato business si è rotto. Oppure, semplicemente, i soldati stanno accettando malvolentieri gli ordini dai nuovi ufficiali. Pinetamare attende i nuovi sviluppi. Intanto, chiunque in questa località desidera parcheggiare la propria vettura per strada continuerà a pagare due o tre euro a secondo della giornata alla camorra.

famiglia con bambini in ccasa senza ringhiera



Vincenzo Ammaliato
C’è chi per la cura della casa dove vive ha un’attenzione maniacale; c’è chi è sempre attento a fornirla dell’elettrodomestico di ultima generazione e di quello alla moda; c’è chi il tempo libero lo dedica interamente alla manutenzione di porte, finestre e rubinetti. E c’è anche chi vive in un’abitazione al secondo piano di una palazzina, dotata di una grossa balconata, ma sprovvista di ringhiera. Se poi, in questa casa, ci sono anche due bambini, e allora, la circostanza diventa imbarazzante per chiunque ne viene a conoscenza e si volta dall’altra parte convinto che il problema non lo riguardi. La casa in questione si affaccia sull’ormai ex porto di Pinetamare, nel Comune di Castelvolturno. Qui dovrebbe nascere il nuovo molto turistico da milleduecentocinquanta posti barca. Intanto c’è solo un grosso scheletro di cemento, che una volta era un quartiere che ospitava le famiglie dei militari della Nato, il parco Saraceno. Oggi è un vero e proprio “luogo non luogo”, dove nelle circa trenta palazzine si ritrovano come attratti da una calamita uomini e donne (e con loro bambini) che per diverse ragioni, ognuna con una propria caratteristica peculiare, hanno ormai poco da chiedere e da offrire alla società e che qui cercano di sbarcare il lunario e una rete familiare perduta o mai avuta. Per lo Stato, il parco Saraceno non è una zona franca: semplicemente, non esiste. Qui, gli abusivi che ci abitano, oltre che ovviamente non pagare l’affitto, non pagano le bollette della luce, né quella dell’immondizia, né quella dell’acqua. Loro non sono degli anarchici, non strappano le fatture quando gliele consegna il postino. Perché, qui non arriva nessun postino; e in ogni caso, nessun ente, pubblico o privato che sia, emette fattura per i servizi che eroga anche per loro. Da almeno otto anni, da quando si parla della costruzione del nuovo porto turistico, fra le stanze del municipio castellano si sente dire che il parco Saraceno sarà demolito interamente (per fare spazio a pontili e yacth). Eppure, in tutto questo tempo, le uniche cose che sono venute giù, e che continuano a cadere, sono interi pezzi dei cornicioni delle malandate palazzine. Cadono sull’asfalto, talvolta sulle automobili parcheggiate in sosta. E fin’ora, forse solo perché il “cielo” così ha voluto, mai in testa a qualche passante. La società che deve realizzare il nuovo porto, la Marina di Pinetamare dei costruttori Coppola, dovrebbe presentare al municipio litoraneo un progetto di riqualificazione della zona. Lo strumento urbano, poi, dovrebbe essere valutato dalla Provincia di Caserta e dalla Regione Campania; ma intanto, se n’è persa traccia. Così come degli stessi lavori del nuovo porto, annunciati numerose volte come imminenti negli ultimi due anni, mai partiti definitivamente. La gente del luogo li aspetta con particolare ansia, avendo concentrato proprio nella realizzazione del porto le speranze per la riqualificazione del proprio territorio, diventato da almeno un ventennio “terra di nessuno”. Probabilmente, anche i componenti della famiglia con la casa senza ringhiera aspettano l’inizio dei lavori del nuovo molo, ma con delle prospettive diverse. Per questo, forse, si affacciano al balcone e si siedono, col rischio di cadere di sotto. Aspettano anche loro come tutti gli altri abitanti di Pinetamare e di Castelvolturno l’inizio del lavori del nuovo porto. Un’ attesa che sulla Domiziana assomiglia sempre più a quella per Godot, il protagonista del celebre romanzo di Samuell Beckett.

Bagnara

12/08/2011
Vincenzo Ammaliato. Benvenuti a “Bagnara Beach”. Benvenuti sulla costa a nord di Castelvolturno dalla soffice e sottile sabbia dorata. Benvenuti ai numerosi bagnanti di ferragosto sulla spiaggia che non esiste. Sono centinaia le persone che l’hanno scelta come meta per le proprie ferie. Eppure, sull’arenile di Bagnara, quartiere confinante con quelli di Destra Volturno e Pescopagano, è assolutamente e formalmente vietato fermarsi e prendere il sole; ancora più, tuffarsi in acqua e fare il bagno. Il mare qui, però, non è inquinato. Anzi. Lo scorso anno gli unici tre chilometri di mare balneabile a Castelvolturno li ottenne proprio Bagnara. E’ il lento ma inesorabile fenomeno naturale dell’erosione della costa a causare i disagi in questa parte del litorale domizio. Dieci anni fa qui c’erano almeno duecento metri dall’inizio dell’arenile alla riva del mare. Oggi, i metri non sono più di cinque. Le strutture dei dieci stabilimenti balneari che insistevano su questa spiaggia sono state completamente inghiottite dal mare. E anche le numerose villette del quartiere stanno subendo la stessa sorte. L’amministrazione comunale di Castelvolturno lo scorso mese di maggio ha emanato delle ordinanze di divieto di transito sull’intera area. E la protezione civile regionale ha impegnato oltre centomila euro prelevandoli dai capitoli per le “somme urgenze” per delineare l’area e istallare dei new jeresey in cemento. Ma i pendolari del mare attratti dalla giornata in spiaggia gratis e la gente del posto evidentemente troppo affezionata a quest’arenile, sfidano ogni giorno divieti e barriere per prendere il sole qui e fare il bagno fra le macerie degli immobili costruiti abusivamente. Bagnara, quando fu realizzato negli anni ’70 era un quartiere turistico senza grosse pretese, nato col preciso compito di offrire la possibilità anche a chi non aveva grosse capacità finanziarie di avere una “seconda casa a mare. Quelle case realizzate a basso costo, però, furono tirate su quasi tutte in dispregio di qualsiasi norma edilizia; furono realizzate, peraltro, su demanio marittimo e forestale. In tutto questo tempo, nessuna istituzione ha pensato di dare corso alla legge e demolirle gli immobili abusivi. Eppure oggi Bagnara agli occhi dei suoi bagnanti abusivi, appare come un quartiere dilaniato dalle bombe. Ovunque, sulla spiaggia e in mare spuntano tubi in ferro arrugginito, parti di mattonelle e calcinacci vari. E il merito (o la colpa, per altri) di questa devastazione in salsa castellana è della natura che si sta riprendendo lentametne una personale rivincita sull’uomo che qui è stato decisametne troppo spregiudicato. Intanto, anche questo ferragosto passerà, e i bagnanti abusivi della spiaggia di Bagnara per il prossimo anno dovranno cercarsi quasi certamente un'arenile alternativo.

Ferragosto a castelvolturno

11/08/2011
Vincenzo Ammaliato. Le casse comunali sono vuote e l’amministrazione non ha la possibilità di finanziare le classiche feste estive per intrattenere e divertire residenti e turisti? A Pinetamare i commercianti e l’associazione religiosa Santa Maria del Mare fanno gruppo, si incontrano e decidono di mettere su un eterogeneo cartellone di eventi a proprie spese. La chermesse durerà sei giorni e unirà sotto le stelle musica, gusto e culti sacri. Per tutta la durata della manifestazione ci saranno nel piazzale dei Gabbiani stand con prodotti enogastronomici locali. La partenza è prevista per questa mattina alle 10 con il Freshmade, una no stop di musica rap e realizzazione di graffiti, che come dice il suo ideatore, Vanni de Stefano “ha il sapore dei tempi passati, ma che si affaccia al futuro”. A seguire, alle 22, sempre in piazza dei Gabbiani, si esibirà il gruppo di Susy Savarese, con un revival musicale di brani anni ’70 e ’80. Domani, invece, sempre nello stesso luogo sarà il turno di una cover band di musiche di Pino Daniele. Mentre nel piazzale dei Gigli (quello antistante la Chiesa) si esibiranno i diciotto componenti del gruppo Roma Napoli andata e ritorno, del tenore Christian Moschettino, col loro collaudatissimo spettacolo “dal Vesuvio al Cupolone”. Sabato, sarà il giorno dedicato al gruppo Radio Freccia, con canzoni ispirate al cantante Luciano Ligabue. Mentre la vigilia di ferragosto, domenica, sul palco del gabbiano salirà la VR Band, che eseguirà canzoni del rocker Vasco Rossi. Il giorno di ferragosto, invece, sarà dedicato alle dolci note della musica classica napoletana, con Gianni Mobilya e la Tammuriata band. Gli eventi si concluderanno con la processione marittima della statua della Madonna del Mare e i classici fuochi d’artificio esplosi sulla spiaggia di fronte al porto.

Ieri i sigilli al centro commerciale

23 Luglio 2011
È stato il frastuono dell'elicottero in volo sulla via Domiziana a dare il buongiorno alla gente del Villaggio Coppola e a quelli di via Veneto. Il velivolo della Guardia di Finanza ha iniziato a sorvolare incessantemente l'area del centro commerciale dalle 9. Quindici minuti dopo, nel parcheggio del Giolì hanno fatto irruzione numerose vetture della Guardia di Finanza. Dai veicoli sono scesi almeno cento agenti in divisa grigio-verde che si sono diretti in parte nei numerosi negozi della galleria, che avevano appena aperto al pubblico, e in parte negli uffici del terzo piano della struttura commerciale dove si trova la dirigenza del centro, e qui sono rimasti per tutta la giornata. Ovviamente si sono registrati momenti di stupore e anche a tratti angoscia fra i gestori delle varie attività e il personale del Giolì.
Ai vari negozianti della galleria, circa una quarantina, sono state chieste informazioni sulle titolarità delle gestioni; gli agenti hanno annotato i dati, chiesto di poter visionare le carte contabili e quelle statutarie; poco dopo sono andati via, senza rilasciare alcuna notifica. «Attendevamo con grosse speranze l'arrivo dell'estate e che arrivassero più clienti, affinché potessimo sistemare parte dei bilanci delle nostre attività – ha commentato amareggiato il gestore di un negozio della galleria – invece, è piombata la Guardia di Finanza per controllare se avessimo contatti con i camorristi. Tutto questo è assurdo». In ogni caso, i negozi della galleria risultano essere ancora tutti aperti al pubblico; il centro commerciale, in pratica, non ha chiuso, nonostante la società che ha realizzato e che gestisce la struttura sia stata sequestrata dai finanzieri.
Centro Commerciale GioliIl Giolì fu inaugurato con una gran festa alla presenza del primo cittadino del posto, Antonio Scalzone, nel mese di aprile dello scorso anno, poche settimane dopo le elezioni per il rinnovo dell'amministrazione comunale. E il centro commerciale di fronte al Villaggio Coppola fu a tutti gli effetti il protagonista della campagna elettorale che precedette quelle elezioni. Quasi tutti i candidati in lizza, infatti (in maniera trasversale fra quasi tutti i partiti), si schierarono apertamente per la sua apertura, ostacolata dalle norme comunali al commercio che non prevedevano l'apertura di una struttura simile nell'area dove si trova. Secondo l'accordo di programma sottoscritto nel 2003, infatti, a Castelvolturno sarebbero dovuti nascere due centri commerciali, entrambi realizzati dalle società del Consorzio Rinascita. Una terza struttura, quindi, non era assolutamente prevista. Per questo motivo, la società che ha realizzato il Giolì chiese ed ottenne dal Comune litoraneo soltanto una licenza per la realizzazione di un impianto produttivo, e non commerciale.

A febbraio del 2010, però, un esercito di quasi mille persone marciò dal Giolì ancora chiuso alla casa comunale in piazza Annunziata, chiedendo l'apertura del centro a tutti i costi, perché secondo loro avrebbe dato lavoro centinaia di disoccupati del posto. Anche la passata amministrazione, quella turbolenta del magistrato Francesco Nuzzo, rischiò di sciogliersi più volte, a causa delle continue forzature che alcuni consiglieri comunali proponevano per l'apertura del centro, chiedendo la modifica del piano commercio. L'inchiesta di ieri che ha portato al sequestro della società che gestisce il Giolì, in ogni caso, farà chiarezza sulle singole responsabilità. Anche se gran parte della storia del centro commerciale è già raccontata nelle seicento pagine dell'impianto accusatorio della direzione distrettuale antimafia di Napoli che lo scorso novembre portò all'arresto di tre persone e al coinvolgimento di quarantuno fra amministratori politici, pubblici ufficiali e dipendenti comunali di Castelvolturno, tutti accusati di associazione a delinquere e a vario titolo di aver favorito il clan camorristico dei casalesi. Indagati anche, per abuso d'ufficio, i sindaci Francesco Nuzzo e Antonio Scalzone. Per permettere l'apertura del Giolì, secondo quell'inchiesta, furono violate numerose norme sia civili, sia penali; ci fu corruzione, concussione e anche una tangente di circa duecentomila euro. Intanto, questa sera nella piazzetta del Giolì, Guardia di Finanza permettendo, c'è in programma una lezione gratuita di tango argentino. © RIPRODUZIONE RISERVATA

giovedì 7 luglio 2011

Accoltella il tunisino che gli ruba le scarpe

06/07/2011

Castel Volturno. È la miseria, quella più stringente, la protagonista della tragedia sfiorata l’altra sera a Pinetamare. I fatti, ricostruiti dai carabinieri della locale stazione, parlano di un immigrato keniota di sessantaquattro anni senza fissa dimora, che da qualche settimana vive in un immobile abbandonato di via Tigli, derubato da un tunisino di un paio di scarpe. L’uomo si accorge del furto al suo rientro nella villa di via Tigli. Immediatamente è assalito dall’ira. Impugna un coltello da cucina con una lama lunga ben trentuno centimetri e va alla ricerca del ladro. I coinquilini, anche per non essere sospettati del furto, immediatamente gli indicano il responsabile. Lui lo incrocia poco dopo per strada. Il tunisino ai piedi porta proprio le scarpe da poco rubate. Inizia fra i due una furiosa lite. Il keniota riesce anche a recuperare le sue scarpe, ma prima di andare via sferra un fendente al suo rivale. Il coltello resta infilzato sotto la scapola del tunisino, che si accascia al suolo in una pozza di sangue. Il keniota scappa, gli altri immigrati avvisano i soccorsi. Il nordafricano è trasferito dal 118 alla clinica Pinetagrande, dove è tutt’ora ricoverato in prognosi riservata, ma non rischia la vita. I carabinieri, invece, trovano il keniota e lo arrestano con l’accusa di lesioni gravi. Con lui ha le scarpe che le sono state rubate poco prima. v.a. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Un bus tra Pinetamare e Licola, c'è la proposta

06/07/2011

Vincenzo Ammaliato Castel Volturno. Soltanto chi almeno una volta nella sua vita ha utilizzato (oppure, ha provato a farlo) l’autobus di linea che dalla Domitiana porta a Napoli e viceversa, può percepire l’utilità della nuova linea proposta dall’amministrazione comunale di Castel Volturno e che a breve sarà allo studio negli uffici della dirigenza dell’Azienda casertana di mobilità: la linea che dovrebbe collegare Pinetamare e Licola. Per l’esattezza, si tratta dell’arretramento del capolinea dell’autoservizio che attualmente già collega Caserta a Pinetamare, e che dovrebbe arrivare fino alla stazione della circumvesuviana nel territorio di Pozzuoli. La corsa, quindi, si dovrebbe allungare di circa venti chilometri. Quest’estensione permetterebbe di alleggerire notevolmente il traffico di passeggeri che si registra soprattutto la mattina sull’unica corsa attualmente presente, quella della Ctp con il famigerato M1. Questa linea da oltre enti anni, è presa letteralmente d’assalto da lavoratori e studenti sin dalle prime ore del giorno. Un esercito di pendolari (fra i quali migiaia di immigrati) che proprio all’altezza di Pinetamare ingrossa gli autobus, che diventano appunto stracolmi creando grossi disagi oltre che per i passeggeri, anche per il personale dell’azienda napoletana di mobilità stradale. Spesso capita ai pendolari fermi sulle banchine in attesa dei pullman, di vedere sfrecciare il loro mezzo senza che si fermi per permettere la salita, perché troppo carico. Gli autisti cercano di fare il loro possibile per lenire i disagi, viaggiando spesso anche con più passeggeri di quanto sia consentito. Il numero di quelli in piedi spesso supera quello dei viaggiatori seduti. E in queste delicate circostanze è oltremodo complicato controllare la regolarità degli abbonamenti e dei biglietti; con la conseguenza che gran parte dei passeggeri viaggia impunitamente senza aver pagato la corsa, creando un grosso danno economico all’azienda. Ma questi problemi potrebbero essere risolti a breve, se l’Acms riuscirà a recuperare le somme necessarie all’arretramento del capolinea di Pinetamare. La provincia di Caserta, socio di maggioranza dell’Acms, ha già approvato la variazione. Ma la data di partenza non è ancora certa. Lo spostamento del capolinea, infatti, sarà discusso durante il periodico studio d’esercizio previsto dai vertici dell’Acms il prossimo 15 luglio. «Sarà la provincia di Caserta – ha sottolineato il direttore d’esercizio, Eliseo Cuccaro – che dovrà indicarci i chilometri di corsa da tagliare su quelli previsti in aumento per arrivare fino a Licola. Ma ad oggi – ha aggiunto il dirigente dell’Acms - non possiamo dare ancora per certa la data di partenza del nuovo servizio; questo sarà possibile solo dopo la riunione del 15». © RIPRODUZIONE RISERVATA

"Ridateci Mina, ha bisogno di cure e del nostro amore"

05/07/2011

Vincenzo Ammaliato
Quattro strutture sanitarie e tre socio assistenziali. È un vero e proprio calvario quello che sta patendo Mina, una bambina del centro litoraneo di nove anni e mezzo nata con gravi disturbi psicomotori e protagonista di un’involontario peregrinare da una struttura all’altra, iniziato lo scorso 24 marzo. Quando il papà, Salvatore Palomba, dopo aver accompagnato la moglie (e mamma di Mina) al pronto soccorso per dei forti dolori intestinali, mentre la donna è in camera operatoria, la lascia nella stanza degli affari sociali del suo Comune, Castel Volturno, chiedendo ai funzionari di assisterla. Tornato dopo qualche ora, l’uomo, anziché la bambina, trova i carabinieri e una denuncia per abbandono di minore. Quest’atto, poi, si trasforma nella perdita della patria podestà per entrambi i genitori con sentenza del tribunale dei minori. Mina in tutti questi cento giorni è trasferita da una struttura all’altra, situate in tre diverse province; ma nessuno di questi centri è risultato idoneo per curare le sue patologie. Venerdì scorso, poi, l’ultimo trasferimento, presso una comunità di tipo “famiglia” di Giugliano. Qui sono immediatamente sorti forti contrasti fra i genitori di Mina e i titolari della struttura, culminati con la decisione di questi ultimi di acconsentire solo una visita settimanale di due ore per Salvatore e Anna alla loro figlia. Intanto, i genitori di Mina, che per il tribunale dei minori potranno riavere la figlia solo dopo aver trovato una nuova casa e un lavoro stabile, hanno protocollato delle formali denunce alle forze dell’ordine contro la magistratura e i funzionari del Comune di Castel Volturno, ritenuti responsabili di sequestro di persone e tentato omicidio ai danni della loro figlia, che dallo scorso maggio ha interrotto la riabilitazione e i cui valori dell'emoglobina sono in continua ascillazione. Dall’ufficio affari sociali chiariscono di aver fatto il possibile per la famiglia Palomba e che la situazione è precipitata soprattutto per il carattere irruente di Salvatore. Intanto, Mina, nata con una forte tetra paresi spastica (oltre che ipovedente, col piede equino e con lo spostamento dell’anca), non capisce perché è stata portata via da casa sua e non può farvi rientro. © RIPRODUZIONE RISERVATA

martedì 5 luglio 2011

Il campo è gratis, parola di Muli


02/07/2011

Vincenzo Ammaliato Castel Volturno.
Di fronte alle inefficienze dei pubblici amministratori c’è chi si indigna, sbuffa e poi critica la classe politica. Ma c’è anche chi dopo aver fatto tutte queste cose, si rimbocca le maniche e prova autonomamente a risolvere il problema, o almeno parte di esso. E così che dopo molti anni di assenza totale di basket, anche a Pinetamare si può tornare a lanciare la palla nel fatidico cesto. Esattamente otto anni fa chiuse per manutenzione la palestra della scuola media dove praticavano questo sport centinaia di giovani, e ancora oggi la struttura è inesorabilmente inagibile. Anche i tre campi all’aperto della zona per diverse ragioni sono spariti. Mentre tre anni fa per motivi oscuri alla collettività chiuse i battenti anche il palazzetto di via occidentale. Da oggi, però, nuovamente pantaloncini corti e canotta, perché finalmente, sarà inaugurato un nuovo campo di basket, il «Muli-playground». Una struttura sportiva nata a due passi dal mare nel parco del Royal Residence dalla buona volontà di alcuni giovani di Pinetamare, uniti nell’associazione culturale Villaggi Globali. I Muli (così come si autodefiniscono i volontari dell’associazione) sono riusciti a fare in brevissimo tempo quello che in anni non hanno fatto gli enti locali; peraltro, senza chiedere alcun finanziamento pubblico: si sono autotassati, hanno poi chiesto aiuto a tutte le altre associazioni della zona e a singoli cittadini, e un po’ tutti hanno contribuito. È così che in meno di un mese un angolo del territorio di Castel Volturno che era abbandonato al degrado è stato recuperato ed è nato il nuovo campo di basket. Ad inaugurare questa mattina alle 12 la struttura ci sarà un telecronista sportivo di Sky, icona della pallacanestro nazionale Flavio Tranquillo e un giudice della Dda di Palermo Mario Conte. Saranno loro a fare il primo tiro; subito dopo il Muli-playground poi sarà a disposizione di chiunque, gratuitamente. «Qualche giorno fa – racconta uno dei muli – mentre stavamo per ultimare il campo, un gruppo di ragazzini ci ha chiesto se poteva fare dei tiri e noi ovviamente abbiamo acconsentito. Fra loro, abbiamo riconosciuto una coppia di adolescenti che un paio di giorni prima per ingannare i monotoni pomeriggi castellani tirava pietre agli immigrati. Adesso, invece, hanno la possibilità di fare dello sport». © RIPRODUZIONE RISERVATA

Turismo e riqualificazione: intesa per il litorale domizio


30/06/2011
Prevista la ristrutturazione di un bene confiscato, che diventerà sede del Cirm

Vincenzo Ammaliato Castel Volturno.
Per gran parte dell’opinione pubblica il territorio a sud del litorale domizio è già compromesso, condannato da una speculazione edilizia che negli anni ’60 e ’70 senza alcun coordinamento ha cementificato intere aree, e dalle ecomafie che nel ventennio successivo qui hanno smaltito illegalmente rifiuti speciali e industriali. Eppure, c’è ancora chi crede che Castelvolturno possa rappresentare un modello di sviluppo turistico capace di fare da volano per l’economia dell’intera Regione Campania. Parte da questo presupposto il protocollo d’intesa firmato ieri mattina nel municipio del Comune castellano fra l’amministrazione comunale e Centro Interdipartimentale Ricerca e Management della Seconda Università degli Studi di Napoli. Con la firma, in pratica, è nato a Castelvolturno un «Centro di monitoraggio pedometrico e ambientale per la tutela del suolo e dell’ambiente, la qualità delle agro produzioni e per la valorizzazione dell’intero territorio». Il neo costituito centro avrà una sua sede in un bene confiscato alla criminalità organizzata, messo a disposizione dal Comune, in via Mezzagni. La durata del progetto, invece, è di cinque anni. In tutto questo periodo, i tecnici del Cirm analizzeranno i suoli, l’aria e soprattutto le acque del territorio di Castelvolturno. Mentre i fondi necessari alla gestione saranno reperiti dai Pon sull’ambiente. «La nascita di un organismo che facesse chiarezza una volta per tutte in maniera inequivocabile della salute del nostro territorio – ha spiegato il sindaco del posto, Antonio Scalzone, è fondamentale per il rilancio socioeconomico del nostro paese. Perché più volte – ha aggiunto il primo cittadino - sono stati diffusi i risultati di analisi effettuate da diversi organismi sul nostro territorio che erano in controtendenza fra loro. Ma, soprattutto, è stata l’interpretazione degli stessi risultati, senza le dovute capacità tecniche, che ha ingenerato dubbi e talvolta anche allarmismi rivelatisi ingiustificati nell’opinione pubblica». Il Cirm, quindi, nella volontà dell’amministrazione comunale, dovrebbe garantire sulla buona salute del territorio domizio e soprattutto rassicurare che Castelvolturno è ancora un luogo dove è possibile progettare e investire. Gli stessi tecnici del Cirm avranno la propria sede operativa nella zona ritenuta la più inquinata dell’intera costa, l’area dei cosiddetti «laghetti». Si tratta di una superficie di quattrocento ettari (oltre quattrocento campi di calci) nell’entroterra al confine coi Comuni di Villa Literno e Cancello Arnone, dove negli anni ’80 e ’90 è stata condotta una dissennata e in alcuni casi illegale attività di estrazione. Gli stessi laghetti (ventisette) non sono altro che delle cave dismesse utilizzate per estrarre sabbia da immettere nel mercato dell’edilizia. Col tempo queste cave abbandonate si sono riempiete di acqua piovana e di falda. Ma c’è anche il sospetto che in questi invasi siano stati smaltiti anche rifiuti industriali. Eppure, le analisi condotte negli ultimi quattro anni dall’Arpac, dal ministero dell’ambiente e dall’ Università di Napoli porterebbero ad escludere che ci sia un reale rischio per la salute umana. Peraltro, in quest’area, l’Hippo Kampos Resort, la società che ha messo in contatto il Comune di Castelvolturno e il Cirm, ha già recuperato tre ex cave e realizzato un villaggio turistico su un’area di trenta ettari. Lo stesso coordinatore del Cirm, il professor Andrea Buondonno, ha sottolineato che «i valori d’inquinamenti rilevati in tutto il territorio di Castelvolturno sono assolutamente scarsi e ben sotto la soglia minima di tollerabilità stabilita dal ministero del’ambiente. In pratica, il litorale domizio – ha continuato il coordinatore – eccetto quelle aree dove ci sono delle discariche di rifiuti abusivi ben identificate dall’Arpac e su cui ha ampiamente lavorato la procura di Santa Maria Capua Vetere, è pulito». Ma il professor Buondonno ha tenuto a precisare anche che i valori da lui analizzati si riferiscono alle tabelle per uso commerciale dei suoli e delle acque, e quindi per l’utilizzo turistico delle stesse zone. © RIPRODUZIONE RISERVATA

"Via i profughi dal nostro paese"

29/06/2011
Il sindaco Scalzone scrive a Maroni e a Caldoro: "Abbiamo già dato fin troppo".
Vincenzo Ammaliato
Sono arrivati sul litorale domizio lo scorso lunedì. Neanche il tempo di capire dove si trovano e questa mattina, con molta probabilità, i cinquanta immigrati ospitati dallo Sporting Hotel partiranno nuovamente, verso una destinazione non ancora nota. Si tratta di un gruppo di immigrati provenienti dalle regioni del centro Africa, in prevalenza dal Mali, dal Senegal e dallo Zambia; sono quasi tutti giovanissimi, fra loro ci sono anche alcune donne e bambini (fra cui cinque neonati). Sono sbarcati poche settimane fa sulle coste siciliane, e sono risaliti dalla Regione insulare fino al litorale domizio. Lavoravano e vivevano tutti serenamente in Libia; da qui, però, sono scappati appena iniziati gli scontri armati nel Paese nordafricano. Per loro, l’Opcm, l’organismo del ministero degli interni preposto a fronteggiare lo stato d’emergenza umanitaria nato in relazione all’eccezionale afflusso di nuovo cittadini extracomunitari, aveva trovato ospitalità presso la struttura alberghiera di Castelvolturno, e aveva stipulato un regolare contratto col gestore dello Sporting, il Gruppo Family srl. L’ospitalità doveva essere a tempo indeterminato; ma una copia della convenzione fra Opcm e l’albergo è stata inviata anche per conoscenza all’amministrazione comunale del luogo, che appena è venuta a conoscenza della situazione ha formalizzato il proprio dissenso. «Castelvolturno in termini di accoglienza di immigrati e in qualità di territorio dove risolvere le numerose emergenze regionali – ha scritto il sindaco del centro domiziano, Antonio Scalzone – ha già dato fin troppo». La missiva è stata inviata oltre che all’Opcm, anche al presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro, al ministro degli interni, Roberto Maroni, e alla questura e alla prefettura di Caserta. Il primo cittadino di Castelvolturno, senza usare eufemismi e mezze misure ha chiarito di non gradire sul proprio territorio l’arrivo di nuovi immigrati, seppure ospitati in maniera temporanea. «La scelta sciagurata di spedire qui sul litorale domizio altro disagio – si legge nella lettera – si accompagna a una serie di grandi responsabilità che non ci sentiamo di dividere, perché si tratta di una decisione che non condividiamo e che contestiamo fortemente». Una chiusura netta, quindi, che non lascia spazio a margini di trattativa e collaborazioni, e che evidentemente è stata recepita dai vertici dell’organismo del ministero degli interni preposto alla gestione dell’emergenze. Ieri, infatti, una nuova lettera inviata a mezzo fax al gestore dello Sporting Hotel a firma della protezione civile della Regione Campania chiariva che l’ospitalità degli immigrati allo Sporting Hotel non sarebbe durata più di due giorni. «Per motivi di carattere organizzativo revochiamo la convenzione con la vostra struttura». Poche righe concluse con l’indicazione che i nuovi trasferimenti sarebbero stati immediati. Eppure, la Caritas di Capua che ieri mattina era andata a fare visita agli immigrati era certa che il nucleo di profughi si sarebbe trattenuto a Castelvolturno almeno fino al prossimo Natale. Ma l’amministrazione comunale domiziana ieri sera già si rallegrava del fatto che i nuovi immigrati fossero in procinto di ripartire. «Pericolo sventato» è stato il commento del sindaco Antonio Scalzone. © RIPRODUZIONE RISERVATA

lunedì 27 giugno 2011

Bimbo cade in un pozzo: è salvo

27/06/2011

Vincenzo Ammaliato
Ha rischiato di morire a tre anni e mezzo dopo essere caduto in un pozzo artesiano. A Mondragone, a pochi passi dall’Agnena, si è rischiata la tragedia. A evitarla i vigili del fuoco, che hanno estratto il piccolo precipitato per un’altezza di quattro metri in un pozzo profondo quindici e che è identico a quello di Vermicino dove una trentina di anni fa perse la vita, a dieci anni, Alfredino Rampi. Sono circa le 19, quando, Nicola, mentre i genitori, braccianti agricoli, sono impegnati a coltivare un fondo agricolo, in località Mazzafarro, ai confini con i territori di Castelvolturno e Cancello Arnone, gioca con il fratellino di poco più grande di lui. I due bambini, come ricostruito dai vigili del fuoco, si sono avvicinati nella zona dove c’è un pozzo dal diametro di appena quaranta centimetri. Il piccolo vi cade dentro, e fortunatamente, si ferma dopo quattro metri per la presenza di alcuni tubi. È incastrato. Il fratellino piange e allerta i genitori, che sgomenti cercano vanamente di tirarlo fuori. Sono entrambi sotto choc ma riescono ad allertare l’intervento dei soccorsi. Dalla vicina caserma arrivano due squadre dei vigili del fuoco, che riescono a estrarre e salvare il bambino. Nicola è spaventato, piange, ma è salvo. L’ambulanza del 118 lo accompagna all’ospedale di Sessa Aurunca per accertamenti. Nicola, che, non riporta ferite, può tornare a casa e trascorrere la notte con la famiglia. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Beni confiscati da ristrutturare, Sos a Caldoro

5/06/2011

Vincenzo Ammaliato
Con oltre cento abitazioni sequestrate, Castel Volturno è uno dei centri in Italia dove c’è una delle più alte concentrazioni di beni immobili sottratti alle criminalità organizzata. Tuttavia, nel territorio domiziano la questione non è mai stata d’attualità come in questi ultimi giorni. Nonostante gran parte di questi immobili, infatti, sia stata già confiscata, non è ancora entrata nel circuito del riuso sociale e versa in stato di completo abbandono. A tal proposito ieri il sindaco di Castelvolturno, Antonio Scalzone, ha scritto al presidente della Regione, Stefano Caldoro, affinché palazzo Santa Lucia finanzi la ristrutturazione di queste case. È stata completamente ristrutturata a spese dei volontari della Jerry Masslo, invece, una villa confiscata alla camorra in località Baia Verde che fu affidata l’anno scorso all’associazione del presidente Renato Natale. Qui è stato istituito un presidio per le donne vittime di tratta e avviato un corso di cucito per persone in difficoltà, il tutto senza godere di alcun finanziamento pubblico. Due settimane fa, però, Raffaele De Crescenzo, l’assessore al patrimonio del Comune di Castelvolturno, ha chiesto alla Masslo la restituzione delle chiavi dell’immobile, perché a seguito di un’ispezione ordinaria dei vigili urbani è risultato che al suo interno non si svolgesse alcun tipo di attività. Numerosi sono stati gli attestati di stima e solidarietà avuti dalla Jerry Masslo negli ultimi giorni; contestualmente sono piovuti una lunga serie di attacchi all’amministrazione comunale, accusata di non essere sensibile alla lotta alla camorra. La risposta del sindaco Scalzone non si è fatta attendere, ed è arrivata durante una specifica conferenza stampa. «La camorra la combatto quotidianamente svolgendo il compito istituzionale di primo cittadino di Castelvolturno – ha sottolineato il sindaco – i professionisti della legalità che utilizzano attualmente i beni confiscati, invece, ritengono di essere gli unici a farlo. E chi non condivide a pieno le loro idee è tacciato di essere un connivente della camorra, e questo non lo consento». Non si sente scalfito dalle parole di Scalzone, il presidente della Masslo Renato Natale, il quale ha chiarito che la villa di Baia Verde fu affidata alla sua associazione dal commissario prefettizio, e solo con una delibera di giunta potrebbe essere messo in discussione quell’atto. «La richiesta di restituzione del bene da parte di un singolo assessore – chiarisce Natale – non ha alcun valore giuridico. Pertanto, restiamo sereni e continuiamo le nostre attività a Baia Verde». E qualora la giunta intera di Castelvolturno si esprimesse a favore della restituzione del bene? «A questo punto – fa sapere il presidente Natale – impugneremo l’atto dinanzi al Tar». Ma Scalzone ce ne ha anche per il Festival dell’Impegno Civile, organizzato sempre sui beni confiscati alla camorra. «La tappa del 2 luglio si svolgerà su di un bene di Castelvolturno – sottolinea il sindaco - ciononostante gli organizzatori non hanno ritenuto opportuno invitare il primo cittadino. Questa è una chiara macchinazione politica contro di me a cui risponderò adeguatamente». La richiesta di restituzione di Casa Alice a Baia Verde è evidentemente una di queste risposte. Gli organizzatori del festival, però, hanno chiarito di aver chiesto già da tempo al Comune di Castelvolturno il patrocinio per l’evento, e che quindi il sindaco era stato avvisato. © RIPRODUZIONE RISERVATA

lunedì 20 giugno 2011

Travolto dalle onde sotto gli occhi della fidanzata



20/06/2011

Il ragazzo si era tuffato nonostante il mare grosso, per ritrovare il pallone.

Vincenzo Ammaliato Castel Volturno.
Un pallone vola in acqua, un tuffo in mare. E anche se la palla è a pochi metri dalla riva, non si tratta di una leggerezza, ma di una vera e propria imprudenza. Pochi secondi e si materializza la tragedia: i due ragazzi sono immediatamente risucchiati dalla corrente che li trascina al largo di almeno venti metri. Gennaro riesce ad aggrapparsi ai vicini scogli, e si salva. Il suo amico del cuore, invece, è risucchiato dal mare agitato e si perde tra le alte onde e la schiuma che le stesse producono al contatto con la scogliera nera. Il suo nome è Luigi Rosato, aveva appena venti anni. I parenti e gli amici lo chiamano semplicemente Gino; e urleranno questo nome per tutto il pomeriggio di ieri, in preda alla disperazione, dalla riva del lido Arcobaleno a Pinetamare, guardando inutilmente in direzione del mare le operazioni di ricerca dei vigili del fuoco e dei carabinieri. L’elicottero dei militari dell’Arma sorvola la costa per un paio d’ore, dopodiché riesce ad individuare il corpo; si trova ancora alla punta della scogliera, probabilmente è incagliato fra i massi. Ma viene deciso di non intervenire per recuperalo. Il ventenne è già privo di vita ed è troppo pericoloso per i sommozzatori recuperare la salma. Alle 19 le operazioni si interrompono. I sub del nucleo dei vigili del fuoco escono dal mare e vanno via. In acqua resta soltanto la motovedetta della capitaneria di porto in attesa che il mare restituisca il corpo di Gino. Il giovane, residente a Casalnuovo, popoloso paese a nord di Napoli, era arrivato sulla spiaggia di Castel Volturno alle 13. Insieme a lui, oltre all’amico Gennaro, c’erano le rispettive fidanzate. Sull’arenile ad attenderli c’erano già i parenti di una delle due ragazze. I giovani scartano immediatamente i panini che si erano portati a sacco; consumano la colazione e poi si sdraiano al sole per la prima tintarella di stagione. Il mare è troppo agitato per fare il bagno. Su tutti i lidi del litorale domizio sventola forte la bandiera rossa. Alle 15 il gruppo di amici decide di giocare a pallone nei pressi del bagnasciuga. Pochi palleggi e la palla vola in acqua. A questo punto la tragedia. I bagnini dello stabilimento balneare notano i due ragazzi in acqua, e li invitano a tornare a riva. «Un solo tuffo – gridano – e saliamo». Purtroppo, pochi secondi dopo un’impietosa corrente trascina entrambi. I bagnini si rendono conto immediatamente del pericolo e mettono in acqua il pattino di salvataggio. Ma le onde sono troppo alte. Il mare è molto agitato e la piccola imbarcazione rischia anche di capovolgersi. I due giovani in preda al panico gridano aiuto sotto gli occhi atterriti di un paio di centinaia di bagnanti. Gennaro riesce ad aggrapparsi alla scogliera. Perde sangue da una gamba, ed è in evidente stato di choc. Di Gino, invece nessuna traccia più. Venti minuti dopo arriva nella acque di Pinetamare la motovedetta della capitaneria di porto di Ischia; il cielo è iniziato a sorvolare dall’elicottero dei carabinieri. Sulla riva si preparano a immergersi i sub del nucleo sommozzatori dei vigili del fuoco di Napoli. Le ricerche si fanno immediatamente serrate. Tutti, però, sanno che per purtroppo Gino non c’è più niente da fare. Alle 19 la triste notizia del ritrovamento del corpo privo di vita è data anche ai suoi parenti accorsi in tanti sulla spiaggia di Pinetamare. In questo m omento il dolore si trasforma in scoramento. La fidanzata di Gino, che abbraccia i suoi pantaloncini di jeans, quasi sviene. Il papà urla disperato alzando le braccia al cielo. L’annegamento di ieri apre in maniera drammatica la stagione estiva per il litorale domizio. Lo scorso anno, durante l’estate del 2010 sulle spiagge di Castel Volturno non si era registrato alcun caso di annegamento. Molti, al contrario erano stati i salvataggi cosiddetti miracolosi di bagnanti che stavano perdendo la vita in acqua. Anche per questo sull’arenile, durante le operazioni di ricerca di ieri, qualcuno si lamentava del fatto che il porticciolo del posto resti ancora chiuso. «Quando era aperto il molo San Bartolomeo – denuncia un bagnino del lido– le imbarcazioni della capitaneria di porto intervenivano immediatamente per qualsiasi tipo di pericolo. Oggi, invece, la prima imbarcazioni è arrivata sul luogo della tragedia mezz’ora dopo che è stato lanciato l’allarme». Probabilmente, anche se i soccorsi fossero arrivati anche cinque minuti dopo l’Sos non sarebbe stato possibile salvare la vita di Gino. Ieri il mare era troppo agitato. Ma per i suoi parenti, amici e per coloro che hanno assistito dalla spiaggia alla morte in diretta, il ritardo dei soccorsi ha inciso in maniera fondamentale. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Lacrime, dolore e rabbia. L'addio alla piccola Mary




18/06/2011

Sfiorata la rissa fra i ghanesi. accuse alla moglie del padre


Vincenzo Ammaliato La bara bianca col corpicino di Mary Morad, la bambina di sette anni uccisa sabato 11 giugno mentre giocava nel cortile di casa sua, arriva nel quartiere degli immigrati africani di Destra Volturno con oltre due ore di ritardo. Ad atternderla all’esterno della moschea dell’Imam Kamal, oltre a un deciso sole ci sono un paio di centinaia di persone. Sono quasi tutti extracomunitari delle domiziana. Di italiani ce ne sono pochi. Sotto i porticati della moschea c’è Bose Akta, la mamma naturale di Mary. Piange e si dispera. «I need my Mary» (ho bisogno della mia Mary) – dice come una cantilena. A venti metri di distanza c’è una seconda donna che anche lei porta sul volto i chiari segni di chi da una settimana non riesce a darsi pace per la drammatica fine della bambina. Si chiama Edith, è la seconda moglie del papà di Mary, peraltro incinta di due mesi. È seduta sotto i portici di un condominio accanto alla moschea; qui trova riparo dal sole, che a Destra Volturno in questa giornata di dolore picchia decisamente forte, ma non dalle invettive di due amiche di mamma Bose, che l’accusano di non essere riuscita a proteggere Mary, di essere responsabile della drammatica fine della bambina. Il suo pianto, a questo punto, si trasforma in scoramento; Edith quasi sviene. Probabilmente saranno i sensi di colpa, perché Mary era sotto la sua custodia quando si è verificata la tragedia. Il papà non era in Italia sabato scorso. Era volato in Africa per lavoro. Lui, Victor Morad, tornato appena due giorni fa, arriva alla moschea di Destra Volturno con l’auto che trasporta il feretro della bambina. Veste un abito tradizionale del continente nero. È visibilmente sotto choc. Sembra non avere neanche più la forza di piangere. Alcuni suoi connazionali lo aiutano a scendere dalla macchina e lo accompagnano nel piccolo luogo di culto dei musulmani, dove si ritira in un angolo per pregare, e qui restarà per tutto il resto dei funerali. All’esterno della moschea, invece, ricomincia un delirio. Gli immigrati mettono in scena una sommossa molto simile a quella di sabato scorso, quando bloccarono per qualche minuto l’autombulanza che trasportava il corpo di Mary. Si crea la ressa attorno all’auto funebre. Gli uomini di colore litigano fra loro, si spingono, urlano come invasati. Qualcuno viene anche alle mani. E non si capisce il motivo per il quale lo facciano, o almeno non riesce a farlo chi non conosce a fondo la cultura e le tradizioni africane. Un immigrato spiega che è il forte dolore che li spinge a comportarsi in questo modo. In pratica, è un retaggio ancestrale tipico delle comunità subsahariana. Anche i poliziotti, arrivati in borghese a Destra Volturno per i funerali. Cercano di calamre gli animi. L’imam finalmente a fatica riesce a convincere i suoi connazionali a creare un cordone sull’asfalto, proprio di fronte la moschea. La bara bianca è tirata fuori dall’auto e adagiata a terra, in direzione della Mecca. Può iniziare il momento di preghiera, che si completa dopo quindici minuti. Il feretro di Mary trova di nuovo spazio nell’auto e inizia il corteo che lo porterà al cimitero, sulla statale per Capua. Una volta giunti sul posto, riprendono gli scontri fra gli immigrati, che durano fino alla tumulazione della bara. Subito dopo, nel nuovo cimitero di Castel Volturno il silenzio più totale. Il dolore degli immigrati pare resti a questo punto sigillato nel fondo dei loro cuori. Mary, invece, viene seppellita nella città dove è vissuta fino a sette anni, prima di finire ammazzata da Osuf, ora in carcere per pagare la sua follia. © RIPRODUZIONE RISERVATA

mercoledì 15 giugno 2011

Ucraina in depressione tenta di suicidarsi


13/06/2011

Castelvolturno.
Probabilmente dal balcone di casa sua vede l’immigrato ghanese trasportare in spalla la piccola Maria grondante di sangue e scaraventarla nel canale. Poi sente, sempre dall’appartamento di via Dante dove risiede, le urla di disperazione degli immigrati che hanno capito la tragedia che si è appena consumata, le sirene dei mezzi di soccorsi, la concitazione di tutta la gente accorsa sul posto. Alle tre del pomeriggio, poi, non regge piu’ all’emotività. Scende di casa, va verso il canale dei Regi Lagni, scavalca la recinzione, mette i piedi nell’acqua, si fa il segno della croce e si dirige verso la foce. La donna e il suo bizzarro comportamento sono notati da alcuni pescatori che si trovano sulle sponde dell’invaso e che chiamano i carabinieri. Poco dopo arrivano i militari dell'arma che la salvano quando l'acqua le arrivava ormai alla gola. La donna è caricata sull’ambulanza e condotta in ospedale. Intanto, non risponde alle domande dei carabinieri; continua solo a ripetere una macabra frase: «devo morire come lei». Si tratta di una donna ucraiana di 37 anni. Le sue iniziali sono Y.O.. v.a. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Mary


12/06/2011

Vincenzo Ammaliato
«Casa dei Bambini». I missionari comboniani che da venti anni operano a Castelvolturno non potevano scegliere un nome più appropriato per l’asilo che gestiscono sulla via Domiziana. Questo istituto da sette anni è il punto di riferimento per le famiglie di extracomunitari della zona. Qui dalle otto di mattina alle cinque del pomeriggio giocano, si divertono, imparano e soprattutto socializzano fra loro i figli degli immigrati del litorale domizio. A Castel Volturno asili nido pubblici non ce ne sono. E anche gli studenti che frequentano la scuola materna comunale sono in sovrannumero, quindi è difficile trovare disponibilità. Le strutture private, invece, hanno rette che molti immigrati non possono sostenere. Alla Casa del Bambino, al contrario, per i più diseredati e per gli emarginati c’è sempre posto; perché a nessuno, ancora di più se è un bambino, deve essere negata l’assistenza. Sono circa una cinquantina i pargoli che frequentano la Casa del Bambino fondata da padre Giorgio Poletti; hanno da uno a cinque anni. Fra loro per due anni c’è stata anche la piccola Maria, trucidata barbaramente ieri nel cortile di casa sua da un folle. Padre Claudio Gasbarro dei comboniani la ricorda con affetto, e poi sospira, dicendo: «i bambini fino a quando sono al nostro asilo stanno tranquilli, perché sono seguiti con attenzione. Dopo, purtroppo, in questa terra gli può capitare di tutto». L’ufficio affari sociali del Comune costiero cerca di fare il possibile per tutti i bambini della zona che necessitano di assistenza, ma il numero dei casi critici è altissimo; i fondi disponibili, al contrario, particolarmente scarsi. E allora, a scendere in campo è ancora una volta l’associazionismo. Fra le istituzioni più attive sul territorio domizio c’è l’associazione Arca e la Jerry Masslo. La prima, in una casa sequestrata alla camorra nel parco Fontana Bleu, porta avanti numerose attività per i minori, fra cui doposcuola e corsi di computer; tutti, ovviamente, gratuiti. L’associazione Jerry Masslo, invece, è quasi esclusivamente dedicata alle esigenze degli immigrati. Per loro ci sono ambulatori medici, consulenze legali e tanti altri servizi. Mentre numerosi progetti, tutti nel campo del sociale e del recupero, sono attivati dai dirigenti della stessa associazione. E si trovava proprio con i volontari dell’associazione del presidente Renato Natale la mamma naturale di Maria. Roose, questo il suo nome, è stata avvisata del triste destino capitato alla sua bambina mentre stava partecipando a un corso di cucito a «Casa Alice», un immobile di Baia Verde anche questo sequestrato alla criminalità organizzata. Dal Centro Fernandes, invece, la struttura d’accoglienza per immigrati della curia vescovile del Villaggio Agricolo, si ricordano dell’omicida di Maria. «Lui è stato uno o due volte al nostro centro ascolto – dice la volontaria Marisa Perone – ma non ha voluto seguire alcun progetto. Era in evidente stato confusionale e non ha mai chiesto nulla alla nostra struttura». Padre Claudio Gasbarro è seduto su una sedia nel cortile della casa dei comboniani in via Matilde Serao. È stanco. È stato tutta la mattina in via Dante fra gli immigrati addolorati e disperati per la morte violenta di Maria. Ha cercato di sostenerli, di offrire loro conforto. Osserva la pioggia che nel pomeriggio comincia a cadere anche sul litorale domizio. «La gente del posto – sostiene con rammarico – ha già dimenticato della tragedia di Maria». La pioggia che sta cadendo, peraltro, laverà anche le macchie di sangue dal civico numero 5 di via Alighieri e quelle che dalla strada polverosa portano al ponte sui Regi Lagni. © RIPRODUZIONE RISERVATA

12/06/2011

Vincenzo Ammaliato Castel Volturno. Su una delle pareti del Bar c’è affissa una sua gigantografia. Angelo Scalzone, l’atleta e vanto di Castel Volturno che nel 1972 si aggiudicò la medaglia d’oro alle olimpiadi di Monaco nella disciplina del piattello fossa, sorride imbracciando il suo fucile. Proprio di fianco al bar c’è il Ristorante Scalzone. Con i suoi quattrocento coperti, il locale, negli anni ’70 e ’80 era il punto di riferimento della ristorazione dell’intero litorale domizio. Il Ristorante Scalzone, però, è mestamente chiuso da oltre quindici anni. Gli eredi dell’olimpionico hanno provato a resistere al calo d’affari e continuare l’attività, anche in onore del suo fondatore. Ma il nauseabondo odore che da due decenni sprigiona il vicino canale dei Regi Lagni tiene lontano anche i clienti più affezionati. Maurizio Scalzone, nipote di Angelo, ricorda di quando quindici anni fa lo zio e tutti gli altri suoi parenti inscenarono una manifestazione di protesta proprio sul ponte dei Regi Lagni, bloccando la circolazione stradale. «Volevamo protestare contro l’inquinamento prodotto dal canale borbonico. Arrivarono immediatamente le forze dell’ordine – dice Maurizio – e minacciarono me e i miei parenti che se non fossimo andati via saremmo stati arrestati. Da allora, purtroppo, poco o nulla è cambiato». Per il nipote del campione olimpico, non è la presenza degli immigrati in sé a creare il disagio sul litorale domizio. «La zona è stata completamente abbandonata dallo Stato per troppo tempo – sottolinea Maurizio Scalzone – e di anno in anno è andata sempre peggio. Poi, degrado chiama degrado e si è insediata una grossa fetta d’immigrati attratta dai fitti a basso costo. Ma gli stranieri presenti a Castel Volturno - dice il gestore del bar – non hanno quasi mai creato problemi. Anche all'interno del mio bar si comportano come tutti gli altri clienti italiani. Se poi fuori non è indispensabile rispettare le regole, e allora, si comportano evidentemente di conseguenza». Non la pensano alla stessa maniera, però, i residenti italiani di via Dante Alighieri, la strada dove al numero 5 è maturata la tragedia della piccola Maria, esasperati dalla convivenza con gli stranieri. In questo, che è uno dei mille viali della via Domiziana, vivono circa cinquecento immigrati provenienti dall’Africa subsahariana e un pugno di famiglie italiane. La vita in comune fra loro non è stata mai pacifica. «Le denunce che abbiamo presentato alle forze dell’ordine per le irregolarità dei nostri vicini immigrati – sottolinea una signora italiana che vive qui da anni – non si contano più. Di continuo in questo viale, a tutte le ore del giorno e della notte ci sono schiamazzi, liti e non solo. C’è anche un via-vai di tossicodipendenti attratti dal mercato della droga che alcuni africani svolgono all’interno della vicina pineta. Ebbene – conclude la residente di via Alighieri – le forze dell’ordine, nonostante appunto le nostre denunce non sono mai intervenute. Lo stesso American Palace, il palazzo più abitato della via, che dovrebbe essere sgomberato perché sequestrato dalla magistratura, e invece, è abitato abusivamente da centinaia di persone». La piccola Maria, gli italiani che vivono in questa stradina dalle villette rose dalla salsedine la ricordano bene. «Giocava spesso nel viale e nel cortile dove è stata brutalmente aggredita. Era bellissima – sostengono, con gli occhi lucidi dalla commozione – ma non andavamo d’accordo coi loro genitori e quindi non l’abbiamo mai potuta frequentare». Ma la tragedia va al di là dei problemi di integrazione: la follia non ha nazionalità né permesso di soggiorno. © RIPRODUZIONE RISERVATA

12/06/2011

Sono almeno duecento gli immigrati che si radunano all’incrocio fra la via Domiziana e Via Dante subito dopo aver appreso dell’efferato fatto di sangue. Sono tutti addolorati per la raccapricciante fine di Maria e fra loro c’è chi reagisce in maniera impetuosa. Qualcuno di loro si fionda sul gruppo di poliziotti impegnati a fare i rilievi del caso. «Quell’assassino si trovava in Italia da sette anni - dicono agli agenti a più riprese e in maniera particolarmente agitata - e da almeno sei dava chiari segni di squilibrio. Perché - domandano - non lo avete curato, perché non lo avete arrestato?». E poi continuano, indicando alle forze dell’ordine un loro connazionale che si aggira nello stesso posto con un bastone di legno tra le mani. «Anche lui - denunciano gli immigrati - è malato di mente, perché non lo portate via? Aspettate forse che possa accadere una nuova tragedia?». Ma i tutori della legge in quest’angolo della Domiziana sono pochi e tutti impegnati nel ricostruire l’esatta dinamica dell’omicidio, e l’immigrato col bastone in un attimo si dilegua. © RIPRODUZIONE RISERVATA


12/06/2011

Non solo mentre cercava di passare l'ambulanza col corpicino di Maria, tafferugli creati dagli immigrati sulla via Domiziana ci sono stati anche dopo, durante le operazioni di rilievo degli uomini della scientifica in via Dante Alighieri. A confrontarsi in più riprese sono stati diversi gruppi di uomini che litigavano fra loro venendo anche alle mani. All'origine delle liti, probabilmente, scontri fra le comunità di immigrati del Ghana e della Nigeria. Gli uomini delle due etnie si accusavano a vicenda sulla responsabilità del barbaro fatto di sangue, per non aver controllato la zona e, soprattutto, per non essere intervenuti quando l'omicida ha trasportato il corpicino della bimba e lo ha scaraventato nel canale. I nigeriani, soprattutto, considerando che l'assalitore è di nazionalità ghanese, accusavano l'altra etnia di essere stata omissiva. L'alta emotività del momento, poi, ha fatto il resto.



13/06/2011

QUELLA DONNA NON HA PROTETTO LA MIA MARY

La tragedia di Castelvolturno I sospetti della mamma naturale della piccola ghanese massacrata e poi buttata in un canale

Claudio Coluzzi Inviato Castelvolturno. Il dolore per la perdita della figlia è comprensibilmente lacerante. Bose Atta, la mamma naturale di Mary, la piccola trucidata nel cortile della casa dove viveva col papà e la sua seconda moglie, il giorno dopo l’efferato delitto non riesce ad accettare quanto accaduto. Accusa la convivente del suo ex marito di non aver vigilato sulla bambina e al tragico omicidio fa da sfondo una controversia familiare al cui centro c’era, da anni, la povera Mary. «Mi dovete aiutare a trovare la verità – chiede urlando mama Bose, seduta nel cortile della casa di una sua connazionale in via dei Diavoli dove è ospitata da alcuni mesi – voi italiani, mi dovete aiutare, perché io non credo che mia figlia sia stata uccisa come è stato descritto da tutti i giornali questa mattina». In che senso non è stata uccisa come descritto, la dinamica dell’omicidio appare piuttosto chiara, la polizia ha arrestato Osuf con in mano ancora il bastone sporco di sangue... «Tutti hanno visto Osuf trasportare il corpicino della mia bimba sulle spalle e scaraventarlo nel canale dei Regi Lagni. Nessuno, però, lo ha visto picchiare Maria. Lui è fuori di testa, ma da quando vive qui sulla Domiziana non è mai stato violento. E secondo me non lo è stato neanche con la mia bambina. Lui si trovava nel viale nel momento in cui qualcun altro l’ha picchiata. La stessa persona, poi, che vedendo Osuf nel viale gli ha chiesto di far sparire il corpicino della mia bimba». In casa con Mary nel momento dell’omicidio c’era solo la moglie del suo ex marito, chi avrebbe potuto agire senza essere visto? «Io voglio solo la verità. So che Osuf non è mai stato violento e che la moglie del mio ex marito non è la mamma di Mary. Una mamma avrebbe vigilato, non avrebbe permesso che un uomo estraneo entrasse in casa e facesse una cosa tanto orribile. Se fossi stato io con Mary, tutto questo non sarebbe successo». Ma i dubbi della mamma di Mary cozzano contro la ricostruzione effettuata fino a questo momento dagli agenti del commissariato di Castelvolturno e della Squadra Mobile. È stato proprio il dirigente del commissariato a catturare, poco dopo il delitto, Osuf con in mano il bastone ancora sporco di sangue. Ed era agitato, incontrollabile, tanto che ha ferito pure il funzionario e altri agenti prima di essere bloccato ed arrestato. Ad ogni modo il bastone con cui Mary è stata colpita verrà analizzato e si stabilirà se è compatibile con le lesioni inferte alla poveretta. A quel punto sarebbe più complicato pensare che un’altra persona abbia potuto commettere il delitto e poi affidare al ghanese psicolabile il compito di far sparire la bimba e lo stesso bastone. Una cosa comunque è certa. Sembra che davvero nessuno abbia visto Osuf entrare nel cortile e colpire la piccola. Nè la convivente del padre nè altri testimoni. Lo hanno visto un attimo dopo, quando fuggiva con il corpo esanime della bimba sulle spalle. (Ha collaborato Vincenzo Ammaliato) © RIPRODUZIONE RISERVATA



3/06/2011
Il massacro di Mary è una sconfitta per tuttinella strada della morte solo un fqascio di fiori a ricordare la piccola MaryVincenzo Ammaliato.
Padre Claudio Gasbarro dei missionari comboniani lo aveva detto poche ore dopo l’efferato fatto di sangue: «La gente di Castel Volturno ha già dimenticato la tragica morte della piccola Maria». E in effetti, a ricordare del brutale assassinio della bimba di appena sette anni, in via Dante Alighieri, ieri c’erano soltanto i sigilli posti dagli inquirenti al cancello del civico numero 5 e dei fiori bianchi con i quali un anonimo ha cercato di coprirli. Le macchie di sangue della piccola e i segni lasciati col gesso dagli uomini della scientifica sono spariti. Nel cortile del villino dove Maria viveva con il papà e la sua seconda moglie, ci sono ancora i giocattoli della piccola, una bicicletta e un’automobilina a pedali, e una sua camicetta bianca e gialla con una rosa ricamata in petto, stesa ad asciugare a un filo di plastica legato al cancello. Ad angolo della via Domiziana, poi, ieri mattina è comparso anche un cartello che il giorno prima non c’era, e che indica con una scritta a mano un vicino stabilimento balneare, che si trova alla fine della pineta dove l’assassino si era rifugiato per sfuggire alle forze dell'ordine e dove, invece, è stato bloccato e arrestato dalla polizia. Dall’America Palace, il palazzone grigio che si trova al numero 1 di via Alighieri, gli immigrati abusivi che vivono al suo interno, gli stessi che hanno partecipato alle ricerche nel canale borbonico della piccola Mary, ascoltano musica etnica ad alto volume, e qualcuno di loro compra all’esterno dell’androne scarpe da ginnastica da un venditore ambulante che trasporta la sua mercanzia nel cofano dell’auto. È una domenica come tante altre, qui in questo angolo della via Domiziana. Il capannello di immigrati sul marciapiedi della via Domiziana, e gente che sale e che scende dall’autobus blu che ha qui vicino una fermata obbligatoria. Il dolore per la scomparsa della bambina evidentemente resta nel cuore di ognuno. Lo stesso ha detto anche padre Antonio Bonato, della vicina chiesa degli immigrati del centro Fernandes. «La cosa migliore per ricordare Maria – ha sottolineato il missionario comboniano – al momento è soltanto il silenzio e le preghiere». La piccola colpita con ferocia inaudita al capo e scaraventata nel canale artificiale dei Regi Lagni è comunque stata ricordata con particolare emozione durante l’omelia della messa domenicale dei comboniani, gremita di fedeli dell'Africa subsahariana. Identica cosa è stata fatta dalla fraternità dei maristi di Giugliano, che hanno celebrato la Pentecoste insieme a padre Rungi a Mondragone. «Di fronte a tante forme di ingiustizie e di violenze – ha detto il religioso – è evidente che siamo in forte debito col vero amore che solo lo Spirito Santo può donare ai nostri cuori». Intanto a Castel Volturno si attende l’arrivo del papà di Maria. L’uomo due settimane fa era volato in Ghana, nel suo paese natale, a quanto pare per motivi di lavoro. È stato raggiunto poco dopo il delitto telefonicamente da alcuni suoi connazionali che vivono sul litorale domizio. A loro è toccato dare la triste notizia. Scontato lo sconforto nel quale è sprofondato il papà di Mary, che si è precipitato in aeroporto e sarà a Castel Volturno già questa sera. Toccherà a lui organizzare il funerale della figlia. L’uomo è separato da cinque anni con la mamma naturale di Mary, e il tribunale dei minori decise di affidare a lui la piccola. La funzione religiosa sarà celebrata col rito islamico, in quanto l’uomo è di religione musulmana. Ma questo sarà possibile solo dopo che l'istituto di medicina legale avrà completato gli esami autoptici sul corpicino di Maria e restituirà la salma ai familiari. © RIPRODUZIONE RISERVATA


13/06/2011
Le maestre raccontano la tenerezza della piccola: era splendida, solare, studiava con gioia e profitto

«Era una bambina splendida, solare e con tanta voglia di vivere, era una bimba come tutti gli altri studenti che frequentano il nostro istituto scolastico». Giovanna Raimondo, la responsabile della scuola elementare del Villaggio Agricolo, è particolarmente scossa della raccapricciante fine della piccola Maria. La ricorda con un forte dolore nel cuore. E lo stesso vale per tutto il corpo docente dell’istituto. «La nostra scuola – dice la dirigente - non è molto grande, è composta appena da sei classi; qui è come se fossimo tutti una sola grande famiglia. E Maria era una componente della nostra famiglia». La piccola uccisa sabato da uno squilibrato in via Dante Alighieri, frequentava la prima elementare dell’istituto del Villaggio Agricolo. I risultati scolastici non si conoscono ancora, eppure Maria sarebbe stata sicuramente promossa. La dirigente, infatti, la ricorda come una bimba vivace, intelligente, educata. «Si esprimeva alla perfezione in italiano. E, peraltro, sottolinea Giovanna Raimondo – la compagna del suo papà era una mamma perfetta. Aveva molto cura della bimba e non appariva affatto che non fosse la sua madre naturale. Maria era una bimba serena, era una bimba di Castelvolturno, come tutti gli altri bambini di questo territorio». Intanto, la gente e i commercianti della zona dove viveva Maria con la sua famiglia si interroga su cosa abbia potuto far scattare in quell’immigrato dai capelli arruffati e coi vestiti sempre laceri e maleodoranti, la persona arrestata per l’omicidio, una violenza tanto brutale. «Lo ricordo camminare costantemente da solo lungo la via Domitiana, sempre, però, come se non avesse una meta precisa – dice il titolare del Caseificio Ponte a Mare». Francis Osofu, questo il nome dell'immigrato arrestato dalla polizia con ancora il bastone insanguinante fra le mani, è adesso rinchiuso in isolamento in una cella del carcere di San Tammaro. Quando viveva a Castelvolturno, pare non frequentasse nessuno. Non è neanche chiaro dove abitasse: probabilmente aveva semplicemente poco più di un giaciglio all’interno dell’American Palace, il palazzone grigio a quattro piani che si affaccia sulla sponda del canale dei Regi Lagni. Anche i gestori del bar Scalzone si ricordano bene di lui. «Qualche volta – dicono – entrava nel nostro locale. Il suo aspetto inquietava i clienti. Lo invitavamo a consumare un caffè, a prendere un cornetto. Ma poco dopo lui, così come era entrato, senza dire una sola parola, usciva, velocemente». Ieri, il suo destino e quello della piccola Maria si sono incrociati drammaticamente. La gente della Domiziana si ricorda di lui come di un disadattato, ma non di un violento. Eppure, si è scagliato contro un essere indifeso con una ferocia inaudita. Lui in carcere non parla, come quando camminava sulla Domiziana e varcava la soglia dei locali commerciali. I parenti e i conoscenti di Maria piangono. Per Castelvolturno è stato decisamente un giorno di follia. v.a. © RIPRODUZIONE RISERVATA



14/06/2011


Vincenzo Ammaliato È stato spostato a questa mattina l’interrogatorio della persona fermata per il brutale omicidio di Mary. L’uomo, immigrato del Ghana, Richard Osofu, dal momento del suo arresto non ha ancora detto alcuna parola. È rinchiuso nel suo mutismo in un cella d’isolamento nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Per lui la procura ha disposto anche un’accurata visita psichica e delle particolari visite mediche. Soprattutto, saranno eseguiti degli esami di otorinolaringoiatra, per capire se l’immigrato abbia addirittura perso la parola. Il tribunale, intanto, gli ha affidato anche l’avvocato d’ufficio, il penalista Generoso Grasso, il quale ieri ha potuto ritirare il relativo fascicolo. E il gip Paola Cervo stamattina condurrà l’interrogatorio nel carcere di Santa Maria. E anche l’autopsia sul corpicino della piccola Mary sarà eseguita questa mattina, all’Istituto di medicina legale di Caserta. Subito dopo, probabilmente, la salma potrà essere restituita ai familiari. Durante la giornata di ieri, gli agenti del commissariato di Castel Volturno hanno ricostruito sul luogo dell’efferato fatto di sangue, all’angolo tra via Dante Alighieri e la Domiziana, la scena del delitto. E sono stati riascoltati tutti i testimoni. «Tutti i riscontri eseguiti finora – ha sottolineato Davide Della Cioppa, il primo dirigente del commissariato litoraneo che insieme ad altri due agenti ha arrestato Osufo quasi in flagranza di reato - portano alla colpevolezza dell’immigrato ghanese». Nessuno lo ha visto direttamente colpire Mary al capo, ma al momento del fermo, l’uomo stringeva ancora in pugno il bastone insanguinato che poco prima era stato usato per infierire sulla piccola. Peraltro, si è anche scaraventato in maniera violenta contro i poliziotti, provocando in due di loro delle contusioni. Tutti a Castel Voturno, italiani e immigrati, ricordano di quell’uomo dall’aspetto inquietante come di «un disadattato, uno che stava fuori di testa». Eppure, nonostante l’immigrato fosse sul territorio italiano da quasi otto anni, agli inquirenti non risulta alcun suo ricovero in strutture sanitarie. Al contrario, ha ben tre precedenti penali, collezionati lungo tutto lo stivale del Paese. Il primo e il secondo sono per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, maturati, uno a Crotone, e l’altro a Linate. Mentre l’ultimo, quello del 2009 è per danneggiamenti. Osofu fu sorpreso dai carabinieri di Frattamaggiore nella cittadina a nord di Napoli mentre danneggiava, appunto, senza alcun motivo apparente delle cappelle sacre. Sul territorio litoraneo, intanto, istituzioni e associazionismo si organizzano per ricordare la piccola Mary. Ieri la giunta Scalzone ha deciso per il lutto cittadino in occasione dei funerali della piccola, a carico dell’amministrazione comunale. L’associazione Jerry Masslo, invece, ha deciso di annullare la sfilata di abiti sartoriali prevista per sabato prossimo in un bene confiscato alla camorra, dove gestisce un corso di sartoria per immigrati. «Questo corso era seguito anche dalla mamma naturale della bambina – fa sapere il presidente Renato Natale, di cui parliamo anche in un articolo a lato – e sarebbe dovuto essere un giorno di giubilo. Evidentemente non è il caso di festeggiare e quindi organizzeremo nello stesso luogo e nello stesso giorno un particolare ricordo della sfortunata bambina». © RIPRODUZIONE RISERVATA



14/06/2011

«Mary era una bambina di Castel Volturno, e la Chiesa di Capua è vicina a tutta la gente del litorale domizio, soprattutto nel momento del dolore». L’arcivescovo Bruno Schettino si è recato ieri mattina nella casa dove è ospitata la mamma naturale della piccola Mary, a Baia Verde, per offrirle conforto spirituale. E non solo questo. «La nostra Chiesa – ha sottolineato monsignor Schettino – sarà disponibile a qualsiasi esigenza della vostra famiglia per l’organizzazione dei funerali della piccola Mary». Ma per il tipo di rito funebre della bimba uccisa sabato scorso, spetterà al papà decidere. L’uomo, che al momento della tragedia si trovava in Ghana per lavoro, è separato dalla mamma di Mary. E il tribunale dei minori decise di affidare a lui la piccola. L’uomo, peraltro, è di fede musulmana, e ha cresciuto la figlia secondo i dettami della religione islamica. Pertanto, probabilmente, il funerale si terrà nella piccola moschea del quartiere di Destra Volturno, gestita dall’Imam Kamal. Secondo la religione islamica, però, il rito può tenersi anche nella camera ardente dell’ospedale o in quella di un cimitero. Solitamente, quando scompare qualche immigrato africano sul litorale domizio, i suoi parenti decidono di seppellire la salma nella propria patria d’origine. Ma Mary è nata qui in Italia, a Pozzuoli, ha sempre vissuto a Castel Volturno. E dell’Africa sapeva poco in più dei suoi coetanei italiani del posto. v.am. © RIPRODUZIONE RISERVATA




15/06/2011
Mary, oggi il risultato dell'esame medico del suo assassino
Vincenzo Ammaliato La prima è stata la mamma naturale della bambina, Bose, che ha deposto dei fiori bianchi e una foto sorridente della sua «Cherì», come la chiamava lei. Qualcuno, poi, ha lasciato una dedica con un pennarello rosso: «Maria, per sempre nei nostri cuori». Molti altri anonimi in queste ore stanno affiggendo alla protezione di ferro del ponte sui Regi Lagni pupazzi di peluche e altri giocattoli, tutti in ricordo di quella bambina picchiata selvaggiamente e poi scaraventata nel canale artificiale come un sacco di rifiuti. Le automobili in transito qui rallentano. Qualcuno si ferma e osserva, qualcun altro si fa il segno della croce. «Era troppo bella questa bambina - esclama una donna di passaggio guardando la foto, e aggiunge – deve fare una brutta fine quel pazzo che l’ha uccisa». Il riferimento è chiaramente a Richard Osuf, il trentenne ghanese fermato e arrestato per l’efferato fatto di sangue. L’immigrato pare soffrisse da molto tempo di disturbi psichici. È stato trovato dalla polizia pochi minuti dopo aver scaraventato la bambina nei Regi Lagni, nascosto nella pineta comunale. Aveva in mano ancora l’arma del delitto insanguinata: un bastone di legno, che secondo alcuni testimoni portava fisso con sé almeno da un paio di settimane. Sulla sua colpevolezza ci sono pochi dubbi; eppure qualche piega d’ombra nell’intera vicenda persiste. Nessuno infatti ha visto Richard Osuf picchiare la bambina. Mary, al momento della tragedia si trovava da sola nel cortile di casa, una villetta a un piano di fianco all’American Palace. All’interno c’era la compagna del suo papà, che ha raccontato alle forze dell’ordine di non essersi accorta di nulla di quello che stava succedendo all'esterno, e di non aver neanche sentito Mary urlare. La donna è stata avvisata della tragedia da una sua connazionale, che si è precipitata in casa dopo aver visto Osuf con la bambina caricata in spalle indirizzarsi verso il ponte sui Regi Lagni. L’uomo, peraltro, stando a quanto raccontato alla polizia da due testimoni oculari, si è diretto sul ponte con la bambina in spalle senza avere particolare premura, ma con un passo leggermente veloce. «Appena abbiamo notato l’uomo camminare con la bambina sanguinante in spalle, ci siamo subito inorriditi, ma non abbiamo capito bene quello che succedeva – hanno detto ai poliziotti i due testimoni–. Quando, poi, abbiamo visto lui che buttava il corpicino nel canale ci siamo spaventati e abbiamo immediatamente chiamato i soccorsi. È stato tutto molto raccapricciante». I testimoni sono una coppia di italiani che si trovava in transito sulla via Domiziana. Dai numerosi immigrati che vivono in via Dante Alighieri, invece, non c’è stata molta collaborazione. «Nessun immigrato – ha sottolineato il dirigente del commissariato di Castelvolturno, Davide Della Cioppa – ha detto di aver visto né l’uomo picchiare la bambina, né ha raccontato di averlo visto Osuf trasportare il suo corpo lungo la strada e gettarlo nel canale». E siccome i tristi fatti sono avvenuti alle 10 di mattina e l'immigrato ghanese è passato col corpo di Mary in spalla proprio di sotto all’American Palace, questa appare una circostanza molto improbabile. In ogni caso, il risultato sull’esame autoptico sulla salma della bambina darà certamente elementi in più agli inquirenti per chiudere le indagini. L’esame è stato spostato a questa mattina, perché il papà di Mary è rimasto bloccato in Ghana. Forse arriverà in Italia oggi. Il giudice, ad ogni modo, ha chiesto alla mamma naturale della piccola, separata dal papà, di acconsentire all’autopsia. Nel frattempo anche l’interrogatorio di Osuf è stato rinviato a questa mattina: il magistrato, che segue il caso, infatti, ha deciso di attendere prima i risultati degli esami medici e psichici effettuati ieri sul presunto assassino. Che continua a restare chiuso in un silenzio assoluto. © RIPRODUZIONE RISERVATA


16/06/2011
RISSA ALL'OBITORIO TRA I GENITORI DI MARY

Accuse della mamma al papà appena arrivato dal Ghana: "non dovevi lasciarla sola".Vincenzo Ammaliato Castel Volturno. Sono venuti alle mani appena si sono visti. Il papà della piccola Mary sabato scorso, il giorno della tragedia, si trovava in Ghana per lavoro. La figlia era rimasta a Castel Volturno con la sua convivente. È atterrato ieri mattina a Fiumicino con un volo proveniente dal Paese africano. In treno ha raggiunto Napoli e poi Caserta. qui è corso all’obitorio dell’istituto di medicina legale nel pomeriggio, ed è arrivato mentre era in corso l’esame autoptico sul corpicino di sua figlia. Nella sala d’attesa l’uomo ha incontrato la sua ex moglie e mamma naturale di Mary, Bose Akkta. Lei lo ha immediatamente accusato di essere il responsabile della morte della bambina, gli ha urlato contro che non avrebbe dovuto lasciarla con la convivente. La tristezza e l’angoscia per la tragica fine della figlia ha acuito nei due il rancore maturato nei tanti anni di separazione e durante la lotta per l’affidamento della figlia, e i due sono andati letteralmente in escandescenza. Solo l’intervento del personale dell’ospedale ha permesso che si concludesse la lite. Scaramucce fra i due sono poi continuate a Castel Volturno, nei locali del commissariato litoraneo nel tardo pomeriggio, dove sono stati condotti. Qui, Bose ha presentato una formale denuncia per aggressione nei confronti dell’ex marito. Sul fronte giudiziario, intanto, Richard Osuf, il presunto omicida, continua a fare scena muta. Così come quando è stato arrestato sabato mattina dalla polizia nella pineta di Castelvolturno, allo steso modo, è rimasto in carcere durante il primo interrogatorio di garanzia col giudice Paola Cervo. E muto, Richard Osuf è rimasto anche durante il colloquio con l’avvocato d’ufficio che gli ha affidato il tribunale, Generoso Grasso. Il presunto assassino della piccola Mary non parla, e probabilmente non è neanche in grado di farlo. Lui è in Italia da sette anni, eppure in tutto questo periodo l’immigrato ghanese non risulta non essere mai stato visitato da alcuna struttura sanitaria. Ma è più che evidente che soffra di disturbi psichici. Il tribunale ha disposto per lui una visita laringoiatrica, per capire se sia davvero muto. Ma Osuf esegue correttamente gli ordini impartiti dalle guardie carcerarie. È più probabile, quindi, che sia lo stesso disturbo psichico di cui soffre a impedirgli di parlare. Per questo, il pubblico ministero che ha ricevuto ieri l’istruttoria disporrà quasi certamente a breve una visita psichiatrica sull’uomo. «Se non lo farà il tribunale – ha sottolineato il legale Generoso Grasso – presenterò io una specifica istanza, affinché si chiarisca il suo stato mentale». © RIPRODUZIONE RISERVATA

17/06/2011
Uccisa a bastonate, oggi l’addio a Mary

Vincenzo Ammaliato. Castel Volturno. Quando è stata gettata nel canale Mary era già morta, uccisa forse dalle botte. L’esame autoptico sulla bambina di sette anni uccisa sabato scorso e scaraventata da un folle nel canale artificiale dei Regi lagni è stato completato ieri all’istituto di medicina legale di Caserta. E questa mattina nel centro domiziano sarà celebrato il suo funerale. L’appuntamento è per le 10 nella moschea dell’imam Kamal, a Destra Volturno. Il papà della piccola Mary, essendo di fede musulmana, ha scelto il rito funebre islamico per sua figlia. La mamma, invece, è cristiana. E insieme ai volontari dell’associazione Jerry Masslo, coi quali collabora da un paio d’anni, lunedì sera alle 19 sarà sul luogo dell’efferato fatto di sangue, in via Dante Alighieri. Qui, di fronte al civico numero 5 e a due passi dal ponte sul canale sui Regi Lagni, ci sarà un momento di preghiera collettivo insieme con i missionari comboniani della vicina Chiesa cristiana degli immigrati. Mentre, sempre ieri il sindaco di Castel Volturno Antonio Scalzone ha firmato l’ordinanza di lutto cittadino. Anche le spese per seppellire il corpicino di Mary Morad saranno completamente a carico dell’amministrazione comunale del paese dove la bambina ha sempre vissuto. Intanto, anche se non direttamente confermato dall’istituto di medicina legale, pare che Mary sia morta non per annegamento, ma per le violente percosse ricevute al capo. Il medico legale incaricato dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere ha un mese di tempo per consegnare la sua relazione, ma alcune indiscrezioni confermerebbero che la bambina sia deceduta per le violente bastonate ricevute nel cortile di casa. L’acqua presente nei polmoni della piccola, infatti, nonostante il corpo di Mary sia stato immerso nel canale circa mezz’ora prima di essere ritrovato, sarebbe troppo poca per far supporre una morte appunto per annegamento. Quando Osufu, l’immigrato arrestato dalla polizia perché ritenuto il responsabile dell’omicidio, ha trasportato il corpicino di Mary da casa sua fino al ponte dei Regi lagni, quindi, la bambina era probabilmente già priva di vita. A questo punto diventa ancora più fondamentale per le indagini capire con certezza cosa è capitato alle 10 di mattina dell’11 giugno nel cortile del villino di via Alighieri. Anche per questo motivo la polizia ha ascoltato ieri nuovamente tutti i testimoni dell’intera vicenda. Per quasi tutta la mattinata è stata sentita al commissariato anche la convivente del papà di Mary, che al momento della tragedia si trovava all’interno della casa, e che ha sempre raccontato agli inquirenti di non aver udito alcun rumore sospetto proveniente dal cortile, né di aver sentito Mary urlare. Osuf in carcere continua a rimanere muto. Raffaele Gravante, il dipendente comunale che sabato scorso mentre si trovava in transito lungo la Domiziana sul ponte dei Regi Lagni ha visto Osuf nascondersi in pineta e che ha aiutato il dirigente della polizia Davide Della Cioppa a bloccarlo, non ha dubbi che sia lui l'omicida di Mary: «Quando lo abbiamo sorpreso in pineta, nelle mani stringeva due bastoni di legno, uno dei quali sporco di sangue, e li ha usati contro di noi con una ferocia indescrivibile. Era come invasato. Non parlava, ma ci sfidava a gesti, e prima di riuscire a bloccarlo ha ferito sia me, sia il capo della polizia a colpi di bastone sferrati con un'inaudita violenza». Ma quella di oggi per il litorale domizio sarà una giornata da dedicare interamente alle preghiere e alla commozione. Una bimba di Castel Volturno è morta in maniera drammatica, e il paese si ferma nel suo ricordo. © RIPRODUZIONE RISERVATA