martedì 30 settembre 2008

Strage, i messaggi di solidarietà delle altre comunità


30/09/2008


VINCENZO AMMALIATO «Uniti ai fratelli ghanesi nel dolore e nella speranza che Dio accolga le vittime innocenti in cielo». È solo uno dei tanti messaggi affissi fuori alla saracinesca della sartoria della strage, oramai divenuta una sorta di luogo di pellegrinaggio. Il chilometro 43 della strada Domiziana, dal giovedì sera della strage, accoglie infatti ogni giorno centinaia di persone che si fermano sul luogo della mattanza per diverse ragioni. C’è qualche curioso, che per sentirsi protagonista (anche per un solo istante), si sofferma soprattutto nei pressi del muro bianco dell'alimentari di fianco alla palazzina degli africani. Qui si sono conficcati alcuni dei colpi esplosi dai killer andati a vuoto. I proiettili hanno lasciato dei fori larghi anche dieci centimetri di diametro. I connazionali delle vittime li hanno cerchiati tutti, a uno a uno; e con un pennarello rosso ci hanno scritto «R.I.P», che sta per «riposa in pace». Ci sono, poi, tanti giornalisti, provenienti da ogni parte d'Italia ma anche dal resto d'Europa, bramosi di ogni minima notizia di Castelvolturno, del suo territorio e dei suoi abitanti. Tanti sono gli immigrati africani che si fermano di fronte alla saracinesca chiusa della sartoria «Ob Ob Fashion». Arrivano a bordo di auto private; vengono in comitiva con i pullmini più o meno sgangherati con i nomi delle tante Chiese pentecostali della Domiziana scritti sulle fiancate; molti scendono dai pullman di linea della Ctp. Qualcuno piange e qualcun altro impreca. Tutti si raccolgono in preghiera. E poi ci sono i privati cittadini, soprattutto italiani, che arrivano di fronte la sartoria semplicemente per adagiare alla saracinesca chiusa un fascio di fiori. Quasi tutti hanno allegato un messaggio. Quelli scritti in inglese sono solitamente di carattere religioso. Quelli in italiano lanciano dei chiari messaggi sociali. Per tutti coloro che arrivano per esprimere il loro cordoglio, le vittime della mattanza del chilometro 43 della Domiziana erano degli innocenti. Il giorno di San Gennaro, poco prima che partisse il corteo spontaneo e non autorizzato d'immigrati lungo la via Domiziana, un extracomunitario infuriato, con l'aiuto di una spranga di ferro, devastò il negozio di barbiere confinante con la sartoria. Ruppe la porta esterna in vetro e sotto ne comparve un'altra in ferro. Affisso alla seconda entrata, comparve un poster del grande pugile americano convertito all’Islam Muhammad Ali. Sotto c'era scritto «Nothing is impossibile» (niente è impossibile). Qualcuno, durante la veglia della scorsa domenica, lo ha strappato. A Castelvolturno è anche possibile morire crivellato di colpi solo perché ti trovi al posto sbagliato nel momento sbagliato.

venerdì 26 settembre 2008

LA STRADA MALEDETTA SI E' RIPULITA LA FACCIA

26/09/2008
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L’EMERGENZA CRIMINALITÀ
Decine i posti di blocco delle forze dell’ordine il traffico è calato a picco anche nelle ore notturne



VINCENZO AMMALIATO Benvenuti a Castelvolturno, Comune litoraneo della provincia di Caserta dove i giovani girano in motorino fra le stradine della località indossando regolarmente i caschi; dove non c'è alcuna lucciola in attesa di clienti ai margini della carreggiata; dove non arrivano a ogni ora del giorno e della notte gruppi di giovani dal basso Lazio e dal Molise alla ricerca di droghe di ogni tipo da consumare e rivendere nei loro paesini. Benvenuti a Castelvolturno, paese normale (ora). Fino a dieci giorni fa, per la gente del posto, questo poteva essere solo il trailer di un film di fantasia o il tema di un sogno irrealizzabile. Da tre giorni, invece, da quando in zona sono giunti i rinforzi delle forze dell'ordine, è esattamente il panorama che offre la lingua d'asfalto lunga ventisette chilometri conosciuta col nome di Domiziana. Ma ciò che più sconcerta e meraviglia chi in zona vive da sempre, piuttosto che l'ordine e il minuzioso rispetto delle regole, è la riduzione del traffico veicolare lungo le strade cittadine. Sulla nuova via Domiziana, durante la giornata, si contano all’incirca la metà delle automobili che transitavano fino alla settimana scorsa. Ma è quando calano le luci che il colpo d'occhio si fa forte. L'incessante via vai di automobili e dei loro conducenti che c’era di sera in entrambi i lati della carreggiata tutti i giorni della settimana è quasi completamente cessato. La strada realizzata duemila anni fa dall'imperatore Domiziano ha assunto, nè più né meno, le caratteristiche che hanno tutte le arterie comunali dei paesini di provincia del resto del Belpaese. Anche i numeri dei soccorsi effettuati dal 118 che staziona nel territorio di Castelvolturno sono lo specchio della situazione attuale. Praticamente, da tre giorni, i sanitari e gli autisti dell'ambulanza sono quasi senza lavoro. Mentre prima del presidio del territorio, da parte delle forze dell'ordine, erano abituati a non meno di dieci interventi al giorno (e quasi tutti da codice rosso). Il dato è confermato anche dalle prestazioni sanitarie fornite dal pronto soccorso della clinica Pineta Grande. Conosciuto come il «suk della Domiziana», nel presidio i soccorsi sono calati negli ultimi giorni di quasi il 50 per cento. Addirittura, anche le immagini delle decine di vetrine dei negozi crivellati di colpi d'arma da fuoco viste negli ultimi tempi, ma anche le diciannove persone morte ammazzate sul territorio comunale negli ultimi dieci mesi, appaiono già come un ricordo. Nessuna polemica, quindi, per la militarizzazione del territorio. Anzi, per alcuni poliziotti impegnati ieri in un posto di blocco al Villaggio Agricolo, sono partiti anche dei fragorosi applausi dalla gente del posto. Padre Giorgio Poletti, il missionario della Chiesa degli immigrati del litorale lo ripeteva da anni: «Castelvolturno - diceva il religioso - non ha cittadini, ma fruitori del territorio, e come tali si comportano». Evidentemente gran parte dei fruitori del territorio che transitavano lungo l'arteria comunale fino a tre giorni lo faceva violando la legge. Adesso la gente di Castelvolturno si pone una sola domanda: quanto tempo dureranno questo film e questo sogno?

domenica 21 settembre 2008

QUEL RIFUGIO DI PIETA' GUARDATO CON RISPETTO

21/09/2008
Quando il rabbioso corteo è transitato nei pressi del Centro Fernandes non si è levato alcun coro contro l’istituto vescovile che accoglie la Caritas. Nessuno degli immigrati che hanno tenuto in scacco la via Domiziana per cinque ore, nel piovoso e umido pomeriggio di venerdì, ha tirato sassi contro la struttura. Gli extracomunitari hanno mostrato una sorta di riverenza nei confronti dell’istituto ritenuto da molti italiani della zona il principale responsabile della presenza così massiccia d’immigrati sul litorale casertano. Eppure, il Centro Fernandes ha dimostrato più volte nel corso degli undici anni, da quando è stato ristrutturato, di essere una sorta di calmiere fra le richieste di ondate d’extracomunitari disperati attratti in zona da un patrimonio immobiliare abusivo vastissimo e le esigenze di sicurezza del territorio e dei suoi abitanti. Sono diverse decine le ragazze straniere sottratte al braccio criminale dello sfruttamento della prostituzione e avviate a una vita normale e dignitosa grazie al Centro Fernandes. Sono sempre i volontari del centro, coadiuvati dal direttore Antonio Casale, che mettono in contatto le aziende del centro e nord Italia che hanno bisogno di manodopera e gli immigrati che vivono a Castelvolturno. E qui che prestano servizio in maniera gratuita quasi tutti i pomeriggi fino a notte fonda i medici della Jerry Maaslo. Qui è possibile ottenere informazioni di qualsiasi tipo. E, ovviamente, può rivolgersi al centro ascolti del Fernandes chiunque, a prescindere dalla religione che professa. Tutto è svolto nel silenzio e senza la ricerca di popolarità. «Nessuno è straniero nel mondo», si legge su un cartello affisso all’ingresso del centro. Non si sentono stranieri qui gli indiani e i bangalesi che lavorano fino a venti ore al giorno nelle masserie che producono la mozzarella dei mazzoni conosciuta e apprezzata in tutto il mondo. Non si sentono straniere le badanti dell’est Europa che prestano assistenza agli anziani e agli invalidi italiani per quattrocento euro al mese. Non si sentono stranieri i muratori bulgari che lavorano a nero e a giornata nei cantieri edili senza alcun dispositivo di sicurezza. Nella chiesa del Centro Fernades, gestita dai missionari comboniani di padre Giorgio, trovano conforto decine d’immigrati polacchi, ucraini, africani, che possano ascoltare la Santa Messa nella loro lingua. Alla funzione in programma stamattina alle 11 ci sarà anche il vescovo della diocesi, monsignor Bruno Schettino. Come ogni domenica parteciperanno alla celebrazione almeno duecento immigrati. Pochi saranno i ghanesi fra i banchi della chiesa dei migranti. Loro professano la religione musulmana. Eppure hanno evitato durante il corteo di infierire contro il Centro Fernandes. vi.am.

«Ora tutto ci fa paura lo Stato e la camorra»


21/09/2008
VINCENZO AMMALIATO Come se si fosse trattato di un grosso incubo collettivo. Ieri mattina sulla via Domiziana, nel territorio di Castelvolturno, splendeva un forte sole nonostante il freddo, e già alle 10 l’arteria litoranea si presentava senza alcun segno del turbolento passaggio del corteo di africani del giorno prima. Appena qualche insegna delle numerose attività commerciali presenti lungo la via danneggiata, e null’altro. I cartelli divelti erano stati portati via, i cassonetti dei rifiuti già rimessi ai loro posti, i guard-rail risistemati. E loro, l’esercito degli immigrati centroafricani di Castelvolturno, era a fare né meno né più di quello che fa ogni sabato mattina dell’anno. I soliti capannelli all’esterno dei centri di telefonia internazionale; i fedeli delle chiese pentecostali in abiti da festa a celebrare le liturgie; le orde di operai stagionali in attesa sulla Domiziana, in piedi alle fermate dell’autobus in attesa di un mezzo di trasporto che li accompagni ai posti di lavoro; e i tossicodipendenti che trovano riparo all’ex Hotel Boomerang-Zagarella che entrano ed escono al solito come fantasmi dalla fatiscente struttura del Villaggio Agricolo. Solo le lucciole di colore sono diminuite rispetto al solito e hanno anche cambiato atteggiamento. Adesso non attendono più i clienti italiani facendo dei capannelli all’esterno dei viali dove vivono. Sono immobili, invece, alle fermate degli autobus, abbigliate in maniera non provocante fingendo di attendere il pullman. Una misura considerata necessaria visti i recenti regolamenti contro la prostituzione e, dopo i disordini di venerdì, il conseguente aumento di pattuglie di carabinieri, polizia e guardia di finanza lungo la Domiziana. Ma questo in verità accadeva già da oltre un mese, da quando cioè sono entrate in vigore le severe leggi comunali e del governo, un giro di vite contro la prostituzione. Fermandosi a parlare con gli immigrati, però, si legge chiaramente la paura nei loro occhi. Paura della risposta, forte e intransigente, dello Stato per i disordini scaturiti durante la marcia; paura, soprattutto, perché ormai tutti gli immigrati di Castelvolturno si sentono bersagli della camorra. Dopo la rabbia del giorno di San Gennaro chiedono ai giornalisti italiani che li intervistano: «Perché la camorra ce l’ha con noi? Perché tanta ferocia? Perché massacrarci?». Anche Teddy Egowman, il presidente dell’associazione dei nigeriani di Castelvolturno, rimasto ferito il 18 agosto scorso insieme alla moglie e ad altri tre connazionali a seguito di un raid nel cortile di casa sua, è scosso per l’eccidio di giovedì notte. Le vittime tutte ghanesi, liberiane, del Togo, ma il suo livello di coinvolgimento emotivo è ugualmente forte. «Ancora più di ieri - dice il presidente Egowman dalle città del Nord Italia dove si è rifugiato - sento di essere un miracolato. Il commando venuto a casa mia lo scorso mese era entrato in azione per fare una strage come quella consumata con ferocia proprio al Lago Patria. Cosa cerca la camorra dei casalesi da noi immigrati africani?. E, dopo la strage di giovedì, gli inquirenti cercano testimoni e conferme. Ma pochi collaborano. «Tenuto conto della carenza di fatti e di come si muovono devono essere per forza nella zona del Casertano. Non possiamo dire che vengono protetti da una rete di fiancheggiatori, ma sicuramente li protegge anche la paura e l’omertà della gente perbene che non trova il coraggio di collaborare», ha spiegato il comandante provinciale dei carabinieri Carmelo Burgio. Su un biglietto appoggiato a un fascio di fiori lasciato ieri da un anonimo (si dice sia un italiano) sul luogo della strage, al chilometro 43 della Domiziana, poco distante dalla sartoria bersaglio dei killer, c’era scritto: «Siamo tutti nella stessa Castelvolturno».

lo sfogo di Nuzzo: comprendo le proteste, anche gli africani sono vittime incolpevoli


Castelvolturno
VINCENZO AMMALIATO È cominciata con una leggera pioggia la più difficile giornata per Francesco Nuzzo da quando è sindaco di Castelvolturno. Alle 9 l'acqua piovana ha lavato via dalla Domiziana le macchie di sangue lasciate dai corpi dei sei immigrati trucidati poche ore prima al chilometro 43 dell'arteria costiera. A notte fonda è stato un temporale a scuotere il litorale. In mezzo, un'ordinaria giornata di delirio, di sgomento, d'incredulità, di panico. Francesco Nuzzo ha incontrato per la prima volta amici e i familiari delle vittime africane alle 11 sulla via Domiziana nello stesso punto dell'agguato. Il sindaco è stato immediatamente accerchiato da un gruppo di una ventina d'extracomunitari, ed è stato accusato di aver rilasciato delle dichiarazioni mandate in onda dai telegiornali alle prime ore della giornata nel corso delle quale aveva liquidato il feroce fatto di sangue come di regolamento di conti fra bande criminali dedite allo spaccio di sostanze stupefacenti. «Mi sono reso conto solo in questo momento ascoltando le vostre parole, ha detto con enfasi agli immigrati il sindaco, di essermi sbagliato. In effetti le vittime pare fossero tutte delle brave persone e sia loro, sia voi avrete la giustizia che meritate», ha aggiunto. Subito dopo ha dato loro appuntamento al palazzo comunale per definire una strategia comune d'interventi. La situazione, però, è degenerata proprio mentre gli immigrati cercavano di raggiungere piazza Annunziata. Lungo il percorso è capitato quello che nessuno poteva mai immaginare, né prevenire. Ed è stato proprio il primo cittadino ad intervenire ancora una volta nel cuore della protesta per cercare di rasserenare gli animi dei rivoltosi. «A un certo punto ho temuto che ci scappasse il morto», ha confessato a fine serata Nuzzo. L'auto guidata da un agente della Digos che stava accompagnando il sindaco ad un nuovo incontro con i rivoltosi è stata caricata dagli immigrati all'altezza del territorio di Baia Verde. Poco prima i manifestanti avevano rotto una dozzina di insegne dei locali della zona ed incendiato numerosi copertoni usati accatastati nei pressi di un gommista. Ancora una volta, però, è prevalso il buon senso e gli immigrati hanno risposto positivamente alle richieste del sindaco di completare il percorso senza continuare a devastare tutto quello che gli capitava a tiro. Una loro delegazione, poco dopo, è stata ricevuta nella sala comunale. «Non giustifico assolutamente i comportamenti vandalici degli immigrati, ha detto il sindaco, ma comprendo i motivi che li hanno generato. Anche loro sono vittime di una camorra che in zona è purtroppo più radicata dello Stato. È giunto il momento adesso - ha aggiunto di invertire la rotta. Le istituzioni si devono impegnare per riappropriarsi di ciò che gli spetta di diritto, nell'interesse di tutti i cittadini per bene di Castelvolturno, siano essi italiani o immigrati». E il sindaco Nuzzo ha tracciato anche la strada per raggiungere questi obiettivi. «Innanzitutto - ha detto - bisogna ampliare in maniera stabile l'organico delle forze dell'ordine sul territorio. E poi, è necessario che le spese straordinarie per gestire le innumerevoli emergenze che ci piovono sulla testa non siano pagate esclusivamente dalla collettività di Castelvolturno. Bisogna uscire da una situazione diventata ormai di emergenza cronica, per vivere in una normalità che i cittadini del litorale meritano». Intanto, però, la pioggia non è riuscita a ripulire la via Domiziana dalla devastazione creata dal corteo degli immigrati. Fino a notte fonda i cartelli della segnaletica, i cassonetti dell'immondizia e le pietre dei guardrail erano ancora al centro della carreggiata ad ostacolare la circolazione.