venerdì 12 dicembre 2008
La domitiana, dove non c'è strada non c'è civiltà
Al Paese che il 19 settembre scorso si è svegliato con le immagini di una delle stragi più cruente della sua storia criminale, quella della sartoria di Castelvolturno con i suoi sei morti ghanesi, sono arrivate, forse per la prima volta, in quantità le «istantanee» del degrado del litorale. Poi le immagini della devastazione della rivolta degli immigrati. Immagini, spezzoni, video spesso girati frettolosamente: il Paese ha visto, si è indignato e ha archiviato appena possibile. Della Domiziana è arrivato quanto bastava a reggere per qualche giorno un grave fatto di cronaca. Senza scomodare semiologi e filosofi, funziona così la società mediatica. Qualche immagine, una veloce sintesi, un giudizio e via, si passa alla pratica successiva.
Chi non ha avuto fretta è un giovane regista, Romano Montesarchio, che ha appena ultimato un documentario di 45' frutto di un lavoro cominciato nel 2003 con l'abbattimento delle torri del villaggio Coppola, seguito da osservazioni costanti nel corso degli anni e completato con una campagna di riprese cominciata a febbraio e ultimata qualche giorno fa. Il frutto è «La Domitiana, dove non c'è strada non c'è civiltà» (di Romano Montesarchio e Vincenzo Ammaliato, produzione Effetto Vertigo, regia di Romano Montesarchio, 2008).
Chi vuole conoscere la realtà domizia può vedere questo documentario: non c'è una voce narrante, non ci sono effetti speciali, il filo conduttore è, appunto, la strada con il suo mondo, il suo durissimo e complicatissimo mondo. C'è la strada vista dagli occhi di chi la frequenta, di chi la subisce, di chi la descrive. Occhi, soprattutto occhi che Montesarchio scruta, occhi impauriti, occhi arroganti, occhi dolenti di umanità che si sovrappongono, si guardano, si odiano. Il documentario - la cui «prima» è prevista il prossimo 20 dicembre al Cinepolis del Centro Commerciale Campania (ma alcuni spezzoni saranno trasmessi da «Un mondo a colori» di Rai1 nella seconda settimana di dicembre) - mostra lo sfascio della Domiziana, i luoghi che l'avrebbero dovuta trasformare e che invece sono stati trasformati: alberghi abbandonati, industrie scheletrite, interi complessi abusivi o case abbandonate: immagini che, mai in modo così completo e pulito, sono state riprese e mostrate con l'ansia di capire e di spiegare.
C'è anche il coraggio di chi in questi posti lavora: dal sindaco di Castelvolturno, Francesco Nuzzo (che, vale la pena ricordarlo, il giorno della rivolta degli immigrati è stato l'unico a scendere in strada per tentare di aprire un dialogo e fermare le devastazioni), ai volontari del Centro Fernandes, al personale del 118: anche per questi Montesarchio porta la camera sui volti, sulle espressioni. Le immagini, anche le più forti, sono belle: emerge chiara la ricerca del particolare che spiega il contesto, si vede la modernità del montaggio e la cura della colonna sonora che accompagna il documentario.
Con Vincenzo Ammaliato, giornalista che veste a tratti i panni di Virgilio, Romano Montescarchio ha realizzato un documentario di grande passione civile, raccontando drammi, ma soprattutto mostrando la dignità di quanti su quei 50 chilometri lavorano per fare qualcosa di diverso. Di migliore.
Nota: Gianni Molinari da "Il Mattino" del 23.11.2008
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