giovedì 23 settembre 2010

Strage immigrati, il sindaco vieta il monumento



17/09/2010

Scalzone: "sfida alla città". Gli organizzatori: "segno di pace e fratellanza".

Vincenzo Ammaliato
Una serie di tubi neri intrecciati fra loro. Secondo gli organizzatori della commemorazione degli africani uccisi il 18 settembre del 2008 nella sartoria etnica di Castel Volturno (prevista domani alle 11 nello stesso luogo della strage), questa scultura rappresenterebbe la fratellanza dei popoli e la battaglia alla camorra e al razzismo. Secondo il primo cittadino Antonio Scalzone, invece, è un'aperta sfida nei suoi confronti e quindi verso tutta la cittadinanza di Castel Volturno. La statua che sarebbe dovuta essere posta domani alle 11 al tristemente famoso chilometro 43 della via Domiziana, quindi, non sarà più istallata. Il sindaco Scalzone lo ha fatto capire chiaramente agli organizzatori dell'evento, che ieri mattina si erano recati nel municipio castellano per presentare la specifica richiesta. «Tecnicamente, ha fatto sapere Scalzone, al lago Patria c'è un grosso vincolo paesaggistico. E quindi il nostro ufficio urbanistica ha bisogno di più tempo per valutare la pratica. In ogni caso, però, mi opporrò in maniera decisa all'istallazione dell'opera». Ma come mai il primo cittadino si è mostrato in maniera così ostinata nei confronti dell'evento che ha organizzato la Rete antirazzista di Caserta e che domani fra gli altri dovrebbe portare di fronte alla sartoria etnica il vescovo di Capua Bruno Schettino e l'imam della moschea di San Marcellino Nasser Hidouri? «Perché le sei persone uccise dalla camorra due anni fa alla Ob Ob Fashion - ha detto Scalzone - non è ancora detto che fossero tutte estranee al mondo del crimine organizzato. Non per niente, la magistratura è ancora impegnata nel tracciare il motivo preciso di quella strage». Chi immaginava, quindi, che con il 18 settembre del 2008 il litorale domizio avesse toccato il fondo della sua storia recente e che poi sarebbe iniziato un processo riqualificazione, soprattutto di carattere sociale, dovrà immaginare ancora una strada lunga da percorrere. «Se anche un semplice momento di commemorazione e di preghiera può rappresentare lo spunto per polemiche e scontri fra parti della cosiddetta società civile e delle istituzioni, significa che a Castel Volturno c'è ancora tanto da lavorare per il pieno recupero del territorio», spiegano gli organizzatori che, in ogni caso, hanno confermato la celebrazione. Domattina alle 11 saranno di fronte alla sartoria etnica dove due anni prima il killer «cieco» Peppe Setola e i suoi soldati seminarono morte e disperazione nella comunità degli immigrati. Fu quello l’atto che fece scatenare la rivolta degli immigrati che per giorni misero a ferro e fuoco la città; ma fu anche l’episodio che spinse lo Stato a varare il piano per il presidio del territorio. Padre Antonio Bonato dei missionari comboniani, peraltro, ha tenuto a precisare che la manifestazione non è assolutamente contro il sindaco del posto, né contro la cittadinanza di Castel Volturno. «Questa è una libera interpretazione del sindaco Antonio Scalzone, ha sottolineato il missionario. E ha poi aggiunto: «Domani saranno ricordati non sei eroi, ma un gruppo di persone trucidate dalla camorra. E poi, il giudizio se fossero innocenti o colpevoli non spetta al primo cittadino, né ai religiosi, ma ai tribunali». Insieme con gli organizzatori dell'evento e tutti i partecipanti, domani alle 11 al chilometro 43 della via Domiziana sarà portata anche la statua da tubi neri intrecciati. Subito dopo sarà tenuta una preghiera interreligiosa. A mezzogiorno, circa, tutti andranno via, portandosi dietro la scultura. E la Domiziana continuerà con la sua solita routine, come sempre popolata dai suoi cittadini, dagli automobilisti che la percorrono e dai suoi fantasmi. © RIPRODUZIONE RISERVATA




Rischiamo di finire come gli indiani.

9/09/2010
La polemica Continua l’attacco del sindaco di Castel Volturno alle celebrazioni per il secondo anniversario della strage degli immigrati

Vincenzo Ammaliato.
Quattro viti e altrettanti bulloni sistemati con decisione, due chiodi piantati col trapano, un fragoroso applauso e ieri alle 11 il monumento in ricordo dei sei immigrati del Ghana trucidati due anni fa è stato posizionato al chilometro 43 della via Domiziana, proprio sotto al civico 1083. Di fronte c'è la saracinesca chiusa della sartoria etnica Ob Ob Fashion, dove il 18 settembre del 2008 poco prima delle 22 si materializzarono i killer della camorra, Peppe Setola e i suoi gregari, e in dodici secondi seminarono morte e terrore. Ieri alla commemorazione della strage c'erano alcuni parenti e amici delle sei vittime. C'erano i volontari della rete antirazzista di Caserta che ha organizzato l'evento. E c'erano anche i vescovi Bruno Schettino e Raffaele Nogaro, i missionari comboniani e l'iman della moschea di Caserta. Assenti, invece, i politici locali (tranne Fabio Russo e Tommaso Morlando dell'Idv). Assente anche il primo cittadino Antonio Scalzone che aveva fatto sapere che avrebbe impedito la sistemazione del monumento sul luogo della strage. Non lo ha fatto, ma non manca di attaccare: «Senza l'aiuto dello Stato, che qui ha abdicato, la nostra comunità farà la fine degli indiani d'America. Morirà sotto il peso dell'immigrazione». E aggiunge Scalzone: «L'inchiesta sul vero motivo della strage è tutt'ora in corso. Alcune indagini delle forze dell'ordine identificano la sartoria come una centrale per lo smistamento di droga». La pensa in maniera completamente opposta Mimma d'Amico, dell'ex Canapificio di Caserta. «Stiamo seguendo il processo della strage udienza per udienza - dice la responsabile della rete antirazzista - E fino a oggi sono emersi soltanto elementi che riconducono l'eccidio della sartoria a odio razziale e a terrorismo». Ribatte da lontano Scalzone: «Qui i neri sono di casa a cominciare da quelli delle basi Nato, anche se venissero 15mila svedesi il problema sarebbe lo stesso. Un esempio su tutti? La spazzatura che produce Castelvolturno è pari a quella di una cittadina da 70mila abitanti, pagando per lo smaltimento circa 8 milioni di euro. Il Comune, però, dalle tasse ne riesce a incassare soltanto 3,5 milioni». E poi «l'integrazione tra la mia comunità e gli immigrati è uguale a zero e chi sostiene il contrario mente». Comunque, i responsabile della rete antirazzista che hanno commissionato il monumento allo scultore Raffaele Siciliano, hanno deciso di posizionare ugualmente l’opera sul luogo della strage nonostante il divieto imposto dal Antonio Scalzone. «Perché la lettera ricevuta dal sindaco - spiega Mimma D'Amico - riportava soltanto indicazioni di carattere politico. E noi la richiesta l'abbiamo regolarmente presentata anche alla sovrintendenza» (la zona di lago Patria è sottoposta a vincolo paesaggistico, ndr). «Il dramma dell'immigrazione in Campania non si risolve con le parate». A sostenerlo, attraverso una nota, è l'assessore al Lavoro della Regione Campania Severino Nappi. «A due anni dalla strage di Castelvolturno - ha aggiunto Nappi - con l'insediamento della nuova giunta, stiamo cercando innanzitutto di mettere a sistema gli interventi, a partire dal necessario coordinamento tra politiche della sicurezza e quelle dell'integrazione sociale. Il peso del disagio e dei ritardi non può essere sostenuto solo dalle piccole comunità - ha concluso Nappi - occorre agire in sinergia tra istituzioni, parti sociali e attori del territorio». Non è interessato ad alcun tipo di polemica, invece, Stefan Antwi, fratello di Kuame, una delle sei persone morte nella strage. «Nostro padre - racconta - è morto lo scorso anno di crepacuore. Dal momento della morte di Kuame non faceva altro che chiedersi il motivo dell'uccisione del proprio figlio. Adesso sono rimasto io a farlo; e chissà per quanto tempo ancora dovrò farlo». Alle 12, poi, il chilometro 43 della via Domiziana si è svuotato e sul posto è rimasto solo il monumento di tubi intrecciati. E il sindaco Scalzone ha fatto sapere che non lo farà rimuovere. «Non voglio essere trasportato sul ring dello scontro razziale. Col tempo, in ogni caso si sapranno con certezza le ragioni della strage della sartoria. E probabilmente in quell'occasione chi ha posizionato questo monumento si vergognerà di quello che ha fatto». © RIPRODUZIONE RISERVATA



«Ce l’hanno con me perché voglio legalità»

25/09/2010


Vincenzo Ammaliato Castel Volturno.
«Mi vogliono a tutti i costi fuori dai giochi, magari addirittura in carcere, in modo tale che sul litorale domizio potranno fare quello che più fa comodo a loro». Il primo cittadino Antonio Scalzone non appare sorpreso dalla denuncia presentata ieri dalla Rete antirazzista di Caserta. Se l'aspettava, quindi, la seconda denuncia - dopo quella di altre associazioni - in meno di una settimana? «Stanno provando in tutti i modi possibili a togliersi il sottoscritto dai piedi, perché io difendo tutti i cittadini e il territorio del litorale domizio». Eppure, la miccia sulle polemiche l'ha accesa lei tentando di vietare l’istallazione del monumento ai caduti nella strage di camorra di due anni fa. «Assolutamente falso. Io ho espresso semplicemente il mio disappunto nel celebrare delle persone di cui ancora non si conosce il reale motivo per il quale sono state ammazzate. Sono gli organizzatori dell'evento, al contrario, che hanno strumentalizzato la mia azione». Ma ha ricevuto numerose critiche anche da tutt'Italia e pochissimi attestati di solidarietà. «Mi sono vicini i miei concittadini, e questo mi basta. Peraltro, anche alcune associazioni del territorio che lavorano con gli immigrati ed alcuni religiosi hanno condiviso la mia azione. Anche il vescovo mi ha contattato nei giorni scorsi dicendomi di capire le difficoltà che ho nell'amministrare un territorio difficile come questo del litorale domizio». Quindi non pensa di provare a colloquiare con chi l'ha denunciata? «Io sono per lo Stato di diritto assoluto. Chi a Castel Volturno vuole imporre la sua legge personale, troverà in me un muro invalicabile». E intanto il 9 ottobre è annunciata una marcia sulla Domiziana organizzata dalla Rete antirazzista. «Sì, ma chiederò al prefetto di vietarlo perché anche in questo caso è una dimostrazione di forza che vogliono fare nei nostri confronti, una sorta di intimidazione». © RIPRODUZIONE RISERVATA

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