martedì 28 dicembre 2010
"Io clandestino, non posso dire chi mi rapina"
il racconto del nigeriano Kennedy: "Io accoltellato dalla mafia nera, ma la legge non mi difende".
28/12/2010
foto Gianni Izzo
Vincenzo Ammaliato.
«Mi sento un bersaglio qui in Italia, un bersaglio al quale chiunque può mirare e sparare senza incorrere in alcuna conseguenza». È amaro lo sfogo di uno dei tanti immigrati africani che popolano la Domiziana, e fa parte di un racconto che se fosse confermato rappresenterebbe una circostanza raccapricciante. Lui, seduto nella cucina dell’abitazione che divide con altri cinque connazionali, a Castel Volturno, sostiene di essere scappato dal suo Paese d’origine, la Nigeria, perché perseguitato politico e di trovarsi in Italia da due anni; il permesso di soggiorno non lo ha ancora ottenuto, e oramai, addirittura, dispera di averlo. Intanto, cerca lavoro tutti i giorni sulle rotonde del Doppio Senso e dice di chiamarsi come il presidente degli Stati Uniti d’America assassinato a Dallas, Kennedy. Due mesi fa, secondo il suo racconto, sarebbe rimasto vittima di un’aggressione a scopo di rapina, e le conseguenze di quell’episodio sarebbero ancora visibili nelle due cicatrici che porta sul corpo, una sopra l’occhio sinistro, l’altra in petto: due tagli provocati quasi certamente da una lama di un coltello. «Da quando sono in Italia, racconta Kennedy, ho incontrato e frequento molte persone buone. Ma in giro c’è anche gente cattiva, ci sono quelli che voi chiamate “camorristi”, che incutono tanto terrore e che sono pericolosi. Ebbene, per non avere alcun tipo di problema da loro ho imparato a starne alla larga; ma dai mafiosi del mio Paese, dalla cosiddetta “Mafia Nera”, è difficile stare lontani senza l’aiuto delle forze dell’ordine; e i clandestini purtroppo, qui, non sono considerati, né ascoltati da nessuno. La Mafia Nera a Castel Volturno è molto potente e aggressiva; è ramificata e conta molti uomini che fanno ciò che vogliono, e quando hanno bisogno di denaro velocemente non esitano a rapinare i propri connazionali; soprattutto se clandestini, perché sanno bene che difficilmente denunceremo l’accaduto. E chi si oppone alle rapine o ai taglieggiamenti viene picchiato barbaramente, proprio come è successo a me due mesi fa. Volevano i pochi soldi che conservavo nel portafogli e il telefono cellulare; mi sono opposto e mi hanno picchiato e pugnalato. Dopo essere stato medicato alla clinica Pinetagrande, ho cercato di denunciare l’episodio alle forze dell’ordine, ma non mi hanno voluto ascoltare a causa della mia situazione giuridica, perché sono un fantasma». Da quando ha subito l’aggressione e non è riuscito a denunciarla, Kennedy dice di vivere nel terrore e di uscire di casa solo per andare a cercare il lavoro, un lavoro a giornata e a nero, ovviamente. Eppure, negli ultimi anni sono numerose le operazioni delle forze dell’ordine che coordinate dalla procura antimafia di Napoli e dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere hanno permesso di arrestare decine di affiliati alla mafia nigeriana che opera a Castel Volturno, i cosiddetti «Rapaci». Ciononostante, l’impressione che si ha percorrendo la via Domiziana è che le organizzazioni malavitose africane riescano ancora a controllare il territorio e gestire con relativa tranquillità i propri traffici illeciti. Lo sfruttamento della prostituzione, ad esempio, se pur diminuito, continua a mettere sui marciapiedi dell’antica arteria romana decine di ragazze ogni giorno. Così come lo spaccio di sostanze stupefacenti sembra non diminuire nonostante gli arresti eseguiti da carabinieri e polizia sul territorio siano quasi quotidiani. «E per questo, dice, Kennedy, che appena finito il lavoro, resto confinato in queste quattro mura. Ho paura a frequentare chiunque, ad andare a bere una bibita con gli amici. Perché fuori da questa casa ci sono dei bianchi e dei neri molto cattivi e nessuno disposto a difendere chi come me ha la sola colpa di non avere un regolare permesso di soggiorno». © RIPRODUZIONE RISERVATA
mercoledì 22 dicembre 2010
Lite in famiglia: moglie e figlio lo denunciano, lui si toglie la vita
Vincenzo Ammaliato
22/12/2010
Solitamente i suicidi sono definiti come il «male oscuro»: quella, spesso, imperscrutabile piega della mente difficile da decifrare, che spinge l’essere umano ad andare contro il proprio istinto di sopravvivenza e togliersi la vita. Ma nel caso di Salvatore Silvestri, cinquantaseienne di Castelvolturno, probabilmente alla base dell’insano gesto c’è anche dell’altro. L’uomo si è impiccato ieri pomeriggio nella veranda della propria abitazione mentre si trovava da solo in casa; ha staccato una corda utilizzata per stendere il bucato, l’ha legata ad un asse di ferro al soffitto, è salito su una sedia e subito dopo aver fatto il cappio al collo si è lasciato cadere nel vuoto. A notare quel corpo privo di vita pendente dal balcone è stato un suo vicino di casa, in via Fiume Desio, a Destra Volturno. Immediata è stata la chiamata ai soccorsi, così come pure l’arrivo di un’ambulanza del 118 di Mondragone. Ma per il cinquantaseienne al loro arrivo già non c'era più nulla da fare. I sanitari non hanno potuto fare altro che costatare il suo decesso. Poco dopo il corpo è stato direttamente trasferito all’istituto di medicina legale di Caserta. Sul posto sono giunti anche i carabinieri della locale stazione. Le forze dell'ordine hanno setacciato l’abitazione dell’uomo, ma non hanno trovato nulla che potesse spiegare il drammatico gesto: nessun «ultimo bigliettino», nessuna traccia utile. Eppure, in quella casa il giorno prima era successo qualcosa di violento. La moglie e il figlio ventenne del suicida si erano, infatti, recati lunedì sera alla stazione dei carabinieri di via Cavour, e qui avevano presentato una regolare denuncia per maltrattamenti contro il proprio congiunto. Poco prima di cena, stando alla loro dichiarazione, in casa Silvestri era scoppiata una lite talmente furiosa fra il capofamiglia, la moglie e il figlio, che questi ultimi due erano dovuti ricorrere alle cure dei medici del pronto soccorso della clinica Pineta Grande. Il comandante della stazione, il maresciallo Antonio Izzo, aveva dato mandato ai suoi uomini di preparare in giornata la contestazione di reato da consegnare a Salvatore Silvestri. I militari dell’arma gliel’avrebbero dovuta contestare questa mattina, ma non hanno fatto in tempo. Probabilmente lo stesso malessere che ha spinto l’uomo a infierire violentemente contro la moglie e il figlio, ieri pomeriggio lo ha riassalito, e mentre i parenti si trovavano a casa di una loro parente che vive poco distante, questa volta ha rivolto verso sé la violenza e si è tolto la vita. © RIPRODUZIONE RISERVATA
22/12/2010
Solitamente i suicidi sono definiti come il «male oscuro»: quella, spesso, imperscrutabile piega della mente difficile da decifrare, che spinge l’essere umano ad andare contro il proprio istinto di sopravvivenza e togliersi la vita. Ma nel caso di Salvatore Silvestri, cinquantaseienne di Castelvolturno, probabilmente alla base dell’insano gesto c’è anche dell’altro. L’uomo si è impiccato ieri pomeriggio nella veranda della propria abitazione mentre si trovava da solo in casa; ha staccato una corda utilizzata per stendere il bucato, l’ha legata ad un asse di ferro al soffitto, è salito su una sedia e subito dopo aver fatto il cappio al collo si è lasciato cadere nel vuoto. A notare quel corpo privo di vita pendente dal balcone è stato un suo vicino di casa, in via Fiume Desio, a Destra Volturno. Immediata è stata la chiamata ai soccorsi, così come pure l’arrivo di un’ambulanza del 118 di Mondragone. Ma per il cinquantaseienne al loro arrivo già non c'era più nulla da fare. I sanitari non hanno potuto fare altro che costatare il suo decesso. Poco dopo il corpo è stato direttamente trasferito all’istituto di medicina legale di Caserta. Sul posto sono giunti anche i carabinieri della locale stazione. Le forze dell'ordine hanno setacciato l’abitazione dell’uomo, ma non hanno trovato nulla che potesse spiegare il drammatico gesto: nessun «ultimo bigliettino», nessuna traccia utile. Eppure, in quella casa il giorno prima era successo qualcosa di violento. La moglie e il figlio ventenne del suicida si erano, infatti, recati lunedì sera alla stazione dei carabinieri di via Cavour, e qui avevano presentato una regolare denuncia per maltrattamenti contro il proprio congiunto. Poco prima di cena, stando alla loro dichiarazione, in casa Silvestri era scoppiata una lite talmente furiosa fra il capofamiglia, la moglie e il figlio, che questi ultimi due erano dovuti ricorrere alle cure dei medici del pronto soccorso della clinica Pineta Grande. Il comandante della stazione, il maresciallo Antonio Izzo, aveva dato mandato ai suoi uomini di preparare in giornata la contestazione di reato da consegnare a Salvatore Silvestri. I militari dell’arma gliel’avrebbero dovuta contestare questa mattina, ma non hanno fatto in tempo. Probabilmente lo stesso malessere che ha spinto l’uomo a infierire violentemente contro la moglie e il figlio, ieri pomeriggio lo ha riassalito, e mentre i parenti si trovavano a casa di una loro parente che vive poco distante, questa volta ha rivolto verso sé la violenza e si è tolto la vita. © RIPRODUZIONE RISERVATA
sabato 18 dicembre 2010
Dalla MIseria alla strada, storie di ragazze perseguitate
Il blitz della polizia sul litorale svela retroscena criminali ma anche tante vicende umane
18/12/2010
Vincenzo Ammaliato.
Quando si parla di immigrati nigeriani in Italia il riferimento logistico è sempre lo stesso: Castelvolturno. Ed è nel piccolo centro domiziano che vivevano e operavano alcune delle sette le donne arrestate ieri dalla squadra mobile dei Napoli nell’ambito dell’operazione coordinata dal tribunale partenopeo volta a stroncare una tratta di essere umani; nello specifico, di giovani donne da avviare alla prostituzione di strada, da posizionare sui marciapiedi della via Domiziana. È qui, sulla vecchia arteria romana, così come stanno raccontando negli ultimi anni numerose inchiesta della procura antimafia di Napoli, che da oltre due decenni la cosiddetta «Mafia nigeriana» ha trovato terreno fertile per consolidare e far crescere i suoi business criminali. Quello dello sfruttamento della prostituzione è un settore gestito interamente al femminile. Sono chiamate «maman» le nigeriane protettrici delle lucciole. Solitamente, ogni «maman» ha un gruppo di sei-dieci ragazze che avvia alla prostituzione. Sono tutte proprie connazionali. Si tratta di giovani donne dai diciotto ai venticinque anni, pagate ai trafficanti d'esseri umani ognuna dieci-quindicimila euro, e che vengono fatte arrivare in Italia clandestinamente. Appena giunte nel nostro Paese, le protettrici le sottraggono i passaporti, che saranno restituiti solo dopo aver pagato un riscatto di circa trentamila euro. Ovviamente, l’unico modo per procurarsi questa ingente somma di denaro per loro è quello di vendere il proprio corpo. Le ragazze per riavere i documenti ed essere libere sono costrette a lavorare tutti i giorni a qualsiasi ora del giorno e della notte. E se durante il percorso arriva una gravidanza indesiderata, le «maman» si preoccupano anche di organizzare gli aborti clandestini. Ulteriori sistemi di coercizione sono quelli dei riti wodoo, cui sono sottoposte le ragazze appena giunte in Italia e che temono in maniera particolare, e le minacce di morte ai familiari rimasti in Africa. Durante questo periodo le lucciole sono letteralmente segregate in abitazioni lager nei mille viali della via Domiziana. E anche per queste dimore devono pagare una somma di denaro ai propri carnefici, sotto forma vitto e alloggio pari a circa trecento euro al mese. Il debito dei trentamila euro, invece, solitamente è pagato per intero dopo circa due anni di lavoro. A questo punto, le organizzazioni malavitose che le hanno sfruttate e sfibrate sia fisicamente sia psicologicamente lasciano libere le ragazze. Non sono più costrette a lavorare con una protettrice. Potrebbero teoricamente anche tornare nel loro Paese d'origine. Ma per qualsiasi emigrante, è particolarmente umiliante e frustante tornare in patria più poveri di quando si è partiti. E allora, quasi tutte continuno a fare l'unica cosa che hanno imparato qui in Italia, le prostitute. E come in un film che si ripete all'infinito con lo stesso inizio e lo stesso finale, la vittima diventa carnefice, comprando un gruppo di giovani ragazze e avviandole al lavoro di strada. Anche alcune delle sette donne sfruttatrici arrestate lo scorso giorno hanno iniziato il loro percorso in Italia come semplici lucciole. Per loro adesso sono scattate le manette. Mentre per altre centinaia di connazionali, l'inferno continua tutti i giorni lungo le strade italiane.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
18/12/2010
Vincenzo Ammaliato.
Quando si parla di immigrati nigeriani in Italia il riferimento logistico è sempre lo stesso: Castelvolturno. Ed è nel piccolo centro domiziano che vivevano e operavano alcune delle sette le donne arrestate ieri dalla squadra mobile dei Napoli nell’ambito dell’operazione coordinata dal tribunale partenopeo volta a stroncare una tratta di essere umani; nello specifico, di giovani donne da avviare alla prostituzione di strada, da posizionare sui marciapiedi della via Domiziana. È qui, sulla vecchia arteria romana, così come stanno raccontando negli ultimi anni numerose inchiesta della procura antimafia di Napoli, che da oltre due decenni la cosiddetta «Mafia nigeriana» ha trovato terreno fertile per consolidare e far crescere i suoi business criminali. Quello dello sfruttamento della prostituzione è un settore gestito interamente al femminile. Sono chiamate «maman» le nigeriane protettrici delle lucciole. Solitamente, ogni «maman» ha un gruppo di sei-dieci ragazze che avvia alla prostituzione. Sono tutte proprie connazionali. Si tratta di giovani donne dai diciotto ai venticinque anni, pagate ai trafficanti d'esseri umani ognuna dieci-quindicimila euro, e che vengono fatte arrivare in Italia clandestinamente. Appena giunte nel nostro Paese, le protettrici le sottraggono i passaporti, che saranno restituiti solo dopo aver pagato un riscatto di circa trentamila euro. Ovviamente, l’unico modo per procurarsi questa ingente somma di denaro per loro è quello di vendere il proprio corpo. Le ragazze per riavere i documenti ed essere libere sono costrette a lavorare tutti i giorni a qualsiasi ora del giorno e della notte. E se durante il percorso arriva una gravidanza indesiderata, le «maman» si preoccupano anche di organizzare gli aborti clandestini. Ulteriori sistemi di coercizione sono quelli dei riti wodoo, cui sono sottoposte le ragazze appena giunte in Italia e che temono in maniera particolare, e le minacce di morte ai familiari rimasti in Africa. Durante questo periodo le lucciole sono letteralmente segregate in abitazioni lager nei mille viali della via Domiziana. E anche per queste dimore devono pagare una somma di denaro ai propri carnefici, sotto forma vitto e alloggio pari a circa trecento euro al mese. Il debito dei trentamila euro, invece, solitamente è pagato per intero dopo circa due anni di lavoro. A questo punto, le organizzazioni malavitose che le hanno sfruttate e sfibrate sia fisicamente sia psicologicamente lasciano libere le ragazze. Non sono più costrette a lavorare con una protettrice. Potrebbero teoricamente anche tornare nel loro Paese d'origine. Ma per qualsiasi emigrante, è particolarmente umiliante e frustante tornare in patria più poveri di quando si è partiti. E allora, quasi tutte continuno a fare l'unica cosa che hanno imparato qui in Italia, le prostitute. E come in un film che si ripete all'infinito con lo stesso inizio e lo stesso finale, la vittima diventa carnefice, comprando un gruppo di giovani ragazze e avviandole al lavoro di strada. Anche alcune delle sette donne sfruttatrici arrestate lo scorso giorno hanno iniziato il loro percorso in Italia come semplici lucciole. Per loro adesso sono scattate le manette. Mentre per altre centinaia di connazionali, l'inferno continua tutti i giorni lungo le strade italiane.
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venerdì 10 dicembre 2010
Ex testimone di giustizia: «Sono minacciata hanno avvelenato il mio cane, ora ho paura»
10/12/2010
Vincenzo Ammaliato
La morte di un cane nel cortile di un’abitazione è un evento triste per qualsiasi padrone, ma che può essere riconducibile a numerose patologie non prevedibili, seppure il quadrupede è di giovane età. Però, se il suo padrone è un testimone di giustizia che una volta completato il percorso giudiziario che lo ha portato a fare la «cosa giusta» ha deciso di tornare a vivere nel suo paese, l'episodio può nascondere una ragione dagli aspetti a dir poco inquietanti. E se poi, proprio mentre il padrone del meticcio sta piangendo per la morte del suo fidato amico, nei paraggi dell’abitazione si trova a passare un pregiudicato affiliato al clan camorristico della zona che ridendosela dice ad alta voce: «devi fare la stessa fine del tuo cane», allora la circostanza deve assume necessariamente aspetti di natura giudiziari. C. P.. con la sua scelta di comportarsi da cittadino esemplare, nel 2004 fece condannare all’ergastolo il killer di un omicidio a Mondragone. Per quattro anni (il periodo del processo) la donna ha vissuto protetta dallo Stato, spostandosi da un albergo all’altro lungo tutta l’Italia. Dal 2008, poi, ha deciso di tornare a vivere nel suo paese, a Mondragone. Ha deciso di tornare nella cittadina domiziana per riprendere la sua vita di sempre nella sua terra. Questa era la sua semplice e straordinaria speranza. Ma il ritorno è stato tutto in salita. La donna non è riuscita a recuperare il suo vecchio lavoro di collaboratrice domestica; gli amici di sempre sono come spariti; lo Stato che per quattro anni l’ha protetta e blindata con l’aiuto delle forze dell’ordine appare impegnato in altre e nuove emergenze. E così, la donna, si è trovata sola, isolata dalla tutti e costretta a rifarsi una vita senza più avere alcun punto di riferimento. Ma evidentemente, c’è chi non si è dimenticata di lei: la malavita, ad esempio. C.P., infatti, teme che il suo cane non sia morto per cause naturali, ma che sia stato invece avvelenato da uomini del clan che in un modo o nell’altro le vogliono far pagare la sua scelta di aiutare lo Stato nel far condannare uno spietato killer. Subito dopo la morte del meticcio, C. P. ha presentato una formale denuncia alla compagnia dei carabinieri. I militari dell’arma l’hanno ascoltata con attenzione e le hanno garantito che seguiranno scrupolosamente la vicenda. Le forze dell’ordine stanno cercando di appurare se l’episodio sia da collegare alla testimonianza contro il killer o legato a vicende private. Intanto, l’ex testimone di giustizia è tornata nella sua abitazione da sola: sola come prima e senza più la compagnia del suo amico fidato a quattro zampe. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Vincenzo Ammaliato
La morte di un cane nel cortile di un’abitazione è un evento triste per qualsiasi padrone, ma che può essere riconducibile a numerose patologie non prevedibili, seppure il quadrupede è di giovane età. Però, se il suo padrone è un testimone di giustizia che una volta completato il percorso giudiziario che lo ha portato a fare la «cosa giusta» ha deciso di tornare a vivere nel suo paese, l'episodio può nascondere una ragione dagli aspetti a dir poco inquietanti. E se poi, proprio mentre il padrone del meticcio sta piangendo per la morte del suo fidato amico, nei paraggi dell’abitazione si trova a passare un pregiudicato affiliato al clan camorristico della zona che ridendosela dice ad alta voce: «devi fare la stessa fine del tuo cane», allora la circostanza deve assume necessariamente aspetti di natura giudiziari. C. P.. con la sua scelta di comportarsi da cittadino esemplare, nel 2004 fece condannare all’ergastolo il killer di un omicidio a Mondragone. Per quattro anni (il periodo del processo) la donna ha vissuto protetta dallo Stato, spostandosi da un albergo all’altro lungo tutta l’Italia. Dal 2008, poi, ha deciso di tornare a vivere nel suo paese, a Mondragone. Ha deciso di tornare nella cittadina domiziana per riprendere la sua vita di sempre nella sua terra. Questa era la sua semplice e straordinaria speranza. Ma il ritorno è stato tutto in salita. La donna non è riuscita a recuperare il suo vecchio lavoro di collaboratrice domestica; gli amici di sempre sono come spariti; lo Stato che per quattro anni l’ha protetta e blindata con l’aiuto delle forze dell’ordine appare impegnato in altre e nuove emergenze. E così, la donna, si è trovata sola, isolata dalla tutti e costretta a rifarsi una vita senza più avere alcun punto di riferimento. Ma evidentemente, c’è chi non si è dimenticata di lei: la malavita, ad esempio. C.P., infatti, teme che il suo cane non sia morto per cause naturali, ma che sia stato invece avvelenato da uomini del clan che in un modo o nell’altro le vogliono far pagare la sua scelta di aiutare lo Stato nel far condannare uno spietato killer. Subito dopo la morte del meticcio, C. P. ha presentato una formale denuncia alla compagnia dei carabinieri. I militari dell’arma l’hanno ascoltata con attenzione e le hanno garantito che seguiranno scrupolosamente la vicenda. Le forze dell’ordine stanno cercando di appurare se l’episodio sia da collegare alla testimonianza contro il killer o legato a vicende private. Intanto, l’ex testimone di giustizia è tornata nella sua abitazione da sola: sola come prima e senza più la compagnia del suo amico fidato a quattro zampe. © RIPRODUZIONE RISERVATA
domenica 28 novembre 2010
Incertezza al Comune in attesa degli sviluppi giudiziari
Vincenzo Ammaliato
28/11/10
E’ previsto domani al tribunale di Napoli l’interrogatorio di Vincenzo Cassandra, il comandante dei vigili urbani di Castelvolturno, sospeso per due mesi dal servizio e finito anche lui nell’inchiesta della procura antimafia che due settimane fa ha scosso Castelvolturno come un terremoto. Per lui l’accusa è particolarmente grave: aver favorito grazie al ruolo pubblico che ha ricoperto l’organizzazione mafiosa che per anni ha spadroneggiato sul litorale domizio, quella dei cosiddetti “bidognettiani”. Per lo stesso reato sono stati iscritti nel registro degli indagati altri sette componenti del comando di polizia municipale (su un totale di ventiquattro agenti), ma anche i dirigenti degli uffici comunali dedicati al commercio, all’urbanistica e a quello tecnico. Avvisi di garanzia anche per i politici locali, fra i quali, l’attuale sindaco, Antonio Scalzone (del centro destra) e quello della passata amministrazione, Francesco Nuzzo, con il suo vice Lorenzo Marcello (del centrosinistra). In totale sono quarantuno le persone indagate, mentre tre sono state le ordinanze di carcerazione. In una delle numerose intercettazioni ambientali che compongono la specifica ordinanza della procura antimafia, si legge del fratello dell’attuale sindaco Antonio Scalzone, Alfonso, che commentando il clima che c’è sulla Domiziana dice: “Qui a Castelvolturno arriverà fra poco la fine del mondo”. E in effetti l’inchiesta della Dda di due settimane fa sembra aver minato dalle fondamenta i pilastri della cosiddetta società civile che ha retto le sorti del paese costiero negli ultimi trenta anni. Nel municipio l’aria che tira fra i dipendenti comunali e gli amministratori è quella della preoccupazione. C’è e angoscia mista ad ansia nell’attesa delle decisioni della prefettura di Caserta. La Dda, infatti, ha passato qui tutti gli atti dell’inchiesta e il Comune di Castelvolturno potrebbe a breve subire il quarto scioglimento della sua storia. Il primo cittadino, Scalzone, continua a ripetere di essere sereno. Eppure da qualche giorno sembra che sia iniziata la fuga dalla nave che affonda. Un consigliera della sua maggioranza si è già dimesso e altri cinque (sul totale di undici) hanno chiesto l’azzeramento della giunta. “Al sindaco – ha sottolineato il consigliere del Pdl Cesare Diana, confermiamo la solidarietà e la stima, ma solo sul piano personale. Su quello politico il discorso, invece, è diverso. Peraltro, in giunta c’è anche un assessore indagato e non possiamo continuare a guidare il paese in queste condizioni”. Il consigliere Diana auspica la formazione di una giunta con esponenti di alto profilo professionale. Ma con un’amministrazione in bilico fra lo scioglimento prefettizio e quello imposto dai consiglieri, sembra difficile che i professionisti del territorio possano accogliere una proposta del genere. In pratica, nel paese domizio c’è un vero e proprio marasma che potrebbe portare a breve a un tilt istituzionale. I vari indagati continuano a ripetere che riusciranno a dimostrare l’infondatezza delle accuse ipotizzate nell’ordinanza e la loro estraneità ai fatti contestati. Ma Castelvolturno dopo questa inchiesta non sarà sicuramente più la stessa. Le oltre cinquecento pagine dell’ordinanza hanno scoperchiato un malcostume dei pubblici amministratori e dei dipendenti comunali che va anche oltre il reato contestato dai giudici. Dalle intercettazioni ambientali e telefoniche è venuto fuori chiaramente come gran parte degli amministratori del posto e dei loro accoliti intendevano la gestione della “cosa pubblica”, in pratica come se fosse di proprietà privata e che l’interesse da tutelare non era della collettività ma quello proprio e tutt’al più dei parenti più stretti. In questa ottica è spiegato anche l’esercito di candidati a consigliere che si è presentato nel corso delle ultime due consultazioni per il rinnovo del consiglio comunale, quelle del 2005 e dello scorso marzo: oltre mille persone, in un paese che conta appena quindicimila cittadini abilitati. In pratica, un po’ tutti a Castelvolturno cercavano il proprio posto al sole; ci ha pensato la magistratura in questo caso a fare loro un po’ di ombra.
Nasce la prima associazione antiracket
21/11/2010
«Sarò a Castel Volturno per inaugurare una nuova associazione antiracket, perché il riscatto dalla criminalità va rilanciato anche e soprattutto sotto il profilo culturale, incoraggiando la ribellione degli onesti». A parlare è Alfredo Mantovano, sottosegretario all’interno. Il vice di Roberto Maroni ha scelto le pagine web del sito internet del Viminale per annunciare la nascita della prima associazione antiracket del litorale domizio. «Compete al ministero dell'Interno fare il possibile per assicurare i latitanti alla giustizia – ha aggiunto il sottosegretario - ma non esiste solo la repressione». Perché serve anche che la cosiddetta «società civile» esca allo scoperto e che collabori con le istituzioni. Sul litorale domizio c’è un primo nucleo di commercianti che ha scelto chiaramente di fare il “salto del fosso”. L’associazione è intitolata a Domenico Noviello, il titolare della scuola guida Mimmo, ucciso dai killer della camorra nel maggio del 2007. L’appuntamento per la presentazione dell’associazione è per domani alle 16, in una delle sale dell’Holiday Inn di Pinetamare. Oltre al sottosegretario Mantovano saranno presenti il sostituto procuratore della direzione distrettuale antimafia di Napoli Federico Cafiero De Raho e la vicepresidente di confindustria Cristiana Coppola. In prima fila ci saranno anche Tano Grasso e Silvana Fucito della Federazione nazionale antiracket, ispiratori della nascita dell’associazione di Castelvolturno. e.am. © RIPRODUZIONE RISERVATA
martedì 16 novembre 2010
Politici nella bufera, al setaccio atti e decisioni
16/11/2010
Vincenzo Annaliato
Quando alle 8 il custode ha aperto il portone del palazzo che si affaccia dinanzi la Chiesa dell’Annunziata, insieme ai primi dipendenti del Comune sono entrati nell’edificio anche un paio di dozzine di poliziotti del locale commissariato, della questura di Caserta e della Direzione investigativa antimafia di Napoli, e per l’establishment del paese litoraneo è cominciato il giorno più lungo della sua storia recente. In ogni ufficio del Comune è entrata una squadra di poliziotti, col preciso compito di copiare i files dai computer, annotare appunti, scattare foto, e in alcuni casi è stata anche sequestrata l’apparecchiatura elettronica, portandola via. In corso, il blitz disposto dalla direzione distrettuale antimafia che ha portato a tre ordini di carcerazione e a quarantuno avvisi di garanzia per numerosi reati. Ma per tutti, la contestazione di aver favorito il clan camorristico facente capo a Francesco Bidognetti. I primi lanci di agenzia stampa annunciati dai tiggì della mattina avevano avvisato che c’era in corso un nuovo blitz contro la criminalità organizzata a Castelvolturno e che almeno la metà degli avvisi di garanzia era destinata a dipendenti e funzionari del Comune e politici locali. Ma fino a quel momento, nessuno dei destinatari degli avvisi era stato ancora raggiunto dagli atti. La lista dei nomi, peraltro, non era stata ancora diffusa. E quindi tutti (o quasi) i dipendenti del Comune si sono presentati regolarmente al lavoro, anche quelli inquisiti, ma che evidentemente non sapevano ancora di esserlo. Ovviamente i volti erano tutti estremamente tesi. C’era confusione, incredulità, imbarazzo, in alcuni casi. Eppure, gli uffici sono rimasti tutti aperti regolarmente; e i cittadini che si sono recati al Comune hanno dovuto solo aspettare più del dovuto per completare le proprie commissioni. La polizia ha lasciato il palazzo comunale alle 12. E soltanto nel pomeriggio, poi, ogni destinatario degli avvisi di garanzia è stato raggiunto dall’atto della Dda. E per tutti sono cominciati, ovviamente, i contatti coi propri legali di fiducia. Il primo a intervenire pubblicamente, ovviamente, l’attuale primo cittadino di Castelvolturno, Antonio Scalzone, di centrodestra, anche lui raggiunto da un avviso di garanzia, che si è detto certo di poter dimostrare la sua estraneità ai fatti contestati nell’ordinanza della magistratura. «Mi auguro, però – ha sottolineato Antonio Scalzone - che i giudici appurino tutti i fatti nel più veloce tempo possibile. E noi dell’amministrazione comunale - ha garantito il sindaco - non faremo nulla per impedirlo; saremo, anzi, a disposizione di qualsiasi tipo di chiarimento». In previsione, peraltro, non c’è alcun tipo di assise speciale, né pubblico dibattito. «Perché il Comune - dice Scalzone concludendo - nonostante tutto deve continuare a lavorare in serenità e affrontare col massimo impegno tutti gli oneri a cui è chiamato quotidianamente». Mentre l’ex sindaco di Castelvolturno, Francesco Nuzzo, di centrosinistra, anche lui inquisito nella medesima ordinanza, e che appena dodici mesi fa pubblicamente dichiarava che «la camorra avrebbe brindato appena lui sarebbe andato via», si è detto «sbigottito dell’atto della Dda di Napoli». «In un mondo che è alla rovescia non mi ci trovo», ha detto l’ex sindaco Nuzzo. E ha aggiunto: «Non so assolutamente niente dei fatti contestati dalla Dda di Napoli. È però un fatto paradossale; proprio ieri, peraltro, ho finito di scrivere un libro sulla mia esperienza di sindaco intitolato “Uomini d'onore e uomini senza onore”». E stando ai reati contestati nelle oltre cinquecento pagine dell’ordinanza della direzione distrettuale antimafia, gli “uomini senza onore” a Castelvolturno sono davvero tanti. © RIPRODUZIONE RISERVATA
16/11/2010
Assemblea tra scioglimenti e ingovernabilità
Il blitz della polizia nel municipio di Castelvolturno non ha stupito i cittadini del posto, abituati alla presenza delle forze dell’ordine nel palazzo comunale. Nel 1992 ci fu il primo scioglimento dell’assise cittadina, per «disordini amministrativi». Nel 1998, invece, il nuovo scioglimento del Comune domiziano, firmato sempre dal Presidente della Repubblica, fu per «probabili infiltrazioni camorristiche». Il 31 dicembre del 2009, poi, ci fu il terzo scioglimento proposto dal ministro degli Interni, e questa volta l’amministrazione fu ritenuta responsabile d’«inadempienza nel servizio della raccolta rifiuti». Nel ’98 e nel 2009 i primi cittadini erano rispettivamente Antonio Scalzone e Francesco Nuzzo, inquisiti nell’ordinanza di ieri. Mentre Lorenzo Marcello, destinatario anche lui di un avviso di garanzia, vicesindaco di Nuzzo, è stato primo cittadino di Castelvolturno dal 1987 al 1992.
Oasi dei Variconi, le attrezzature distrutte dal maltempo e dai vandali. E i fondi non arrivano
11/11/2010
Vincenzo Ammaliato
Dalla pagina dedicata del sito internet dell’ente riserva «Licola, Volturno, Falciano» si legge che è «Una delle ultime aree umide d'Italia, Zona a Protezione Speciale per l'elevato numero di uccelli migratori». Ma chi protegge la stessa Oasi dei Variconi dall’incuria dell’uomo e dal degrado ambientale? Sono bastati pochi giorni di maltempo con venti sostenuti per devastare le strutture prefabbricate istallate all’interno dell’oasi retrodunale alla sinistra della foce del fiume Volturno. Porte divelte, steccionate abbattute, pavimentazione saltata. E probabilmente c’è anche la mano dei vandali all’origine delle precarie condizioni delle strutture dell’Oasi dei Variconi, perché uno dei box per le appostazioni risulta in parte incendiato. In ogni caso i danni offrono la misura precisa di quello che è l’oasi di Castelvolturno e di quello che sarebbe dovuta diventare. L’area, che copre una superficie di circa trenta ettari fu recuperata nel 2004. Fu recintata, istallato un grosso cancello di metallo all’ingresso per impedire l’accesso ai bracconieri e furono create le strutture in legno per favorire un segmento di turismo ambientale molto in crescita nel resto d’Europa, il birdwactching. Eppure, in questi sei anni ben poco è stato fatto. L’amministrazione di Castelvolturno ha affidato ai volontari della protezione civile il controllo dell’area e la gestione degli accessi all’ingresso dell’Oasi. L’ente che lo gestisce, invece, Foce Volturno – Costa Licola – Lago Falciano, lamenta l’investimento di poche risorse per l’area. Il presidente dell’ente, Amelia Caivano, conferma che i finanziamenti per l’Oasi dei Variconi sono fermi al 2005. «I ministeri dell’Agricoltura e quello dell’Ambiente congiuntamente hanno previsto uno stanziamento di fondi a favore dell’ente, ma non per l’area dei Variconi, ma per un progetto di riqualificazione delle vasche delle Soglietelle. Al momento per la zona retrodunale della foce del fiume riusciamo solo a gestire la tutela degli uccelli migratori». Per lo sfruttamento della zona da un punto di vista turistico, quindi, bisognerà ancora attendere molto. Ma intanto l’area necessita di interventi strutturali. Oltre alle attrezzature, in pericolo è la stessa costa alla sinistra del fiume. Lo scorso anno qui le forti mareggiate ruppero gli argini di contenimento della scogliera. Intervenne la provincia con una ditta specializzata ma la forestale bloccò i lavori per il vincolo ambientale che c’è sull’area. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Giu dal balcone, sta meglio bimbo di 6 anni
10/11/2010
Vincenzo Ammaliato
«Il bambino non è più in pericolo di vita», hanno fatto sapere ai genitori i medici dell’ospedale pediatrico Santobono dove è ricoverato il bambino. Da codice rosso, nelle ultime ore della giornata di ieri è passato a quello giallo, e i familiari del piccolo Gennaro De Martino, caduto lunedì sera da un’altezza di quattro metri dal balcone della sua abitazione a Destra Volturno, hanno potuto tirare un primo sospiro di sollievo. La prognosi, però, non è stata ancora sciolta. I sanitari attendono che passino almeno quarantottore prima di pronunciarsi ufficialmente; anche perché il piccolo Gennaro a seguito della tremenda caduta ha riportato fra i numerosi traumi anche una seria emorragia celebrare (che per fortuna sta rientrando velocemente). I medici del nosocomio napoletano, in ogni caso, confidano di trasferire già questa sera il bambino di Castelvolturno dal reparto di terapia intensiva a quello di neurochirurgia. Intanto, sul fronte delle indagini, i carabinieri hanno eseguito i rilievi a casa della famiglia De Martino, ed hanno ascoltato i numerosi testimoni. La dinamica di quella che per fortuna si può definire come «una mancata tragedia» è piuttosto chiara: Gennaro era stato portato a letto nella sua stanza al primo piano dalla mamma, casalinga (il papà è operaio), poco dopo le 22. Qui il piccolo vive insieme, oltre che ai suoi genitori, alla sorellina di una anno e il fratello maggiore di dodici. Dopo avergli rimboccato le coperte, la mamma è scesa al piano di sotto per accudire i due fratelli. Nello stesso momento il volo di quattro metri di Gennaro nel vuoto e lo sgomento dei parenti e dei vicini. Il piccolo, infatti, appena la mamma è andata via è sceso dal letto e si è recato fuori al balcone. Era intenzionato a raggiungere la vicina abitazione della nonna. Gennaro è molto legato alla sua nonna e spesso restava a dormire a casa sua. Ha quindi scavalcato il muretto del balconcino per tentare un salto, magari simile a quelli che fanno abitualmente i suoi eroi dei cartoni animati. Ma subito dopo è stato certamente assalito dalla paura e ha cercato di risalire. Purtroppo la sua presa non ha retto il peso del corpo e di qui il salto nel vuoto di circa quattro metri. A salvargli la vita, probabilmente, una tettoia che ha attenuato la caduta. Il primo a lanciare l’allarme è stato un vicino di casa dei De Martino, che si trova agli arresti domiciliari e in quel momento si trovava sul balcone della sua abitazione. Poco dopo è arrivata sul posto l’ambulanza del 118 e il veloce trasporto alla vicina clinica Pinetagrande. Ma le ferite riportate da Gennaro apparivano troppo gravi. Servivano cure specifiche da parte di un ospedale pediatrico. Da qui la decisione del trasferimento al Santobono di Napoli. Fino a ieri pomeriggio la vita del piccolo Gennaro appariva come appesa a un filo. Poi finalmente nel pomeriggio di ieri sono arrivate le parole rassicuranti dei medici. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Vincenzo Ammaliato
«Il bambino non è più in pericolo di vita», hanno fatto sapere ai genitori i medici dell’ospedale pediatrico Santobono dove è ricoverato il bambino. Da codice rosso, nelle ultime ore della giornata di ieri è passato a quello giallo, e i familiari del piccolo Gennaro De Martino, caduto lunedì sera da un’altezza di quattro metri dal balcone della sua abitazione a Destra Volturno, hanno potuto tirare un primo sospiro di sollievo. La prognosi, però, non è stata ancora sciolta. I sanitari attendono che passino almeno quarantottore prima di pronunciarsi ufficialmente; anche perché il piccolo Gennaro a seguito della tremenda caduta ha riportato fra i numerosi traumi anche una seria emorragia celebrare (che per fortuna sta rientrando velocemente). I medici del nosocomio napoletano, in ogni caso, confidano di trasferire già questa sera il bambino di Castelvolturno dal reparto di terapia intensiva a quello di neurochirurgia. Intanto, sul fronte delle indagini, i carabinieri hanno eseguito i rilievi a casa della famiglia De Martino, ed hanno ascoltato i numerosi testimoni. La dinamica di quella che per fortuna si può definire come «una mancata tragedia» è piuttosto chiara: Gennaro era stato portato a letto nella sua stanza al primo piano dalla mamma, casalinga (il papà è operaio), poco dopo le 22. Qui il piccolo vive insieme, oltre che ai suoi genitori, alla sorellina di una anno e il fratello maggiore di dodici. Dopo avergli rimboccato le coperte, la mamma è scesa al piano di sotto per accudire i due fratelli. Nello stesso momento il volo di quattro metri di Gennaro nel vuoto e lo sgomento dei parenti e dei vicini. Il piccolo, infatti, appena la mamma è andata via è sceso dal letto e si è recato fuori al balcone. Era intenzionato a raggiungere la vicina abitazione della nonna. Gennaro è molto legato alla sua nonna e spesso restava a dormire a casa sua. Ha quindi scavalcato il muretto del balconcino per tentare un salto, magari simile a quelli che fanno abitualmente i suoi eroi dei cartoni animati. Ma subito dopo è stato certamente assalito dalla paura e ha cercato di risalire. Purtroppo la sua presa non ha retto il peso del corpo e di qui il salto nel vuoto di circa quattro metri. A salvargli la vita, probabilmente, una tettoia che ha attenuato la caduta. Il primo a lanciare l’allarme è stato un vicino di casa dei De Martino, che si trova agli arresti domiciliari e in quel momento si trovava sul balcone della sua abitazione. Poco dopo è arrivata sul posto l’ambulanza del 118 e il veloce trasporto alla vicina clinica Pinetagrande. Ma le ferite riportate da Gennaro apparivano troppo gravi. Servivano cure specifiche da parte di un ospedale pediatrico. Da qui la decisione del trasferimento al Santobono di Napoli. Fino a ieri pomeriggio la vita del piccolo Gennaro appariva come appesa a un filo. Poi finalmente nel pomeriggio di ieri sono arrivate le parole rassicuranti dei medici. © RIPRODUZIONE RISERVATA
mercoledì 10 novembre 2010
il ricordo di Makeba, fiori anche dal Comune
10/11/2010
Vincenzo Ammaliato
Lo scorso anno, al primo anniversario della morte della cantante e attivista umanitaria Miriam Makeba, nella piazza di Baia Verde si riunirono numerose persone e molti rappresentanti delle istituzioni. C’erano, oltre ai volontari delle associazioni che in provincia di Caserta si occupano dei diritti degli immigrati, anche esponenti della Regione Campania e della Provincia di Caserta e alcuni funzionari dell’alto commissariato ai rifugiati dell’Onu. L’allora sindaco di Castelvolturno, Francesco Nuzzo, da padrone di casa, tenne un discorso dai toni roboanti. Ieri, a Castelvolturno, ai piedi della stele con l’immagine della cantante Sudafricana per il secondo anniversario si sono ritrovati in pochi. Eppure per loro, i volontari del forum antirazzista della Campania e pochi altri, appena giunti nei pressi del monumento di marmo lo stupore è stato notevole. Avrebbero dovuto depositare un fascio di fiori, fare un piccola preghiera e andare via. Ma qualcun altro li aveva anticipati, deponendo prima degli altri fiori. Fin qui tutto normale, Miriam Makeba era un’artista apprezzata nel mondo intero ed aveva milioni di fan. Se non fosse, però, per il mittente del fascio di fiori: l’amministrazione comunale di Castelvolturno; la stessa amministrazione comunale retta da quell’Antonio Scalzone che lo scorso settembre si era opposto all’istallazione di un monumento in ricordo dei sei africani trucidati dalla camorra nella sartoria etnica del Lago Patria e che in più riprese aveva auspicato a una rivoluzione sul litorale domizio in stile "Rosarno". Eppure, proprio quando nessuno se lo sarebbe aspettato, il sindaco di Castelvolturno ha ritenuto opportuno ricordare la cantante morta durante un concerto dedicato agli immigrati della domiziana. «Decisamente una sorpresa molto gradita - ha sottolineato il mediatore culturale Emiliano di Marco del forum antirazzista – con la speranza che possa iniziare un nuovo percorso nei confronti degli immigrati proprio qui dove più si sente la necessità». © RIPRODUZIONE RISERVATA
Giù dal balcone, sta meglio il bimbo di 6 anni
10/11/2010
Vincenzo Ammaliato
«Il bambino non è più in pericolo di vita», hanno fatto sapere ai genitori i medici dell’ospedale pediatrico Santobono dove è ricoverato il bambino. Da codice rosso, nelle ultime ore della giornata di ieri è passato a quello giallo, e i familiari del piccolo Gennaro De Martino, caduto lunedì sera da un’altezza di quattro metri dal balcone della sua abitazione a Destra Volturno, hanno potuto tirare un primo sospiro di sollievo. La prognosi, però, non è stata ancora sciolta. I sanitari attendono che passino almeno quarantottore prima di pronunciarsi ufficialmente; anche perché il piccolo Gennaro a seguito della tremenda caduta ha riportato fra i numerosi traumi anche una seria emorragia celebrare (che per fortuna sta rientrando velocemente). I medici del nosocomio napoletano, in ogni caso, confidano di trasferire già questa sera il bambino di Castelvolturno dal reparto di terapia intensiva a quello di neurochirurgia. Intanto, sul fronte delle indagini, i carabinieri hanno eseguito i rilievi a casa della famiglia De Martino, ed hanno ascoltato i numerosi testimoni. La dinamica di quella che per fortuna si può definire come «una mancata tragedia» è piuttosto chiara: Gennaro era stato portato a letto nella sua stanza al primo piano dalla mamma, casalinga (il papà è operaio), poco dopo le 22. Qui il piccolo vive insieme, oltre che ai suoi genitori, alla sorellina di una anno e il fratello maggiore di dodici. Dopo avergli rimboccato le coperte, la mamma è scesa al piano di sotto per accudire i due fratelli. Nello stesso momento il volo di quattro metri di Gennaro nel vuoto e lo sgomento dei parenti e dei vicini. Il piccolo, infatti, appena la mamma è andata via è sceso dal letto e si è recato fuori al balcone. Era intenzionato a raggiungere la vicina abitazione della nonna. Gennaro è molto legato alla sua nonna e spesso restava a dormire a casa sua. Ha quindi scavalcato il muretto del balconcino per tentare un salto, magari simile a quelli che fanno abitualmente i suoi eroi dei cartoni animati. Ma subito dopo è stato certamente assalito dalla paura e ha cercato di risalire. Purtroppo la sua presa non ha retto il peso del corpo e di qui il salto nel vuoto di circa quattro metri. A salvargli la vita, probabilmente, una tettoia che ha attenuato la caduta. Il primo a lanciare l’allarme è stato un vicino di casa dei De Martino, che si trova agli arresti domiciliari e in quel momento si trovava sul balcone della sua abitazione. Poco dopo è arrivata sul posto l’ambulanza del 118 e il veloce trasporto alla vicina clinica Pinetagrande. Ma le ferite riportate da Gennaro apparivano troppo gravi. Servivano cure specifiche da parte di un ospedale pediatrico. Da qui la decisione del trasferimento al Santobono di Napoli. Fino a ieri pomeriggio la vita del piccolo Gennaro appariva come appesa a un filo. Poi finalmente nel pomeriggio di ieri sono arrivate le parole rassicuranti dei medici. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Vincenzo Ammaliato
«Il bambino non è più in pericolo di vita», hanno fatto sapere ai genitori i medici dell’ospedale pediatrico Santobono dove è ricoverato il bambino. Da codice rosso, nelle ultime ore della giornata di ieri è passato a quello giallo, e i familiari del piccolo Gennaro De Martino, caduto lunedì sera da un’altezza di quattro metri dal balcone della sua abitazione a Destra Volturno, hanno potuto tirare un primo sospiro di sollievo. La prognosi, però, non è stata ancora sciolta. I sanitari attendono che passino almeno quarantottore prima di pronunciarsi ufficialmente; anche perché il piccolo Gennaro a seguito della tremenda caduta ha riportato fra i numerosi traumi anche una seria emorragia celebrare (che per fortuna sta rientrando velocemente). I medici del nosocomio napoletano, in ogni caso, confidano di trasferire già questa sera il bambino di Castelvolturno dal reparto di terapia intensiva a quello di neurochirurgia. Intanto, sul fronte delle indagini, i carabinieri hanno eseguito i rilievi a casa della famiglia De Martino, ed hanno ascoltato i numerosi testimoni. La dinamica di quella che per fortuna si può definire come «una mancata tragedia» è piuttosto chiara: Gennaro era stato portato a letto nella sua stanza al primo piano dalla mamma, casalinga (il papà è operaio), poco dopo le 22. Qui il piccolo vive insieme, oltre che ai suoi genitori, alla sorellina di una anno e il fratello maggiore di dodici. Dopo avergli rimboccato le coperte, la mamma è scesa al piano di sotto per accudire i due fratelli. Nello stesso momento il volo di quattro metri di Gennaro nel vuoto e lo sgomento dei parenti e dei vicini. Il piccolo, infatti, appena la mamma è andata via è sceso dal letto e si è recato fuori al balcone. Era intenzionato a raggiungere la vicina abitazione della nonna. Gennaro è molto legato alla sua nonna e spesso restava a dormire a casa sua. Ha quindi scavalcato il muretto del balconcino per tentare un salto, magari simile a quelli che fanno abitualmente i suoi eroi dei cartoni animati. Ma subito dopo è stato certamente assalito dalla paura e ha cercato di risalire. Purtroppo la sua presa non ha retto il peso del corpo e di qui il salto nel vuoto di circa quattro metri. A salvargli la vita, probabilmente, una tettoia che ha attenuato la caduta. Il primo a lanciare l’allarme è stato un vicino di casa dei De Martino, che si trova agli arresti domiciliari e in quel momento si trovava sul balcone della sua abitazione. Poco dopo è arrivata sul posto l’ambulanza del 118 e il veloce trasporto alla vicina clinica Pinetagrande. Ma le ferite riportate da Gennaro apparivano troppo gravi. Servivano cure specifiche da parte di un ospedale pediatrico. Da qui la decisione del trasferimento al Santobono di Napoli. Fino a ieri pomeriggio la vita del piccolo Gennaro appariva come appesa a un filo. Poi finalmente nel pomeriggio di ieri sono arrivate le parole rassicuranti dei medici. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Il cortometraggio sulla Domiziana vince il premio "l'anello debole"
09/11/2010
foto, video e interviste per spiegare l'esistenza di chi vive ai margini
Vincenzo Ammaliato
«Campania d’Africa» è il cortometraggio che si è aggiudicato il primo premio del Festival l’Anello Debole nella specifica sezione, organizzato dalla Comunità Capodarco di Fermo. E la protagonista del documentario è la via Domiziana: «Campania d’Africa» attraversa e racconta l’antica strada romana con le sue milleuno contraddizioni che la caratterizzano e che l’hanno resa popolare al mondo intero. L’autore è un giovane fotografo freelance romano. Francesco Alesi, questo il suo nome, si è immerso per oltre un paio di settimana nelle viscere della costa casertana, per comprendere appieno il microcosmo del territorio ed ha scattato migliaia di foto e conversato con chiunque. I suoi ciceroni (o i suoi «Caronte», a secondo dei punti di vista) sono stati due immigrati irregolari africani che qui vivono, o meglio, «che sopravvivono - come racconta il documentario - e che quando c’è lavoro sono impegnati nei piccoli cantieri edili abusivi o nelle campagne». Gwasi ed Emanuel, sono i loro nomi. «Sono giovani, sono clandestini, sono poveri – spiega Alesi nel suo Campania d’Africa - sono come gran parte degli immigrati che risiede in zona. E, sono, soprattutto, tantissimi: a Castel Volturno c’è la percentuale più alta d’Europa di extracomunitari provenienti dalla zona sub-shariana». Il documentario dura poco più di cinque minuti. Ha una struttura dinamica, formata da una lunga serie di suggestive fotografie, intervallate dalle interviste dell’autore agli immigrati. La colonna sonora, poi, realizzata da Marco Guglielmi, è un rep nell’inglese spurio parlato dagli immigrati africani. Le musiche, in pratica, sono cucite addosso al cortometraggio e rendono l’opera ancora più struggente. «È la perfetta cooperazione dei tre elementi, fotografia, intervista e musica, che ha convinto la giuria a premiare Campania d’Africa – ha spiegato Gian Luigi Cozzi, della segreteria del festival della comunità Capodarco – peraltro, ha aggiunto il direttore Cozzi, il tema è di stringente attualità». Ma è un’attualità che lungo la via Domiziana si ripete da oltre venti anni, giorno dopo giorno. «Avrei avuto il piacere che a ritirare il premio - ha detto Alesi - fossero stati i miei due amici di viaggio afrodomiziani. Ma loro non possono muoversi da Castel Volturno: troppo rischioso, potrebbero essere fermati dalle forze dell’ordine e arrestati perché clandestini". Bizzarro il loro destino, hanno vinto un premio ad un festival, eppure non possono ritirarlo, non possono farsi le foto di rito sorridenti, possono solo lavorare da clandestini sulla Domiziana. © RIPRODUZIONE RISERVATA
sabato 6 novembre 2010
Appalti anticamorra, comunali a lezione
06/11/2010
Vincenzo Ammaliato Castel Volturno.
Dipendenti e funzionari del Comune di Castelvolturno a lezione di «trasparenza». L'amministrazione comunale litoranea ha aderito al progetto «Appalto Sicuro», predisposto dal ministero dell'Interno e da quello della Funzione pubblica per contrastare la corruzione e l'infiltrazione della criminalità organizzata negli appalti pubblici. Il progetto è gestito dalla società Facultas Agendi, che con una raccomandata spedita la scorsa settimana a tutti i sindaci dei Comuni della Campania ha invitato i dipendenti amministrativi a prendere parte ai corsi. I posti disponibili sono milleduecento e il Comune di Castel Volturno ha già prenotato i banchi per il suo personale. I corsi (che saranno per gli enti completamente gratuiti) avranno una durata semestrale e partiranno dal prossimo mese di gennaio. In sintesi, i dipendenti comunali che torneranno studenti per un semestre, saranno formati sulle nuove procedure in materia di trasparenza sugli appalti previsti dal recente codice degli Appalti Pubblici, sulle specifiche direttive comunitarie e su come istaurare la giusta sinergia con le forze dell'ordine e la magistratura. L'imperativo è tenere fuori dalle amministrazioni comunali le organizzazioni criminali. E in un territorio come il litorale domizio il progetto assume una valenza notevole. Peraltro, Castel Volturno ha già aderito alla «Stazione unica appaltante» della provincia. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Vincenzo Ammaliato Castel Volturno.
Dipendenti e funzionari del Comune di Castelvolturno a lezione di «trasparenza». L'amministrazione comunale litoranea ha aderito al progetto «Appalto Sicuro», predisposto dal ministero dell'Interno e da quello della Funzione pubblica per contrastare la corruzione e l'infiltrazione della criminalità organizzata negli appalti pubblici. Il progetto è gestito dalla società Facultas Agendi, che con una raccomandata spedita la scorsa settimana a tutti i sindaci dei Comuni della Campania ha invitato i dipendenti amministrativi a prendere parte ai corsi. I posti disponibili sono milleduecento e il Comune di Castel Volturno ha già prenotato i banchi per il suo personale. I corsi (che saranno per gli enti completamente gratuiti) avranno una durata semestrale e partiranno dal prossimo mese di gennaio. In sintesi, i dipendenti comunali che torneranno studenti per un semestre, saranno formati sulle nuove procedure in materia di trasparenza sugli appalti previsti dal recente codice degli Appalti Pubblici, sulle specifiche direttive comunitarie e su come istaurare la giusta sinergia con le forze dell'ordine e la magistratura. L'imperativo è tenere fuori dalle amministrazioni comunali le organizzazioni criminali. E in un territorio come il litorale domizio il progetto assume una valenza notevole. Peraltro, Castel Volturno ha già aderito alla «Stazione unica appaltante» della provincia. © RIPRODUZIONE RISERVATA
quattro fermi, per gli inquirenti sono emissari del clan La Torre
06/11/2010
Vincenzo Ammaliato Mondragone.
È il clan che cerca di risorgere dalle sue ceneri. Anche le quattro persone per cui ieri sono stati disposti i fermi di polizia, secondo gli agenti del commissariato litoraneo e la procura distrettuale antimafia di Napoli che ha firmato gli atti, appartengono al sodalizio criminale dei La Torre, o meglio a quello che è rimasto del clan. Destinatari del provvedimento Roberto Lucci, 22 anni, di Napoli, Francesco Friani, 18 anni, di Formia, Elis Fero, 22 anni, albanese, Ferdinando Longobardi, 22 anni, di Gaeta. In carcere ci sono già tutti i capi e i soldati della vecchia cosca. Secondo gli inquirenti i quattro giovani erano specializzati nello spaccio di sostanze stupefacenti. Lo stesso business illegale delle undici persone arrestate sempre a Mondragone nel corso dei primi dieci mesi di quest’anno. Probabilmente, ritengono gli investigatori, gli eredi del clan La Torre stanno cercando di ricompattare le fila, e per finanziarsi stanno investendo ingenti risorse nel mercato degli stupefacenti, facendo di Modragone una piazza di spaccio molto fornita, dove è possibile trovare qualsiasi tipo di sostanza stupefacente, un po’ come succede già da anni nel quartiere Scampia a nord di Napoli. E quando le forze dell’ordine colpiscono con arresti e controlli, partono anche le rappresaglie. Nel fermo di polizia si fa riferimento anche all’incendio doloso di un’autovettura avvenuta la scorsa settimana. L’automobile era parcheggiata accanto a quella di un ispettore di polizia del commissariato di Castelvolturno. in pratica, lo stato parallelo attacca, quello legittimo risponde © RIPRODUZIONE RISERVATA
Vincenzo Ammaliato Mondragone.
È il clan che cerca di risorgere dalle sue ceneri. Anche le quattro persone per cui ieri sono stati disposti i fermi di polizia, secondo gli agenti del commissariato litoraneo e la procura distrettuale antimafia di Napoli che ha firmato gli atti, appartengono al sodalizio criminale dei La Torre, o meglio a quello che è rimasto del clan. Destinatari del provvedimento Roberto Lucci, 22 anni, di Napoli, Francesco Friani, 18 anni, di Formia, Elis Fero, 22 anni, albanese, Ferdinando Longobardi, 22 anni, di Gaeta. In carcere ci sono già tutti i capi e i soldati della vecchia cosca. Secondo gli inquirenti i quattro giovani erano specializzati nello spaccio di sostanze stupefacenti. Lo stesso business illegale delle undici persone arrestate sempre a Mondragone nel corso dei primi dieci mesi di quest’anno. Probabilmente, ritengono gli investigatori, gli eredi del clan La Torre stanno cercando di ricompattare le fila, e per finanziarsi stanno investendo ingenti risorse nel mercato degli stupefacenti, facendo di Modragone una piazza di spaccio molto fornita, dove è possibile trovare qualsiasi tipo di sostanza stupefacente, un po’ come succede già da anni nel quartiere Scampia a nord di Napoli. E quando le forze dell’ordine colpiscono con arresti e controlli, partono anche le rappresaglie. Nel fermo di polizia si fa riferimento anche all’incendio doloso di un’autovettura avvenuta la scorsa settimana. L’automobile era parcheggiata accanto a quella di un ispettore di polizia del commissariato di Castelvolturno. in pratica, lo stato parallelo attacca, quello legittimo risponde © RIPRODUZIONE RISERVATA
Mafia nigeriana, trafficante in manette
5/11/2010
Un latitante nigeriano, Edokpa Godwin, di 35 anni, già indagato per traffico internazionale di stupefacenti, è stato catturato da agenti del commissariato di Castel Volturno. L'extracomunitario è stato bloccato, dopo un lungo inseguimento, mentre a bordo di una vettura stava per raggiungere l'aeroporto di Capodichino per imbarcarsi su di un'aereo diretto al Nord Italia. Godwin era stato colpito da un ordine di carcerazione emesso nel luglio scorso dalla Procura Generale della Corte di Appello di Napoli, dovendo scontare circa due anni perché condannato con sentenza definitiva, per produzione e spaccio di stupefacenti per grosse quantità. Negli ambienti della comunità nigeriana del Casertano l'arrestato è considerato elemento di spicco di organizzazioni dedite al traffico internazionale di stupefacenti. Nel 2002, insieme con altri suoi connazionali, Godwin fu arrestato per produzione e traffico di sostanze stupefacenti, per tentata rapina e sequestro di persona. C'è soddisfazione al commissariato del litorale per l'arresto di quello che è considerato dagli inquirenti un «pezzo da 90» nel mondo criminale della cosiddetta «mafia nigeriana». I'immigrato trentacinquenne, infatti, potrebbe far parte del gruppo dei cosiddetti «The Eye» (i rapaci), che rappresenta per la Nigeria il corrispettivo della «cupula» per la mafia siciliana. A confermare questa tesi la lunga serie di precedenti penali dell'uomo, che vanno dal traffico di sostanze stupefacenti alla resistenza a pubblico ufficiale, dalla contrafffazione di documenti al sequestro di persone. Con questo ultimo tipo di reato, peraltro, la mafia nigeriana finanzia i traffici di stupefacenti. E a castelvolturno i sequestri di persona cosiddetti «lampo» all'interno della stassa comunità di nigeriani sono molto frequenti. Al vaglio degli inquirenti, adesso, c'è il percorso che ha compiuto Gowin prima di essere bloccato dagli agenti di polizia e arrestato. L'uomo, infatti, è stato fermato nel quartiere di Secondigliano; vicino all'aeroporto di Capodichino, ma anche alle piazze di spaccio di droga di Scampia. Qui potrebbero esserci dei consolidati rapporti d'affari fra i trafficanti nigeriani e quelli di Secondigliano. v.amm. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Non paga l'affitto, il proprietario gli spara
Castel Volturno Lite per la riconsegna del bar far west sulla Domiziana
Vincenzo Ammaliato Castel Volturno.
La cornetteria non fa più affari e decide di chiuderla ma non lascia i locali nei tempi stabiliti e non paga due mesi di affitto rischiando di rimetterci la vita. Il proprietario, esasperato dal ritardo, decide di farsi giustizia da sè e gli spara. Episodi ordinari, che soprattutto in periodi di crisi economiche come quelli attuali si ripetono spesso e che terminano solitamente con il ricorso delle parti alle vie legali. A Castel Volturno, invece, ieri si è sfiorata la tragedia, perché la disputa si è conclusa non con i classici valori bollati, ma con una sparatoria e un ferito ricoverato in ospedale in gravi condizioni. Teatro della lite degenerata è stato il Villaggio del Sole (o Villaggio Agricolo, come è chiamato dai residenti). Qui, a metà strada fra il centro storico e Pinetamare, sulla via Domiziana, Luigi Iovino, quarantasette anni e parente di una famiglia già nota alle forze dell’ordine (i Del Giudice) aveva aperto oltre un anno fa il bar-cornetteria «Voce e Notte». Gli affari non sono mai andati a gonfie vele, ma negli ultimi mesi, racconta la gente del posto, incassava pochi euro al giorno. La scorsa estate, quindi, la decisione di chiudere l’attività e la comunicazione al proprietario dell’immobile, il sessantaseienne Paolo De Crescenzo (titolare anche dell’omonima agenzia immobiliare), che avrebbe liberato i locali entro il 30 ottobre. Eppure, nonostante avesse abbassato per l’ultima volta la serranda della cornetteria la scorsa settimana, fino a ieri non aveva ancora liberato il locale delle sue attrezzature, e non aveva neanche consegnato le chiavi al proprietario. I due si sono incontrati poco prima dell’ora di pranzo, proprio nei pressi del locale. Stando alle testimonianze raccolte dai carabinieri che hanno seguito la vicenda, Paolo De Crescenzo avrebbe mostrato immediatamente tutto il suo disappunto a Luigi Iovino per non aver ancora lasciato libero l’immobile. E quest’ultimo, piuttosto che cercare di trovare una soluzione pacifica per i pochi giorni che gli sarebbero serviti ad adempiere ai suoi obblighi di affittuario, lo avrebbe senza tanti giri di parole mandato al diavolo. La cronaca dell’episodio, poi, vede De Crescenzo andare su tutte le furie e indirizzarsi verso casa sua (che dista poco dal luogo), per tornare pochi minuti dopo impugnando una pistola. Luigi Iovino appena ha notato l’arma ha tentato di scappare a piedi attraversando la via Domiziana. De Crescenzo a questo punto, però, ha esploso tre colpi di pistola: i primi due sono andati a vuoto (rischiando addirittura di colpire qualche automobile in transito); il terzo, invece, ha colpito Iovino alla schiena, facendolo cadere a terra. Immediata la chiamata dei soccorsi da parte dei passanti, mentre De Crescenzo ha lasciato il luogo della sparatoria. Pochi minuti dopo sono giunti i sanitari che hanno portato il ferito alla vicina clinica Pinetagrande, e i carabinieri che si sono messi sulle tracce dell’aggressore. De Crescenzo, però, non è stato trovato a casa sua, né in quella dei figli. Un paio d’ore dopo la svolta: il sessantaseienne ha risposto ad una chiamata al suo telefono cellulare effettuata proprio dai carabinieri. «Mi trovo a Villa Literno a casa di un mio conoscente - ha detto ai militari dell’arma - venite pure a prendermi, mi consegno alle forze dell’ordine». Per lui sono scattate le manette, con l’accusa di porto abusivo d’arma e tentato omicidio. Per Iovino, invece, i sanitari hanno escluso un immediato intervento chirurgico per estrarre il proiettile dalla schiena. La sua prognosi resta riservata. Ma secondo i medici del pronto soccorso non è in pericolo di vita. © RIPRODUZIONE RISERVATA
La confessione
«Ho agito d’impeto, lui è stato arrogante e ho perso la testa»
04/11/2010
«Non volevo litigare, meno che sparare. Si è comportato da arrogante e alla mia richiesta di lasciare libero il locale secondo i patti mi ha risposto che se non fossi andato via dall'immobile mi avrebbe rotto anche la gamba che ho ancora sana». Paolo De Crescenzo, si trova di fronte al maresciallo dei carabinieri Antonio Izzo nella caserma di via Cavour. Ha la testa calata nelle spalle e le stampelle che usa per camminare adagiate alla sedia mentre racconta al militare la sua versione dei fatti. Abita a Castelvolturno da circa venti anni e nessuno in zona si ricorda di lui come di un tipo violento. «È stato un momento d'impeto, ha raccontato il sessantaseienne ai carabinieri». Alcuni testimoni peraltro, sembra abbiano confermato la sua testimonianza. Decrescenzo, infatti, dopo essere stato offeso da Iovino, gli avrebbe detto: «Se non lasci immediatamente il locale ti sparo». E l'affittuario avrebbe risposto sfidandolo: «Fammi vedere se hai coraggio». Il resto della cronaca è fatto dal suono di tre colpi d'arma da fuoco esplosi alle 12 e 50 al chilometro 29 della via Domiziana, dalle urla di un uomo ferito e dalle sirene dei mezzi di soccorso. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Inquilino ferito, necessario l'intervento
05/11/2010
Appello dell'avvocato del proprietario del locale: "E' ammalato, va liberato"
«Il quadro clinico del paziente è stabile», fanno sapere i medici del reparto di neurochirurgia della clinica Pinetagrande, delle condizioni di salute di Luigi Iovino, ricoverato dallo scorso mercoledì pomeriggio a seguito di una ferita d’arma da fuoco. Il proiettile, esploso da una pistola di piccolo calibro, 6.35, è ancora conficcato nella sua schiena. I medici hanno deciso di tenere il paziente sotto osservazione almeno quarantottore prima di decidere se operarlo o meno, anche perché prima che fosse stabilizzato ha perso molto sangue. La prognosi del quaratottenne, titolare del bar cornetteria Voce e Notte, non è stata ancora sciolta, ma i sanitari del presidio di Castelvolturno sono certi che non sia in pericolo di vita, né che il proiettile abbia leso in maniera seria parti del corpo. E questa mattina sarà ascoltato dal giudice del tribunale anche il suo aggressore, Paolo De Crescenzo, 66 anni, da mercoledì sera nel carcere di San Tammaro. Per lui le accuse sono di lesioni gravi, tentato omicidio e porto abusivo d’armi. La pistola che ha usato per colpire il suo inquilino, hanno fatto sapere i carabinieri, era dotata di un regolare porto d’armi. De Crescenzo, però, non poteva portarla fuori dalla sua abitazione carica e montata, così come è avvenuto l’altro giorno. La lite fra inquilino moroso e proprietario, infatti, è avvenuta lungo la Domiziana, all'altezza del chilometro 29. Tre sono stati i colpi esplosi da Paolo De Crescenzo, durante il furioso impeto di rabbia. Uno quello che ha centrato alla schiena Iovino. Il legale del sessantaseienne, intanto, Ferdinando Letizia, attende l’interrogatorio che il giudice del tribunale farà oggi al suo cliente con particolare apprensione. «Il mio assistito, dice il legale, è una persona che non ha mai mostrato comportamenti violenti ed è benvoluto da tutto coloro che a Castelvolturno lo conoscono. Peraltro, aggiunge, è anche gravemente malato, a causa di problemi coronarici che lo costringono spesso a lunghe degenze ospedaliere». Anche i residenti del Villaggio Agricolo, dove abita De Crescenzo, descrivono l’uomo «come di una persona tranquilla e rispettosa delle regole». «È un uomo tutto d’un pezzo e di sani principi - sottolinea un commerciante del Villaggio Agricolo - Ricordo lo scorso anno, aggiunge, quando dopo il furto della sua automobile da poco acquistata ricevette la telefonata dei ladri che in cambio del veicolo gli chiesero la somma di duemila euro. Potete anche bruciarla, fu la sua risposta, perché a dei ladri come voi io non darei neanche un centesimo bucato. E la vettura, peraltro, non era neanche coperta dall'assicurazione sul furto». © RIPRODUZIONE RISERVATA
03/11/2010
Vincenzo Ammaliato
Una corona di fiori per ricordare Miriam Makeba, la cantante simbolo del continente nero, morta a Castelvolturno nel 2008 durante un concerto in memoria dei sei africani uccisi nella sartoria etnica del Lago Patria. Martedì ricorre il secondo anniversario della morte della cantante nota anche col nome di Mama Africa, e il Forum Antirazzista di Caserta ha pensato di ricordarla in questo modo, deponendo una corona di fiori ali piedi della sua lapide. Lo scorso anno, in occasione del primo anniversario della sua morte, a Baia Verde c’erano oltre ai volontari delle associazioni che sul litorale domizio si occupano degli immigrati anche numerose personalità pubbliche. In questi dodici mesi il clima è cambiato, e con molta probabilità i responsabili del forum si troveranno soli nel ricordo della cantante. «Poco male», direbbe se potesse Miriam Makeba, rassicurando la folla. E subito dopo regalerebbe il suo classico sorriso ai presenti e intonerebbe Pata Pata, invitando tutti a seguirla nel ritmo e nella passione che l'anno sempre contraddistinta. © RIPRODUZIONE RISERVATA
lunedì 1 novembre 2010
Un postino in pensione, due malati. ufficio in tilt
31/10/2010
Vincenzo Ammaliato
Un portalettere va in pensione, due si ammalano e ad un’altra coppia di postini scade il contratto determinato di lavoro; nessuno di loro viene sostituito. Capita tutto contemporaneamente all’ufficio postale di Castelvolturno che conta nella pianta organica appena tredici portalettere; e il caos delle lettere nel paese domiziano è inevitabile. Da circa due settimane a Castelvolturno il servizio della consegna della posta è effettuato dai pochi postini disponibili, che, ovviamente, nonostante gli sforzi non riescono a coprire l’intero territorio lungo circa trenta chilometri. E la conseguenza è che alcune zone del litorale si trovano senza il servizio della consegna delle lettere, e all’ufficio postale si stanno creando quotidianamente delle lunghe code di persone esasperate alla ricerca della propria corrispondenza. Ma non solo questo. Le denunce dei cittadini di Castelvolturno all’ente Poste, infatti, cominciano ad essere numerose. Ieri è stata la volta di un gruppo di familiari di detenuti, che non ricevendo puntualmente le lettere dei propri congiunti rinchiusi in carcere si sono rivolti ai carabinieri. Negli uffici postali del centro storico e di Pinetamare i due direttori allargano le braccia; sono in attesa da molto tempo di nuove assunzioni. Il coordinatore dei portalettere, Franco Merenda, sostiene che ci sono grossi problemi strutturali che andrebbero sistemati immediatamente, altrimenti i disagi per la gente e per gli stessi dipendenti delle Poste nei prossimi giorni potranno soltanto aumentare. Ma la zona di Castelvolturno a quanto pare non fa gola ai portalettere casertani, che la ritengono particolarmente complicata da gestire. Intanto, la direzione generale delle Poste invita gli utenti di Castelvolturno a pazientare ancora per non più di una decina di giorni. La prossima settimana, infatti, dovrebbero essere assunti dei nuovi portalettere (sempre con contratto a tempo determinato) e saranno immediatamente inseriti nelle zone rimaste libere del litorale domizio. In ogni caso, sempre dalla direzione delle Poste si fa presente che nonostante gli oggettivi problemi che ci sono in zona, si sta facendo di tutto per consegnare le raccomandate e selezionare quelle lettere ritenute importanti in modo da non lasciarle a terra. In pratica, la corrispondenza che starebbe restando in giacenza e non consegnata sarebbe esclusivamente quella pubblicitaria. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Vincenzo Ammaliato
Un portalettere va in pensione, due si ammalano e ad un’altra coppia di postini scade il contratto determinato di lavoro; nessuno di loro viene sostituito. Capita tutto contemporaneamente all’ufficio postale di Castelvolturno che conta nella pianta organica appena tredici portalettere; e il caos delle lettere nel paese domiziano è inevitabile. Da circa due settimane a Castelvolturno il servizio della consegna della posta è effettuato dai pochi postini disponibili, che, ovviamente, nonostante gli sforzi non riescono a coprire l’intero territorio lungo circa trenta chilometri. E la conseguenza è che alcune zone del litorale si trovano senza il servizio della consegna delle lettere, e all’ufficio postale si stanno creando quotidianamente delle lunghe code di persone esasperate alla ricerca della propria corrispondenza. Ma non solo questo. Le denunce dei cittadini di Castelvolturno all’ente Poste, infatti, cominciano ad essere numerose. Ieri è stata la volta di un gruppo di familiari di detenuti, che non ricevendo puntualmente le lettere dei propri congiunti rinchiusi in carcere si sono rivolti ai carabinieri. Negli uffici postali del centro storico e di Pinetamare i due direttori allargano le braccia; sono in attesa da molto tempo di nuove assunzioni. Il coordinatore dei portalettere, Franco Merenda, sostiene che ci sono grossi problemi strutturali che andrebbero sistemati immediatamente, altrimenti i disagi per la gente e per gli stessi dipendenti delle Poste nei prossimi giorni potranno soltanto aumentare. Ma la zona di Castelvolturno a quanto pare non fa gola ai portalettere casertani, che la ritengono particolarmente complicata da gestire. Intanto, la direzione generale delle Poste invita gli utenti di Castelvolturno a pazientare ancora per non più di una decina di giorni. La prossima settimana, infatti, dovrebbero essere assunti dei nuovi portalettere (sempre con contratto a tempo determinato) e saranno immediatamente inseriti nelle zone rimaste libere del litorale domizio. In ogni caso, sempre dalla direzione delle Poste si fa presente che nonostante gli oggettivi problemi che ci sono in zona, si sta facendo di tutto per consegnare le raccomandate e selezionare quelle lettere ritenute importanti in modo da non lasciarle a terra. In pratica, la corrispondenza che starebbe restando in giacenza e non consegnata sarebbe esclusivamente quella pubblicitaria. © RIPRODUZIONE RISERVATA
martedì 26 ottobre 2010
Il sindaco: prendo io la discarica in cambio di 20 milioni
25/10/2010
Vincenzo Ammaliato Castelvolturno.
Così come i romani sostenevano che «pecunia non olet», per la gente di Castelvolturno, o meglio, per il primo cittadino del centro litoraneo, Antonio Scalzone, «l’immondizia non puzza». Ed è sempre il denaro a non far percepire all’olfatto gli sgradevoli odori. «Domani (oggi per chi legge) - ha detto il ragionier Scalzone - chiederò ai consiglieri comunali di maggioranza la disponibilità ad accettare sul nostro territorio per un breve periodo i rifiuti urbani campani, quelli che non si riescono a conferire da nessuna parte e che stanno mettendo in ginocchio l’intera regione. Se accetteranno, presenterò la stessa proposta anche a quelli di opposizione. Con un loro voto favorevole, l’intero consiglio comunale potrebbe presentare un piano specifico al commissariato straordinario ai rifiuti. In cambio della nuova discarica, però, dovremmo avere un ristoro economico immediato non inferiore ai quindici, venti milioni di euro». In pratica, immondizia in cambio di soldi; questa è la proposta del sindaco di Castelvolturno; tanti soldi, quelli necessari a sanare le casse del Comune sull’orlo della bancarotta. Una montagna di denaro (in cambio di una montagna di sacchetti dell’immondizia) che potrebbe anche salvare la traballante amministrazione, che appena lo scorso venerdì non è riuscita a votare il bilancio dell’ente. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Il sindaco: voglio la discarica, scoppia la protesta
31/10/2010
Vincenzo Ammaliato Castel Volturno. Mentre nei territori vesuviani e a Giugliano la gente è tutt’ora mobilitata per impedire nuovi conferimenti di rifiuti, anche a Castelvolturno l’immondizia è oggetto di accesi dibattiti. Ma in questo caso, siamo soltanto nel campo teorico, che trova spunto dalla disponibilità mostrata la scorsa settimana dal sindaco del posto, Antonio Scalzone, ad ospitare sul litorale domizio una nuova discarica di rifiuti urbani. Il primo cittadino aveva lanciato il classico sasso nello stagno comunicando a Il Mattino la sua idea e cercando la disponibilità dell’intero assise cittadino ad ospitare un nuovo sito ecologico, a fronte dei soldi necessari a sanare le casse comunali sull’orlo della bancarotta. Ma mentre i suoi uomini hanno preferito non esporsi, i consiglieri d’opposizione, al contrario, hanno già mostrato in maniera compatta la propria contrarietà alla proposta. «Castel Volturno ha già dato in materia di rifiuti, di discariche e di ammalati di malattie tumorali - sottolinea in maniera laconica Alfonso Caprio, del partito democratico - e per questo non riteniamo di rpendere assolutamente in considerazione la proposta». Gli fa eco il capogruppo della minoranza in consiglio, Ferdinando Letizia, secondo il quale «la creazione di una nuova discarica a Castelvolturno non è assolutamente ipotizzabile, in cambio di qualsiasi cifra di denaro». Speculare il pensiero di Antonio Leone di Liberamente, il quale in un comunicato ufficiale del suo partito ha rimarcato i rischi ambientali e sanitari cui andrebbe in contro il territorio qualora ospitasse un nuovo sito ecologico. «Venti milioni di ero - scrive il vicepresidente di Liberamente Leone - non possono valere la salute di un intero popolo». Mentre Tommaso Morlando, presidente di Officina Voltuno, ed ex assessore all’Ambiente, bocciando la proposta, propone l’accento ancora una volta sulla mancata bonifica della discarica Sogeri, che produce da anni un inquinamento nelle falde acquifere che arriva a circa quaranta metri di profondità, danneggiando l'economia dell'intero territorio e minando la salute dei cittadini». Inondato da una tale mole di polemiche, Antonio Scalzone fare un passo indietro. «Resto convinto della bontà della mia idea - conferma il sindaco di Castel Volturno - ma valutando l’atteggiamento dei consiglieri d’opposizione preferisco non portare avanti la proposta». Per molti sul litorale domizio questa decisione è una vittoria, che allontana lo spettro della terza discarica dopo quelle di Sogeri e di Bortolotto. Eppure, per il primo cittadino Scalzone si tratta «dell'ennesima occasione persa per il territorio. Il municipio di Castelvolturno – ha detto il sindaco – ha oltre trenta milioni di euro di debiti che non riesce a onorare. Quotidianamente arrivano al Comune da almeno tre mesi nuovi atti ingiuntivi da parte di creditori non pagati. A breve, peraltro - ha aggiunto Antonio Scalzone - mi troverò costretto a sospendere numerosi servizi comunali, fra i quali quello del trasporto scolastico, perché non abbiamo i soldi necessari per sostenerli. In questa situazione, in pratica, non abbiamo il lusso di poter avere la cosiddetta puzza sotto al naso». E intanto a Castel Volturno seppure non crescono le discariche aumenta il monte debiti al Comune. Il prossimo primo dicembre dovrebbe partire finalmente la raccolta differenziata. All'azienda che si occupa del servizio spettano da contratto sette milioni d'euro l'anno, ma il municipio ne riesce a incassare dalla tassa sui rifiuti appena due. © RIPRODUZIONE RISERVATA
venerdì 22 ottobre 2010
Bambino costretto da bulli a consegnare i soldi della merenda
22/10/2010
Vincenzo Ammaliato
Vivere la quotidianità sul litorale domizio è complicato un po’ per tutti; lo è per gli italiani, lo è ancora di più per i numerosi immigrati che devono fare i conti con una integrazione che non c’è. Se poi sei un bambino, alunno della scuola media, e finisci nel mirino di una banda di bulli, allora tutto diventa un incubo. La vittima è un dodicenne d’origine ucraina. Vive a Castel Volturno da circa dieci anni insieme con la sua mamma che ha un regolare permesso di soggiorno. Frequenta la media Giuseppe Garibaldi e il suo calvario durava da oltre un anno ed è terminato appena ieri, quando la Procura di Santa Maria Capua Vetere ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare per il suo aguzzino, Massimo Flosco di ventitre anni, e ha denunciato i quattro componenti (tutti tredicenni) della banda che aveva messo su per taglieggiare i ragazzi di Castel Volturno. I carabinieri della locale stazione sono riusciti, a seguito di un’attività d’indagine, a documentare i soprusi della gang. I bulli intimidivano e minacciavano il ragazzino tutte le mattine e lo costringevano a consegnare il denaro che la mamma gli lasciava per comprarsi la merendina. E se lui si rifiutava, scattavano ceffoni e calci. La vittima ha tenuto tutto dentro di sé per oltre un anno; fino a quando i bulli lo hanno minacciato di fargliela pagare se non avesse consegnato loro immediatamente cinquecento euro. Una cifra a cui il piccolo proprio non poteva arrivare, neppure rinunciando per sempre alla merenda. A questo punto ha raccontato tutto alla mamma che, con grande senso civico, si è rivolta ai carabinieri. Il resto è cronaca con l’ordinanza di custodia cautelare per il capo della banda e la denuncia a piede libero (in quanto minorenni) per gli altri componenti della cosca. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Vincenzo Ammaliato
Vivere la quotidianità sul litorale domizio è complicato un po’ per tutti; lo è per gli italiani, lo è ancora di più per i numerosi immigrati che devono fare i conti con una integrazione che non c’è. Se poi sei un bambino, alunno della scuola media, e finisci nel mirino di una banda di bulli, allora tutto diventa un incubo. La vittima è un dodicenne d’origine ucraina. Vive a Castel Volturno da circa dieci anni insieme con la sua mamma che ha un regolare permesso di soggiorno. Frequenta la media Giuseppe Garibaldi e il suo calvario durava da oltre un anno ed è terminato appena ieri, quando la Procura di Santa Maria Capua Vetere ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare per il suo aguzzino, Massimo Flosco di ventitre anni, e ha denunciato i quattro componenti (tutti tredicenni) della banda che aveva messo su per taglieggiare i ragazzi di Castel Volturno. I carabinieri della locale stazione sono riusciti, a seguito di un’attività d’indagine, a documentare i soprusi della gang. I bulli intimidivano e minacciavano il ragazzino tutte le mattine e lo costringevano a consegnare il denaro che la mamma gli lasciava per comprarsi la merendina. E se lui si rifiutava, scattavano ceffoni e calci. La vittima ha tenuto tutto dentro di sé per oltre un anno; fino a quando i bulli lo hanno minacciato di fargliela pagare se non avesse consegnato loro immediatamente cinquecento euro. Una cifra a cui il piccolo proprio non poteva arrivare, neppure rinunciando per sempre alla merenda. A questo punto ha raccontato tutto alla mamma che, con grande senso civico, si è rivolta ai carabinieri. Il resto è cronaca con l’ordinanza di custodia cautelare per il capo della banda e la denuncia a piede libero (in quanto minorenni) per gli altri componenti della cosca. © RIPRODUZIONE RISERVATA
martedì 12 ottobre 2010
Sciopero ai semafori: "oggi non lavoro a meno di 50 euro"
09/10/2010
Vincenzo Ammaliato
Non hanno bloccato il traffico di alcuna strada, non hanno urlato slogan o invettive nei confronti di nessuno, non hanno neanche lanciato uova o altro materiale simile, né hanno sventolato alcun tipo di bandiera. Semplicemente si sono rifiutati di salire nelle vetture o nei camioncini degli occasionali «sfruttatori» di lavoro che ogni giorno li prelevano (quando gli va bene) dai quattro angoli delle province di Napoli e Caserta per offrirgli «la giornata» a venti, massimo trenta euro. Eloquente il messaggio scritto a caratteri cubitali sui cartelli che portavano al collo: «Oggi non lavoro per meno di cinquanta euro». Sono i lavoratori fantasma della Campania, quell’esercito di immigrati clandestini impegnati nei campi agricoli dell’agro aversano e della provincia a nord di Napoli (a raccogliere fragole, pesche e mele), nei piccoli e abusivi cantieri edili del doppio senso (quelli capaci di tirare su case intere in due, tre giorni), o nei giardini delle ville del litorale domizio e di Casal di Principe a sistemare e potare aiuole e roseti. Lavorano da anni senza alcun tipo di assistenza e con una paga bassissima; di sicurezza sul lavoro, neanche a parlarne. Ma per un giorno, almeno per un giorno (ieri appunto) hanno detto «no» a qualsiasi tipo di sfruttamento. Anche quello agli incroci dove c’è chi si arrangia a fare il lavavetri o a vendere fazzolettini. Sono stati numerosi i luoghi dove è andato in scena il primo sciopero d’Italia degli immigrati clandestini: Casal di Principe, Giugliano, Pianura solo per citarne alcuni. Ma senza dubbio, i più affollati erano quelli delle famose rotonde di Castel Volturno e di Villa Literno. Qui si riuniscono quotidianamente, ormai da molti anni, col sole e con la pioggia, centinaia d’immigrati. Provengono soprattutto dai Paesi dell’Africa centrale e chiamano questi luoghi «califfo road». Sulla rotonda di Villa Literno cercava lavoro anche un immigrato originario del Sud Africa scappato dal suo Paese perché perseguitato politico. Fu ucciso da alcuni malviventi durante una rapina. Da allora sono passati oltre venti anni, e a Castel Volturno c’è un’associazione che si occupa degli immigrati e che porta il suo nome: Jerry Masslo. I suoi volontari fanno parte della rete antirazzista di Caserta che insieme con gli immigrati ha ideato la singolare protesta. I primi lavoratori stranieri con i cartelli al collo si sono visti già alle 6. Lo sciopero è durato per l’intera giornata. In pratica, ieri le braccia di tutti gli immigrati clandestini della Campania sono rimaste conserte. Qualche autovettura si è comunque avvicinata ai manifestanti; il copione è stato sempre lo steso: il probabile e occasionale datore di lavoro leggeva timidamente il manifesto al collo degli immigrati restando a bordo della sua vettura o camioncino col motore acceso, e subito dopo ripartiva velocemente per la sua strada così come era arrivato senza invitare nessun lavoratore con sé. «Nessuna manifestazione, né sciopero – ha tenuto a sottolineare padre Antonio Bonato, dei missionari comboniani di Castel Volturno. Il religioso, la cui missione fa parte della rete antirazzista di Caserta, ha spiegato che sulle rotonde della Campania c’è stata una semplice presa di posizione di un fenomeno illegale e di sfruttamento che si ripete da decenni senza che alcuna istituzione intervenga». In ogni caso, gli organizzatori si sono detti soddisfatto della totalità dei lavoratori immigrati che hanno preso parte all’evento. Non tutti, ovviamente, erano stati avvisati dello sciopero. Ma una volti arrivati sulle rotonde e letto lo slogan della manifestazione, nessun immigrato si è tirato indietro. A metà mattinata, poi, alla rotonda di Villa Literno, alcuni lavoratori italiani si sono avvicinati a quelli stranieri. «Comprendiamo e appoggiamo il vostro disagio – hanno detto agli immigrati – ma sappiate che anche per noi lavoratori italiani le cose non vanno a gonfie vele». Lavoratori italiani e stranieri, quindi, uniti nel disagio. Quelli stranieri, però, almeno ieri hanno fatto sapere che non ci stanno e che desiderano sia invertito questo anomalo percorso che è in Campania per loro è diventato ormai ordinario. © RIPRODUZIONE RISERVATA
09/10/2010
Tre settimane di scontri verbali, carte bollate e invettive incrociate. La questione immigrazione clandestina sembrava aver creato una spaccatura insanabile fra l’amministrazione comunale di Castel Volturno, retta da Antonio Scalzone e parte delle associazioni che compongono la rete antirazzista di Caserta. Ad accendere le micce, lo stesso primo cittadino, che in occasione del secondo anniversario della strage dei sei africani, si era detto contrario all’istallazione di un monumento in loro ricordo. Ieri alle 13, in maniera assolutamente inattesa, si è registrata la pace fra i contendenti, siglata con un incontro ufficiale nel palazzo comunale. Antonio Scalzone ha ricevuto i volontari del centro ex canapificio, dei missionari comboniani, dell’associazione Jerry Masslo e altri gruppi; in pratica, tutti quelli che meno di dieci giorni fa per ben due volte lo hanno citato in giudizio per istigazione all’odio razziale, alla violenza e per calunnia. Tutti durante il summit hanno convenuto sul fatto che sul litorale domizio il numero degli immigrati irregolari è decisamente troppo elevato. Ovviamente diverse sono apparse le strategia che il sindaco e la rete antirazzista vorrebbero mettere in campo per risolvere il problema. Ma oltre un ora di dialogo fra le parti lascia aperta la porta della speranza. v.am. © RIPRODUZIONE RISERVATA
venerdì 8 ottobre 2010
Lo sciopero degli immigrati
07/10/2010
Vincenzo Ammaliato
"Lo sciopero delle rotonde questa mattina, la manifestazione con corteo domani alle 9". Tutto come previsto dagli organizzatori. Tranne per un particolare che in un altro periodo sarebbe potuto apparire marginale, ma che invece tenendo presente la cronaca del litorale domizio delle ultime due settimane diventa di carattere sostanziale: il corteo organizzato dalla rete antirazzista deve ripiegare sul capoluogo, a Caserta. Così come già accaduto la scorsa settimana per il partito di Roberto Fiore, Forza Nuova, e per l’amministrazione comunale del sindaco Antonio Scalzone, Castelvolturno è dichiarato dalla prefettura territorio off limits per qualsiasi tipo di manifestazione. “Abbiamo concordato e convenuto con i dirigenti della prefettura – ha fatto sapere Mimma D’Amico del centro ex Canapificio – di spostare il corteo a Caserta, in maniera da evitare qualsiasi tipo di polemica e concentrare l’attenzione sui temi per i quali manifestiamo”. Parole sagge quelle di Mimma D’Amico, che, però, arrivano quando lo scontro fra gli amministratori del Comune di Castelvolturno e le associazioni che compongono il forum antirazzista appare bollente e difficile da sanare. Peraltro, anche nel mondo stesso dell’associazionismo che si occupa degli immigrati si intravedono delle spaccature. Il centro Laila, casa famiglia che da oltre venti anni sul litorale domizio si prende cura di minori in difficoltà, in un’accorata lettera aperta ha fatto sapere di non condividere il movimento delle manifestazioni. “Perché con questa strategia - ha scritto Angelo Luciano, fondatore del centro – si produce danni al territorio e agli stessi immigrati. Mentre l’unica strada percorribile per ottenere risultati produttivi e non distruttivi resta decisamente quella del dialogo”. Intanto, questa mattina sul litorale casertano e nell’agro aversano sta andando in scena il primo sciopero d’Italia che vede come protagonisti gli immigrati clandestini. Solitamente, il popolo dei cosiddetti “fantasmi” si riunisce e trova lavoro alle rotonde di Castelvolturno, Villa Literno, Casal di Principe e di Giugliano. Ed è proprio in questi quattro luoghi (che nel corso degli anni si sono trasformati in uffici di collocamento abusivo dove trovare braccia a buon mercato) che si sono ritrovati stamattina i volontari della rete antirazzista di Caserta per sostenere i clandestini nella loro singolare forma di protesta. Al collo i lavoratori immigrati hanno deciso di portare per l’intera giornata odierna dei cartelli con su scritto: “Oggi se vuoi le mie braccia, non le avrai a disposizione per meno di cinquanta euro”. Domani, poi, ci sarà il corteo a Caserta e domenica, finalmente, giornata di riposo per tutti. Tranne per i clandestini, che torneranno sulle rotonde già nella giornata festiva; si ritroveranno quasi tutti, come tutti i giorni dell’anno, sperando in un improvvisato e effimero datore di lavoro, che li accompagni nelle campagne, nei piccoli cantieri edili, nei giardini delle ville del litorale per la classica “giornata di lavoro a nero”. Lavoro disponibile anche di domenica per chi ha buona volontà ed è disperato; lavoro che sicuramente non sarà pagato cinquanta euro.
Arresti domiciliari, il record è qui
05/10/2010
Vincenzo Ammaliato
La sua giurisdizione è su cinque Comuni: Castelvolturno, Mondragone, Santa Maria la Fossa, Cancello Arnone e Grazzanise; copre un bacino di circa centomila residenti, a cui secondo i calcoli dell’amministrazione centrale di polizia deve essere prevista una pianta organica di agenti pari a circa cinquanta unità. Al commissariato di Castel Volturno, però, fra trasferimenti, pensionamenti e decessi prematuri non sono rimasti più di quaranta poliziotti; e qui il tasso criminale è fra i più alti d’Italia. Basta un semplice dato per comprendere la mole di lavoro cui gli agenti del commissariato litoraneo sono sottoposti quotidianamente. Non si tratta del numero degli omicidi, né di quello delle rapine, e neanche del peso del traffico e dello spaccio delle sostanze stupefacenti, o dello sfruttamento della prostituzione (seppure sono molto elevati rispetto alla media nazionale). Ma di quello delle persone che nei cinque Comuni della giurisdizione risultano essere agli arresti domiciliari o soggetti alle altre misure di pena alternative alla detenzione. Si tratta di un vero e proprio esercito di duecentosette persone; soggetti da controllare giorno per giorno, soprattutto lungo i ventisette chilometri della via Domiziana di pertinenza di Castelvolturno. Solo nel paese alla foce del fiume Volturno ci sono ben centododici persone agli arresti domiciliari, due agli obblighi di dimora, undici in affidamento in prova e altrettanti in libertà vigilata. Si tratta di persone da vigilare e controllare quotidianamente su richiesta della magistratura che attende i rapporti per stabilire le eventuali modifiche delle pene. I controlli, ovviamente, sono concertati con i carabinieri. In ogni caso, per un commissariato che a malapena riesce a mettere per strada una sola volante nel corso delle ventiquattro ore, resta particolarmente impegnativo e laborioso questo servizio. Mentre a Mondragone spetta la palma per le persone soggette al regime della cosiddetta «sorveglianza speciale»: in totale sono sedici (in altre zone della Campania un tale numero di persone è più che sufficiente a formare un clan malavitoso). Peraltro, il numero delle persone soggette alle misure alternative di pena è estremamente variabile; ogni giorno ci sono continui mutamenti. E da quattro anni, peraltro, tende addirittura a salire. A breve, quindi, il numero delle persone da controllare nel territorio del commissariato di Castel Volturno potrebbe raggiungere quello di una piccola cittadina; mentre quello degli agenti del commissariato, molto probabilmente, resterà sempre lo stesso. Intanto, il malaffare ringrazia. © RIPRODUZIONE RISERVATA
05/10/2010
Chiudi
«Ancora un paio di mesi, massimo entro il prossimo Natale, e il commissariato di polizia si trasferirà nella nuova sede di Pinetamare». Parola del sindaco di Castelvolturno, Antonio Scalzone, in merito alla questione che si trascina ormai da anni senza alcuna soluzione, che ruota attorno al trasferimento, o meglio, al mancato trasferimento del commissariato litoraneo dall’attuale struttura fatiscente del centro storico, alla ex scuola Nato di Pinetamare. Il nuovo immobile di circa quattromila metri quadri (che sarà diviso con la scuola ufficiali della forestale) era di proprietà della Famiglia Coppola e fa parte delle strutture che i costruttori hanno ceduto allo Stato nell’ambito della transazione sottoscritta nel 2003 col commissariato straordinario di governo. Prima della consegna formale e il cambio di proprietà, però, devono essere completati tutti i lavori di ristrutturazione necessari al futuro utilizzo dell’immobile; e secondo il primo cittadino del posto, Scalzone, i lavori termineranno massimo in sessanta giorni. «Ne abbiamo avuto conferma e certezza - sottolinea il sindaco - durante una riunione tenuta in prefettura fra tutte le parti in causa per capire come mai si era inceppato l’iter di consegna». A questo punto, l'ultimo intoppo per il trasferimento resta la resistenza di alcune sigle sindacali della polizia, che premono affinchè sia ristrutturato l'attuale stabile che ospita gli agenti, perché la struttura si trova al centro del territorio di pertinenza del commissariato stesso. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Vincenzo Ammaliato
La sua giurisdizione è su cinque Comuni: Castelvolturno, Mondragone, Santa Maria la Fossa, Cancello Arnone e Grazzanise; copre un bacino di circa centomila residenti, a cui secondo i calcoli dell’amministrazione centrale di polizia deve essere prevista una pianta organica di agenti pari a circa cinquanta unità. Al commissariato di Castel Volturno, però, fra trasferimenti, pensionamenti e decessi prematuri non sono rimasti più di quaranta poliziotti; e qui il tasso criminale è fra i più alti d’Italia. Basta un semplice dato per comprendere la mole di lavoro cui gli agenti del commissariato litoraneo sono sottoposti quotidianamente. Non si tratta del numero degli omicidi, né di quello delle rapine, e neanche del peso del traffico e dello spaccio delle sostanze stupefacenti, o dello sfruttamento della prostituzione (seppure sono molto elevati rispetto alla media nazionale). Ma di quello delle persone che nei cinque Comuni della giurisdizione risultano essere agli arresti domiciliari o soggetti alle altre misure di pena alternative alla detenzione. Si tratta di un vero e proprio esercito di duecentosette persone; soggetti da controllare giorno per giorno, soprattutto lungo i ventisette chilometri della via Domiziana di pertinenza di Castelvolturno. Solo nel paese alla foce del fiume Volturno ci sono ben centododici persone agli arresti domiciliari, due agli obblighi di dimora, undici in affidamento in prova e altrettanti in libertà vigilata. Si tratta di persone da vigilare e controllare quotidianamente su richiesta della magistratura che attende i rapporti per stabilire le eventuali modifiche delle pene. I controlli, ovviamente, sono concertati con i carabinieri. In ogni caso, per un commissariato che a malapena riesce a mettere per strada una sola volante nel corso delle ventiquattro ore, resta particolarmente impegnativo e laborioso questo servizio. Mentre a Mondragone spetta la palma per le persone soggette al regime della cosiddetta «sorveglianza speciale»: in totale sono sedici (in altre zone della Campania un tale numero di persone è più che sufficiente a formare un clan malavitoso). Peraltro, il numero delle persone soggette alle misure alternative di pena è estremamente variabile; ogni giorno ci sono continui mutamenti. E da quattro anni, peraltro, tende addirittura a salire. A breve, quindi, il numero delle persone da controllare nel territorio del commissariato di Castel Volturno potrebbe raggiungere quello di una piccola cittadina; mentre quello degli agenti del commissariato, molto probabilmente, resterà sempre lo stesso. Intanto, il malaffare ringrazia. © RIPRODUZIONE RISERVATA
05/10/2010
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«Ancora un paio di mesi, massimo entro il prossimo Natale, e il commissariato di polizia si trasferirà nella nuova sede di Pinetamare». Parola del sindaco di Castelvolturno, Antonio Scalzone, in merito alla questione che si trascina ormai da anni senza alcuna soluzione, che ruota attorno al trasferimento, o meglio, al mancato trasferimento del commissariato litoraneo dall’attuale struttura fatiscente del centro storico, alla ex scuola Nato di Pinetamare. Il nuovo immobile di circa quattromila metri quadri (che sarà diviso con la scuola ufficiali della forestale) era di proprietà della Famiglia Coppola e fa parte delle strutture che i costruttori hanno ceduto allo Stato nell’ambito della transazione sottoscritta nel 2003 col commissariato straordinario di governo. Prima della consegna formale e il cambio di proprietà, però, devono essere completati tutti i lavori di ristrutturazione necessari al futuro utilizzo dell’immobile; e secondo il primo cittadino del posto, Scalzone, i lavori termineranno massimo in sessanta giorni. «Ne abbiamo avuto conferma e certezza - sottolinea il sindaco - durante una riunione tenuta in prefettura fra tutte le parti in causa per capire come mai si era inceppato l’iter di consegna». A questo punto, l'ultimo intoppo per il trasferimento resta la resistenza di alcune sigle sindacali della polizia, che premono affinchè sia ristrutturato l'attuale stabile che ospita gli agenti, perché la struttura si trova al centro del territorio di pertinenza del commissariato stesso. © RIPRODUZIONE RISERVATA
«Via dal litorale camorra clandestini e comunisti»
02/10/2010
Vincenzo Ammaliato
«Inquietante». Questo l'aggettivo col quale Roberto Fiore, il presidente nazionale di Forza Nuova, aveva bollato la doppia decisione della prefettura di Caserta di vietare sia la manifestazione organizzata a Castelvolturno dal suo partito (prevista giovedì scorso), sia quella dei partiti politici che compongono l'amministrazione comunale del paese litoraneo (escluso il partito democratico), che si sarebbe dovuta tenere oggi con partenza da piazza Domenico Noviello. Eppure le sue dichiarazioni durante la conferenza stampa che si è tenuta regolarmente ieri nella sala comunale del municipio di Castelvolturno alle 12 non sono certo servite a rasserenare il clima nel centro domiziano, surriscaldato dal giorno della commemorazione delle sei vittime africane della camorra (lo scorso 18 settembre) e che tende giorno dopo giorno ad alzare l'asticella dello scontro fra istituzioni locali, partiti politici, associazioni e immigrati. «A Castelvolturno, ha detto il presidente Roberto Fiore durante il suo intervento, c'è la più alta concentrazione che nel resto d'Italia delle cosiddette tre C del male: camorra, clandestini e comunisti. E Forza Nuova costituirà in zona a breve dei comitati popolari per la liberazione del territorio». Fra curiosi e simpatizzanti del partito di estrema destra, nella sala comunale si contavano circa cinquanta persone, che hanno accolto con fragorosi applausi sia gli interventi dei militanti di Forza Nuova, sia quelli del sindaco del posto, Antonio Scalzone, e di alcuni suoi assessori, intervenuti alla conferenza stampa. «Siamo compiaciuti dell'attenzione che Forza Nuova ha mostrato al nostro martoriato territorio», ha sottolineato in apertura del suo intervento il primo cittadino del luogo, Scalzone. Il quale subito dopo ha tenuto a ribadire (come fatto nel volantino che annunciava la manifestazione vietata dalla prefettura) che Castelvolturno non è un paese razzista, e che, in ogni caso, spetta alle istituzioni della repubblica intervenire in zona per reprimere ogni forma d'illegalità. Ma Forza Nuova appare particolarmente decisa nel suo intervento di costituire in zona i cosiddetti «gruppi popolari di resistenza e libertà». «Durante la conferenza stampa - ha fatto sapere Antonio Michele Giliberti, il segretario regionale di Forza Nuova - quattro persone di Castelvolturno hanno sottoscritto la tessera del partito. Dalle loro adesioni, partirà il processo necessario per costituire un nucleo di militanti, che nel tempo massimo di un paio di mesi porterà alla creazione della prima sede di Forza Nuova del litorale Domizio. E si tratterà - ha concluso Giliberti - di un vero e proprio avamposto di libertà contro la camorra, i clandestini e i comunisti». Ha resistito a oltre venti anni di devastazione socioeconoica, il litorale domizio resisterà anche agli "avamposti di libertà" di Forza Nuova. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Vincenzo Ammaliato
«Inquietante». Questo l'aggettivo col quale Roberto Fiore, il presidente nazionale di Forza Nuova, aveva bollato la doppia decisione della prefettura di Caserta di vietare sia la manifestazione organizzata a Castelvolturno dal suo partito (prevista giovedì scorso), sia quella dei partiti politici che compongono l'amministrazione comunale del paese litoraneo (escluso il partito democratico), che si sarebbe dovuta tenere oggi con partenza da piazza Domenico Noviello. Eppure le sue dichiarazioni durante la conferenza stampa che si è tenuta regolarmente ieri nella sala comunale del municipio di Castelvolturno alle 12 non sono certo servite a rasserenare il clima nel centro domiziano, surriscaldato dal giorno della commemorazione delle sei vittime africane della camorra (lo scorso 18 settembre) e che tende giorno dopo giorno ad alzare l'asticella dello scontro fra istituzioni locali, partiti politici, associazioni e immigrati. «A Castelvolturno, ha detto il presidente Roberto Fiore durante il suo intervento, c'è la più alta concentrazione che nel resto d'Italia delle cosiddette tre C del male: camorra, clandestini e comunisti. E Forza Nuova costituirà in zona a breve dei comitati popolari per la liberazione del territorio». Fra curiosi e simpatizzanti del partito di estrema destra, nella sala comunale si contavano circa cinquanta persone, che hanno accolto con fragorosi applausi sia gli interventi dei militanti di Forza Nuova, sia quelli del sindaco del posto, Antonio Scalzone, e di alcuni suoi assessori, intervenuti alla conferenza stampa. «Siamo compiaciuti dell'attenzione che Forza Nuova ha mostrato al nostro martoriato territorio», ha sottolineato in apertura del suo intervento il primo cittadino del luogo, Scalzone. Il quale subito dopo ha tenuto a ribadire (come fatto nel volantino che annunciava la manifestazione vietata dalla prefettura) che Castelvolturno non è un paese razzista, e che, in ogni caso, spetta alle istituzioni della repubblica intervenire in zona per reprimere ogni forma d'illegalità. Ma Forza Nuova appare particolarmente decisa nel suo intervento di costituire in zona i cosiddetti «gruppi popolari di resistenza e libertà». «Durante la conferenza stampa - ha fatto sapere Antonio Michele Giliberti, il segretario regionale di Forza Nuova - quattro persone di Castelvolturno hanno sottoscritto la tessera del partito. Dalle loro adesioni, partirà il processo necessario per costituire un nucleo di militanti, che nel tempo massimo di un paio di mesi porterà alla creazione della prima sede di Forza Nuova del litorale Domizio. E si tratterà - ha concluso Giliberti - di un vero e proprio avamposto di libertà contro la camorra, i clandestini e i comunisti». Ha resistito a oltre venti anni di devastazione socioeconoica, il litorale domizio resisterà anche agli "avamposti di libertà" di Forza Nuova. © RIPRODUZIONE RISERVATA
venerdì 1 ottobre 2010
Anna & Anna, fra passato, presente e futuro della loro vita e qulla della Romania
Anna ha ventotto anni e vive in un piccolo appartamento al centro di Timisoara nei pressi di piazza Unirii. E’ carina, ben vestita, capelli biondi appena pettinati dal parrucchiere, e un make up deciso. Studia economia all’università cittadina, ma più che fare conti e analizzare indici di mercato le piacerebbe diventare una cantante di successo. Intanto, è sostenuta economicamente dalla famiglia che abita a Bucarest. Suo padre era un burocrate del vecchio regime dittatoriale di Ceausescu. Oggi fa l’immobiliarista; negli anni’90 ha fatto una fortuna comprando il diritto alla restituzione degli immobili da mano degli eredi di quei romeni emigrati o esiliati subito dopo l’ascesa del regime socialista e che avevano dovuto abbandonare le proprie case (immobili che entrarono a far parte del patrimonio statale). Con l’avvento della democrazia in Romania fu deciso di restituire questi immobili ai legittimi proprietari; ma solo una piccola parte di loro è tornata in patria per gestire i beni. Quasi tutti hanno venduto i propri diritti a faccendieri romeni che gestivano spesso capitali stranieri. Quasi tutti hanno ricavato poco denaro. Chi ha acquisito i diritti, al contrario, ci ha fatto sopra una montagna di soldi.
Anna ha ventotto anni e vive insieme al marito e ai loro tre figli a sei chilometri da Timisoara, in un vecchio condominio dell’edilizia socialista di fronte a un’imponente fabbrica di zucchero abbandonata. I sacrifici di una vita di stenti e sacrifici si avvertono tutti sul suo volto, che sembra quello di una donna che si avvicina ai cinquanta anni. Non ha un’istruzione. Si occupa esclusivamente della casa e dei figli, e appena i lavori domestici glielo consentono, si reca in un piccolo spazio di terra abbandonato che si trova nei pressi del suo “block” grigio. Qui, un po’ tutta la gente del posto ha ricavato dei piccoli spazi dove coltivare le verdure che portano sulle loro tavole. I suoi genitori vivono in un villaggio di campagna ad un ora di autobus, in una casa che sembra tirata su con mattoni fatti di fango e sterco di animali. Il bagno è esterno: una casupola di legno con un buco nel centro del pavimento.
Anna nel portafogli ha la carta di credito e il bancomat del suo conto corrente; e ha anche una carta di prelievo data dai genitori. Da questa può prelevare fino a seicento euro al mese. Per i suoi acquisti si reca al “Mall”, un fantasmagorico centro commerciale sorto qualche anno fa nei pressi di piazza dell’Opera (dove nacque la rivolta dell’’89) che per maestosità e per la cura dei materiali utilizzati per la struttura ha poco da invidiare a quelli presenti nei Paesi occidentali. All’interno. Peraltro, ci sono insegne dei negozi simili a quelle presenti in Italia, Francia Stati Uniti: (Zara, Benetton, solo per citarne alcune). Nella profumeria c’è un’offerta sugli smalti. Anna ne approfitta e ne compra di tutti i colori presenti.
Anna ha una sola borsa; è di pelle nera. Le fu regalata il giorno del suo matrimonio da sua cugina che vive a Torvajanica. Quando va a fare spesa nel piccolo negozietto sotto casa non la porta con sé, per non sciuparla. Compra una bottiglia di latte, una confezione di carta igienica, del detersivo per lavare i panni, sei uova, del pane, un chilo di farina, spende quattro euro e settanta. C’è una buona offerta sulle confezioni di croiassant, ma non li compra. Il marito lavora in un’officina meccanica e guadagna duecentotrenta euro al mese. Con uno stipendio del genere, la sua famiglia non si può permettere i cornetti a colazione, neanche se sono in offerta. Peraltro, oggi è giorno lavorativo, e il marito seppure indossa la tuta da lavoro alle 11 è ancora in cucina. E’ seduto con la sedia rivolta verso il muro, fuma sigarette nazionali e beve caffè nero.
Anna non è preoccupata del taglio degli stipendi degli statali del 20%, né dell’aumento dell’iva del 5% decisi entrambi dal governo lo scorso giungo e entrati in vigore ad agosto per venire in contro alle richieste del fondo monetario. È certa che le cose da un punto di vista economico e sociale per il suo Paese riprenderanno a viaggiare sostenute nel breve periodo. E che questi piccoli sacrifici serviranno a fare un po’ di pulizia e selezione di tutti quegli imprenditori arrembanti (soprattutto stranieri) che in Romania dalla caduta del regime ad oggi hanno solo speculato.
Anna è terrorizzata dalle decisioni economiche prese dal suo governo. Crede che le aziende private si adegueranno presto a quelle pubbliche e che il già misero stipendio del marito si ridurrà ancora di più nei prossimi mesi. A novembre la temperatura atmosferica a Timisoara arriverà come ogni anno vicino allo zero termico. E nelle case, soprattutto dove ci sono i bambini, ci sarà bisogno di calore (di molto calore). I suoi genitori per riscaldarsi utilizzano la legna dei boschi. Lei, in appartamento deve necessariamente affidarsi alla rete condominiale. E se non pagherà regolarmente le bollette, gli operai della ditta di fornitura energetica ci metteranno un solo giorno a distaccare il servizio.
Anna non ci pensa affatto di lasciare la sua città per andare a vivere all’estero. Non comprende la scelta di cinque milioni di suoi connazionali (sul totale di ventidue) che negli ultimi venti anni hanno scelto la via dell’emigrazione. Lei viaggia spesso fra l’Australia, Stati Uniti e l’Europa occidentale, dove ha numerosi amici. Ma torna sempre a Timisoara, perché questa e la sua città e qui vuole vivere e sognare.
Anna non sogna più da tempo, e forse non lo ha mai fatto. Emigrerebbe anche oggi stesso per un qualsiasi altro Paese che non fosse il suo. Ma non sa come potrebbe farlo, né cosa fare all’estero. Non consoce lingue straniere, non sa come varcare le frontiere. In ogni caso, ha paura di non essere all’altezza della situazione e di finire ancora peggio che nel suo block grigio. “La Romania è nella comunità europea da tre anni, e non ci sono più le frontiere?” Non ne è al corrente; lei non è mai andata oltre la fabbrica di zucchero abbandonata, se non per disbrigare pratiche burocratiche negli uffici pubblici del centro di Timisoara.
Anna è stata lo scorso luglio ospite di alcuni amici italiani a Forte dei Marmi. Qui ha mangiato in maniera divina e ha passato delle lunghissime giornate a mare. Mentre ad agosto è stata con il fidanzato e dei connazionali sulle sponde del lago di Garda per una vacanza all’insegna del relax.
Anna ricorda quando da piccola insieme alla sua famiglia poteva fare un solo viaggio d’estate ogni tre anni. L’escursione era organizzata e imposta dal governo socialista, e la meta era sempre La stessa: il mare di Costanza. Da quando in Romania c’è la democrazia chiunque può scegliere dove e quando andare in vacanza. Eppure, Anna sono circa venti anni che non va più in vacanza.
Anna nutre molte speranze per la sua Romania
Anna non ha alcuna speranza né per sé, né per il suo Paese: futuro che non sente, o forse, che non ha mai sentito suo.
giovedì 30 settembre 2010
Ordine pubblico vietato il corteo di Forza Nuova
30/09/2010
Vincenzo Ammaliato
Gli aderenti al partito di estrema destra dovranno trovare un’altra strada e un altro comune per dire «no alla camorra, all’immigrazione clandestina e ai comunisti». La prefettura di Caserta ha espresso il diniego alla manifestazione organizzata da Forza Nuova che era prevista per questa sera lungo la via Domiziana a Castelvolturno. «Per ragioni di ordine pubblico e sicurezza», si legge nella missiva della prefettura. Che peraltro ha suggerito agli organizzatori di spostare la manifestazione nel capoluogo, a Caserta. «Non avrebbe lo stesso valore simbolico», ha fatto sapere, però, Antonio Michele Ciliberti, segretario regionale di Forza Nuova. Questa sera, quindi, per la Domiziana sarà un normale giovedì sera. Mentre sabato prossimo a sfilare lungo l’arteria litoranea sono attesi i sostenitori del sindaco del posto, Antonio Scalzone, che insieme ai partiti politici che compongono l’amministrazione comunale da lui retta (escluso il Partito democratico) sta organizzando un evento sul tema «contro la camorra, la mafia nigeriana, l’immigrazione clandestina e lo spaccio di droga». E siccome lo slogan è molto simile a quello adottato da Forza Nuova, i militanti del partito neofascista hanno fatto sapere che si adegueranno al diniego della prefettura di Caserta ma prenderanno parte a questa manifestazione. «Saremo a Castelvolturno sabato prossimo - ha annunciato il coordinatore Ciliberti - e resteremo a lungo sul territorio domizio per dare vita al primo nucleo popolare di resistenza. Perché sentiamo forte il bisogno di liberare Castelvolturno». © RIPRODUZIONE RISERVATA
Vincenzo Ammaliato
Gli aderenti al partito di estrema destra dovranno trovare un’altra strada e un altro comune per dire «no alla camorra, all’immigrazione clandestina e ai comunisti». La prefettura di Caserta ha espresso il diniego alla manifestazione organizzata da Forza Nuova che era prevista per questa sera lungo la via Domiziana a Castelvolturno. «Per ragioni di ordine pubblico e sicurezza», si legge nella missiva della prefettura. Che peraltro ha suggerito agli organizzatori di spostare la manifestazione nel capoluogo, a Caserta. «Non avrebbe lo stesso valore simbolico», ha fatto sapere, però, Antonio Michele Ciliberti, segretario regionale di Forza Nuova. Questa sera, quindi, per la Domiziana sarà un normale giovedì sera. Mentre sabato prossimo a sfilare lungo l’arteria litoranea sono attesi i sostenitori del sindaco del posto, Antonio Scalzone, che insieme ai partiti politici che compongono l’amministrazione comunale da lui retta (escluso il Partito democratico) sta organizzando un evento sul tema «contro la camorra, la mafia nigeriana, l’immigrazione clandestina e lo spaccio di droga». E siccome lo slogan è molto simile a quello adottato da Forza Nuova, i militanti del partito neofascista hanno fatto sapere che si adegueranno al diniego della prefettura di Caserta ma prenderanno parte a questa manifestazione. «Saremo a Castelvolturno sabato prossimo - ha annunciato il coordinatore Ciliberti - e resteremo a lungo sul territorio domizio per dare vita al primo nucleo popolare di resistenza. Perché sentiamo forte il bisogno di liberare Castelvolturno». © RIPRODUZIONE RISERVATA
No al racket, prime 10 adesioni
28/09/2010
Vincenzo Ammaliato.
Per il momento sono soltanto in dieci. Ma per una zona come quella di Castel Volturno dove la gente per sopravvivere ogni giorno deve fare a pugni con la stessa quotidianità un tale numero di commercianti che ha deciso di fare il salto del fosso, di uscire allo scoperto e fondare la prima associazione del litorale domizio antiracket è un grosso segnale di speranza. Appena fino a due anni fa qui l'ala stragista del clan retto dall'ergastolano Domenico Bidognetti teneva sotto scacco qualsiasi tipo di attività commerciale (comprese quelle illecite). E chi si rifiutava di pagare il pizzo veniva minacciato e malmenato, nei migliori dei casi. Da oggi, invece, anche sul litorale domizio c'è chi apertamente dice «no» a qualsiasi forma di pressione e condizionamento malavitoso. Sono stati gli stessi Tano Grasso e Silvana Fucito (rispettivamente, presidente nazionale e responsabile del coordinamento campano della federazione antiracket Italiane) a comunicare la nascita dell'associazione di Castelvolturno. Il suo nome è «Associazione Domenico Noviello», apertamente ispirato al commerciante trucidato barbaramente a Baia Verde dal killer Peppe Setola e dai suoi gregari nel maggio del 2008. Dell'associazione fa parte anche il figlio del titolare della scuola guida che nel 2001 aveva avuto il coraggio di denunciare il racket, Massimo Noviello. Eppure, Castelvolturno aveva già avuto una precedente esperienza legata all'antiracket. Nel 2006 l'amministrazione Nuzzo firmò una convenzione con un'associazione che avrebbe dovuto coordinare i commercianti della zona nella lotta al pizzo. Quel tentativo si rilevò, però, assolutamente infruttuoso. Quali sono le speranza per Tano Grasso affinché questa nuova associazione antiracket possa avere maggiore fortuna? «Perché in questo caso, sottolinea il presidente della Fai, si tratta di un'associazione formata esclusivamente da commercianti del territorio; in pratica è autogestita, con un proprio presidente e un proprio direttivo. Peraltro, ha aggiunto Grasso, gli associati fondatori vengono tutti già da un precedente percorso di denuncia al racket che ha portato all'arresto di una banda di taglieggiatori. E per far parte dell'associazione è necessario che i commercianti non abbiano alcuna macchia, perché le nuove richieste di adesione vengono inviate alla procura e alle forze dell'ordine per una preliminare valutazione». la presentazione dell'associazione sarà fatta il mese prossimo in una sala dell'Holiday Inn di Castelvolturno. «la data non è ancora certa, fa sapere Tano Grasso, perché all'evento ci tiene a essere presente anche il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano. E attendiamo sue indicazioni. In ogni caso, la presentazione sarà fatta non oltre la terza settimana di ottobre». Pochi giorni, quindi, e anche sulla Domiziana sarà posta un'importante pietra per la lunga battaglia al crimine organizzato e il recupero della piena legalità. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Vincenzo Ammaliato.
Per il momento sono soltanto in dieci. Ma per una zona come quella di Castel Volturno dove la gente per sopravvivere ogni giorno deve fare a pugni con la stessa quotidianità un tale numero di commercianti che ha deciso di fare il salto del fosso, di uscire allo scoperto e fondare la prima associazione del litorale domizio antiracket è un grosso segnale di speranza. Appena fino a due anni fa qui l'ala stragista del clan retto dall'ergastolano Domenico Bidognetti teneva sotto scacco qualsiasi tipo di attività commerciale (comprese quelle illecite). E chi si rifiutava di pagare il pizzo veniva minacciato e malmenato, nei migliori dei casi. Da oggi, invece, anche sul litorale domizio c'è chi apertamente dice «no» a qualsiasi forma di pressione e condizionamento malavitoso. Sono stati gli stessi Tano Grasso e Silvana Fucito (rispettivamente, presidente nazionale e responsabile del coordinamento campano della federazione antiracket Italiane) a comunicare la nascita dell'associazione di Castelvolturno. Il suo nome è «Associazione Domenico Noviello», apertamente ispirato al commerciante trucidato barbaramente a Baia Verde dal killer Peppe Setola e dai suoi gregari nel maggio del 2008. Dell'associazione fa parte anche il figlio del titolare della scuola guida che nel 2001 aveva avuto il coraggio di denunciare il racket, Massimo Noviello. Eppure, Castelvolturno aveva già avuto una precedente esperienza legata all'antiracket. Nel 2006 l'amministrazione Nuzzo firmò una convenzione con un'associazione che avrebbe dovuto coordinare i commercianti della zona nella lotta al pizzo. Quel tentativo si rilevò, però, assolutamente infruttuoso. Quali sono le speranza per Tano Grasso affinché questa nuova associazione antiracket possa avere maggiore fortuna? «Perché in questo caso, sottolinea il presidente della Fai, si tratta di un'associazione formata esclusivamente da commercianti del territorio; in pratica è autogestita, con un proprio presidente e un proprio direttivo. Peraltro, ha aggiunto Grasso, gli associati fondatori vengono tutti già da un precedente percorso di denuncia al racket che ha portato all'arresto di una banda di taglieggiatori. E per far parte dell'associazione è necessario che i commercianti non abbiano alcuna macchia, perché le nuove richieste di adesione vengono inviate alla procura e alle forze dell'ordine per una preliminare valutazione». la presentazione dell'associazione sarà fatta il mese prossimo in una sala dell'Holiday Inn di Castelvolturno. «la data non è ancora certa, fa sapere Tano Grasso, perché all'evento ci tiene a essere presente anche il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano. E attendiamo sue indicazioni. In ogni caso, la presentazione sarà fatta non oltre la terza settimana di ottobre». Pochi giorni, quindi, e anche sulla Domiziana sarà posta un'importante pietra per la lunga battaglia al crimine organizzato e il recupero della piena legalità. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Un «calcetto» per battere barriere e indifferenza
24/09/2010
Vincenzo Ammaliato
Immigrati contro italiani sul litorale domizio. Ma in questo caso non è l’ennesima cronaca fatta di integralismi, esasperazione e incomprensioni. Anzi. Per dieci giorni si sperimenterà una nuova forma di aggregazione: una forma sferica. Partirà oggi al Centro Fernandes il primo campionato di calcetto di Castelvolturno, dove a contendersi il torneo saranno quattro squadre di italiani e sei di immigrati. Organizzato dalla rete antirazzista di Caserta, le squadre che prenderanno parte al singolare campionato sono espressione delle numerose Chiese del litorale. Oltre ai calciatori della Chiesa cattolica, si sono iscritti anche quelli della Chiesa avventista, di quella pentecostale e di quella evangelica. Mentre da Destra Volturno, a scendere in campo saranno gli atleti della locale moschea. Il fischio d’inizio è per stasera alle 19. Appuntamento per la finale il 4 ottobre, stesso orario. Peccato, solo, che fra le squadre che si contenderanno il campionato manchi una formata dai politici locali; probabilmente, o non saranno stati avvisati, o saranno seriamente impegnati a guidare il paese.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Vincenzo Ammaliato
Immigrati contro italiani sul litorale domizio. Ma in questo caso non è l’ennesima cronaca fatta di integralismi, esasperazione e incomprensioni. Anzi. Per dieci giorni si sperimenterà una nuova forma di aggregazione: una forma sferica. Partirà oggi al Centro Fernandes il primo campionato di calcetto di Castelvolturno, dove a contendersi il torneo saranno quattro squadre di italiani e sei di immigrati. Organizzato dalla rete antirazzista di Caserta, le squadre che prenderanno parte al singolare campionato sono espressione delle numerose Chiese del litorale. Oltre ai calciatori della Chiesa cattolica, si sono iscritti anche quelli della Chiesa avventista, di quella pentecostale e di quella evangelica. Mentre da Destra Volturno, a scendere in campo saranno gli atleti della locale moschea. Il fischio d’inizio è per stasera alle 19. Appuntamento per la finale il 4 ottobre, stesso orario. Peccato, solo, che fra le squadre che si contenderanno il campionato manchi una formata dai politici locali; probabilmente, o non saranno stati avvisati, o saranno seriamente impegnati a guidare il paese.
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