lunedì 20 giugno 2011

Lacrime, dolore e rabbia. L'addio alla piccola Mary




18/06/2011

Sfiorata la rissa fra i ghanesi. accuse alla moglie del padre


Vincenzo Ammaliato La bara bianca col corpicino di Mary Morad, la bambina di sette anni uccisa sabato 11 giugno mentre giocava nel cortile di casa sua, arriva nel quartiere degli immigrati africani di Destra Volturno con oltre due ore di ritardo. Ad atternderla all’esterno della moschea dell’Imam Kamal, oltre a un deciso sole ci sono un paio di centinaia di persone. Sono quasi tutti extracomunitari delle domiziana. Di italiani ce ne sono pochi. Sotto i porticati della moschea c’è Bose Akta, la mamma naturale di Mary. Piange e si dispera. «I need my Mary» (ho bisogno della mia Mary) – dice come una cantilena. A venti metri di distanza c’è una seconda donna che anche lei porta sul volto i chiari segni di chi da una settimana non riesce a darsi pace per la drammatica fine della bambina. Si chiama Edith, è la seconda moglie del papà di Mary, peraltro incinta di due mesi. È seduta sotto i portici di un condominio accanto alla moschea; qui trova riparo dal sole, che a Destra Volturno in questa giornata di dolore picchia decisamente forte, ma non dalle invettive di due amiche di mamma Bose, che l’accusano di non essere riuscita a proteggere Mary, di essere responsabile della drammatica fine della bambina. Il suo pianto, a questo punto, si trasforma in scoramento; Edith quasi sviene. Probabilmente saranno i sensi di colpa, perché Mary era sotto la sua custodia quando si è verificata la tragedia. Il papà non era in Italia sabato scorso. Era volato in Africa per lavoro. Lui, Victor Morad, tornato appena due giorni fa, arriva alla moschea di Destra Volturno con l’auto che trasporta il feretro della bambina. Veste un abito tradizionale del continente nero. È visibilmente sotto choc. Sembra non avere neanche più la forza di piangere. Alcuni suoi connazionali lo aiutano a scendere dalla macchina e lo accompagnano nel piccolo luogo di culto dei musulmani, dove si ritira in un angolo per pregare, e qui restarà per tutto il resto dei funerali. All’esterno della moschea, invece, ricomincia un delirio. Gli immigrati mettono in scena una sommossa molto simile a quella di sabato scorso, quando bloccarono per qualche minuto l’autombulanza che trasportava il corpo di Mary. Si crea la ressa attorno all’auto funebre. Gli uomini di colore litigano fra loro, si spingono, urlano come invasati. Qualcuno viene anche alle mani. E non si capisce il motivo per il quale lo facciano, o almeno non riesce a farlo chi non conosce a fondo la cultura e le tradizioni africane. Un immigrato spiega che è il forte dolore che li spinge a comportarsi in questo modo. In pratica, è un retaggio ancestrale tipico delle comunità subsahariana. Anche i poliziotti, arrivati in borghese a Destra Volturno per i funerali. Cercano di calamre gli animi. L’imam finalmente a fatica riesce a convincere i suoi connazionali a creare un cordone sull’asfalto, proprio di fronte la moschea. La bara bianca è tirata fuori dall’auto e adagiata a terra, in direzione della Mecca. Può iniziare il momento di preghiera, che si completa dopo quindici minuti. Il feretro di Mary trova di nuovo spazio nell’auto e inizia il corteo che lo porterà al cimitero, sulla statale per Capua. Una volta giunti sul posto, riprendono gli scontri fra gli immigrati, che durano fino alla tumulazione della bara. Subito dopo, nel nuovo cimitero di Castel Volturno il silenzio più totale. Il dolore degli immigrati pare resti a questo punto sigillato nel fondo dei loro cuori. Mary, invece, viene seppellita nella città dove è vissuta fino a sette anni, prima di finire ammazzata da Osuf, ora in carcere per pagare la sua follia. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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