29/08/2008
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«Dal momento dell’attentato, ogni giorno che passa sia io, sia mia moglie lo consideriamo un nuovo regalo di Dio». Sanno di essere miracolati i coniugi Egowmwan, gli immigrati nigeriani scampati a un vero e proprio raid di morte lo scorso 19 agosto. Quella sera nel cortile della loro casa di via Cesare Battisti, a Castelvolturno, furono colpiti entrambi in più parti del corpo dalle schegge dei quaranta bossoli esplosi dalle pistole e dai mitra che impugnavano quattro ignoti sicari, ma solo di striscio. I colpi furono esplosi ad altezza d’uomo, ma non hanno ucciso nessuno delle cinque persone presenti lì in quel momento. E se la matrice dell’attentato è di chiaro stampo camorristico, sul movente che ha spinto i sicari a compiere l’agguato gli inquirenti non hanno alcuna certezza. Poco credibile risulta essere la versione fornita da Teddy Egowmwan, secondo cui a commissionare il blitz sia stata una sua connazionale con cui avrebbe litigato per futili motivi qualche mese fa. A indagare è ancora la Procura di Santa Maria Capua Vetere. Il caso non è passato alla Dda in quanto il movente non è stato ancora definito compiutamente. Intanto, le forze dell’ordine hanno invitato Teddy e la famiglia a lasciare, per ragioni di sicurezza, per qualche giorno il territorio. Adesso sono ospitati da alcuni connazionali in un paese a nord di Napoli tenuto segreto. Ma il ruolo di Teddy Egowmawan nella comunità nigeriana, che rappresenta attraverso un’associazione regionale, non convince ancora del tutto gli inquirenti. Anche le ronde antiprostituzione organizzate un paio di settimane prima dell’attentato sono sotto la lente degli investigatori. Il presidente dell’associazione dei nigeriani ha organizzato, infatti, squadre di connazionali con il compito di liberare la via Domiziana dalla prostituzione (usando spesso anche le maniere forti contro le lucciole sorprese sui marciapiedi) ma non ha mai denunciato alle forze dell’ordine alcuna madame. Eppure il presidente Egowmwan conosce bene molte connazionali che organizzano i giri di prostituzione. Ogni madame guadagna circa centomila euro l’anno: un ottimo business che fa gola a tanti sulla Domiziana.
venerdì 29 agosto 2008
lunedì 25 agosto 2008
le domande senza risposta degli scout di milano
14/08/2008
sono giovani, curiosi e pongono domande imbarazzanti per la gente del posto. È il gruppo di scout della diocesi di Milano che da una settimana è ospite del Centro Fernades di Castelvolturno. Loro sono una trentina di ragazzi tra i quindici e i venti anni che hanno deciso di trascorrere le proprie vacanze estive anziché sulla riviera adriatica o quella spagnola (come è di moda fra i loro coetanei) sul litorale domizio. E girando fra le varie località del paese osservano e fanno domande. Per chi vive in zona da sempre è diventato quasi normale accettare determinate situazioni del territorio che sono al limite della legalità o che addirittura la superano. In pratica, si è come assuefatti, ci si è fatto il callo. Per gli scout di Milano, è ovviamente diverso. Fra le tante domande che pongono ai loro accompagnatori, chiedono soprattutto: «Come è possibile che ci sono trenta chilometri di costa e non sono accessibili se non a pagamento? Come mai ci sono quindici chilometri di pineta e sono interamente recintate e non accessibili? Come mai non è possibile entrare in una delle più importanti oasi naturalistiche d'Italia, l'Oasi dei Variconi? Come mai in zona è stato fatto un tale scempio edilizio e nessuno ha mai pagato?» Vincenzo Ammaliato
sono giovani, curiosi e pongono domande imbarazzanti per la gente del posto. È il gruppo di scout della diocesi di Milano che da una settimana è ospite del Centro Fernades di Castelvolturno. Loro sono una trentina di ragazzi tra i quindici e i venti anni che hanno deciso di trascorrere le proprie vacanze estive anziché sulla riviera adriatica o quella spagnola (come è di moda fra i loro coetanei) sul litorale domizio. E girando fra le varie località del paese osservano e fanno domande. Per chi vive in zona da sempre è diventato quasi normale accettare determinate situazioni del territorio che sono al limite della legalità o che addirittura la superano. In pratica, si è come assuefatti, ci si è fatto il callo. Per gli scout di Milano, è ovviamente diverso. Fra le tante domande che pongono ai loro accompagnatori, chiedono soprattutto: «Come è possibile che ci sono trenta chilometri di costa e non sono accessibili se non a pagamento? Come mai ci sono quindici chilometri di pineta e sono interamente recintate e non accessibili? Come mai non è possibile entrare in una delle più importanti oasi naturalistiche d'Italia, l'Oasi dei Variconi? Come mai in zona è stato fatto un tale scempio edilizio e nessuno ha mai pagato?» Vincenzo Ammaliato
sabato 23 agosto 2008
«Hanno sparato a Teddy perché vogliono il pizzo»
21/08/2008
Si indaga anche sulle minacce e i riti voodoo Sullo sfondo la mafia nera dei «Rapaci»
VINCENZO AMMALIATO La camorra casalese al primo posto. E i quattro uomini del commando, dei quali alcune telecamere hanno inquadrato i caschi integrali e le maglie. Poi, il ruolo di Teddy, una sorta di capo spirituale della comunità nigeriana, interlocutore «istituzionale» di sindaci e assessori ma anche dei clan dei Mazzoni, mediatore dei conflitti tra le tribù del suo paese, autorità riconosciuta anche da chi non è del suo paese. Infine le mafie africane, e le vendette affidate alla magia nera. Gli investigatori del commissariato di Castelvolturno non escludono nessuna pista, privilegiando quella dell’avvertimento degli scissionisti bidognettiani che pretendono anche dai nigeriano il pagamento di tangenti e analizzando con attenzione il racconto fornito dai coniugi Egowmwan durante il lungo interrogatorio di martedì. Teddy e la moglie Alice hanno denunciato ai poliziotti, infatti, di essere stati minacciati da una loro connazionale, che li ha accusati di essere confidenti delle forze dell’ordine, pochi mesi prima dell’agguato di lunedì. «La mia connazionale - ha riferito Teddy Egowmwan ai poliziotti, ha un fidanzato italiano che conosce molte persone legate alla malavita del posto. Quasi certamente è stato lui a commissionare il raid punitivo». Ma come è possibile che sia stato un litigio nato per banali motivi a far entrare in azione mitra e pistole a solo cento metri dalla caserma di carabinieri e duecento dal commissariato? Il commando di via Cesare Battisti ha agito per compiere una strage. I colpi dei ventotto bossoli ritrovati dalla scientifica sul posto sono stati sparati ad altezza uomo e solo per puro caso nessuna delle persone presenti nel cortile della casa bianca prefabbricata ha perso la vita. In ogni caso, sotto la lente degli inquirenti ci sono anche i rapporti fra la mafia locale e quella d’importazione. Si stanno riaprendo vecchi fascicoli. Si cerca di recuperare quante più informazioni possibili sulla misteriosa e poco conosciuta cupola della mafia nigeriana, i cosiddetti «The Eye» (i rapaci). Di loro si parlò a Castelvolturno due anni fa, quando fu trovato un immigrato nigeriano privo di sensi sulla via Domiziana. L’extracomunitario aveva escoriazioni e traumi in più parti del corpo e un taglio da lama nella zona scrotale. Fu salvato dai medici della clinica e raccontò ai carabinieri di essere stato rapito e malmenato proprio dai «Rapaci»: i mafiosi del suo Paese lo minacciavano e pretendevano la tangente sui suoi affari. Ma si indaga anche sui numerosi negozi presenti sulla via Domiziana gestiti da nigeriani. Pagano tutti fitto molto alti rispetto ai prezzi di mercato del posto, ma non fanno grossi affari. E Teddy Egowmwan e la moglie dicono di rifornire queste attività grazie alla loro attività di import-export di generi alimentari africani. Intanto, il sindaco Francesco Nuzzo, ha scritto al ministro dell’Interno chiedendo maggiore attenzione per il suo territorio: «Siamo giunti a un livello di percezione di insicurezza che è diventato insopportabile, tanto che la malavita del posto appare incontrastabile. Questo sentimento è rafforzato dal fatto che i malviventi che stanno imperversando sul territorio compiono le loro malefatte sfidando apertamente le forze dell’ordine e attaccando i simboli della lotta al crimine. È necessario per Castelvolturno integrare le forze dell’ordine».
Si indaga anche sulle minacce e i riti voodoo Sullo sfondo la mafia nera dei «Rapaci»
VINCENZO AMMALIATO La camorra casalese al primo posto. E i quattro uomini del commando, dei quali alcune telecamere hanno inquadrato i caschi integrali e le maglie. Poi, il ruolo di Teddy, una sorta di capo spirituale della comunità nigeriana, interlocutore «istituzionale» di sindaci e assessori ma anche dei clan dei Mazzoni, mediatore dei conflitti tra le tribù del suo paese, autorità riconosciuta anche da chi non è del suo paese. Infine le mafie africane, e le vendette affidate alla magia nera. Gli investigatori del commissariato di Castelvolturno non escludono nessuna pista, privilegiando quella dell’avvertimento degli scissionisti bidognettiani che pretendono anche dai nigeriano il pagamento di tangenti e analizzando con attenzione il racconto fornito dai coniugi Egowmwan durante il lungo interrogatorio di martedì. Teddy e la moglie Alice hanno denunciato ai poliziotti, infatti, di essere stati minacciati da una loro connazionale, che li ha accusati di essere confidenti delle forze dell’ordine, pochi mesi prima dell’agguato di lunedì. «La mia connazionale - ha riferito Teddy Egowmwan ai poliziotti, ha un fidanzato italiano che conosce molte persone legate alla malavita del posto. Quasi certamente è stato lui a commissionare il raid punitivo». Ma come è possibile che sia stato un litigio nato per banali motivi a far entrare in azione mitra e pistole a solo cento metri dalla caserma di carabinieri e duecento dal commissariato? Il commando di via Cesare Battisti ha agito per compiere una strage. I colpi dei ventotto bossoli ritrovati dalla scientifica sul posto sono stati sparati ad altezza uomo e solo per puro caso nessuna delle persone presenti nel cortile della casa bianca prefabbricata ha perso la vita. In ogni caso, sotto la lente degli inquirenti ci sono anche i rapporti fra la mafia locale e quella d’importazione. Si stanno riaprendo vecchi fascicoli. Si cerca di recuperare quante più informazioni possibili sulla misteriosa e poco conosciuta cupola della mafia nigeriana, i cosiddetti «The Eye» (i rapaci). Di loro si parlò a Castelvolturno due anni fa, quando fu trovato un immigrato nigeriano privo di sensi sulla via Domiziana. L’extracomunitario aveva escoriazioni e traumi in più parti del corpo e un taglio da lama nella zona scrotale. Fu salvato dai medici della clinica e raccontò ai carabinieri di essere stato rapito e malmenato proprio dai «Rapaci»: i mafiosi del suo Paese lo minacciavano e pretendevano la tangente sui suoi affari. Ma si indaga anche sui numerosi negozi presenti sulla via Domiziana gestiti da nigeriani. Pagano tutti fitto molto alti rispetto ai prezzi di mercato del posto, ma non fanno grossi affari. E Teddy Egowmwan e la moglie dicono di rifornire queste attività grazie alla loro attività di import-export di generi alimentari africani. Intanto, il sindaco Francesco Nuzzo, ha scritto al ministro dell’Interno chiedendo maggiore attenzione per il suo territorio: «Siamo giunti a un livello di percezione di insicurezza che è diventato insopportabile, tanto che la malavita del posto appare incontrastabile. Questo sentimento è rafforzato dal fatto che i malviventi che stanno imperversando sul territorio compiono le loro malefatte sfidando apertamente le forze dell’ordine e attaccando i simboli della lotta al crimine. È necessario per Castelvolturno integrare le forze dell’ordine».
«Le ronde? Lo faccio per le nostre donne»
20/08/2008
VINCENZO AMMALIATO Rispetta la consegna del silenzio, non accenna alla denuncia fatta alla polizia, non dice nulla dei suoi sospetti né della videocassetta con le minacce. Prova a smentire il collegamento tra il raid di lunedì sera e la sua attività sulla Domiziana: «Le ronde anti-prostituzione? Non credo che abbiano a che fare con l’agguato. Almeno lo spero. Anche se è l’ultima cosa di cui mi sono occupato, e lo faccio per le nostre donne.....». Teddy Egonwmwan e la moglie Alice Imaswen sono appena tornati dal commissariato, sotto choc per la sparatoria, i segni dei proiettili addosso, e scartano l’ipotesi che il commando sia entrato in azione lunedì sera in via Battisti per punire chi si oppone al racket della prostituzione. Non riescono a dare una matrice alternativa al raid che ha rischiato di uccidere loro e i tre amici dell’associazione nigeriani, che erano sul terrazzo della loro abitazione. Scartano però anche la rappresaglia razzista, alla quale per la verità non crede nessuno, perché i due, che vivono a Castelvolturno da quasi vent’anni, sono per metà nigeriani e per metà italiani. E non resta, quindi, che l’impegno per la legalità, l’amicizia con le forze dell’ordine, la collaborazione con lo Stato ogni volta che è stato richiesto: proprio come dicono i connazionali, come lo accusano le madames della prostituzione. I coniugi Egowmwan (nelle foto a destra), come tanti altri connazionali, arrivarono in Italia da clandestini. Durò poco. Teddy trovò lavoro in un’azienda edile, il permesso di soggiorno per lui e per la moglie arrivò qualche mese dopo. Alice si diede al commercio di oggetti africani, aprì un negozio a Baia Verde che ha resistito fino a pochi mesi fa, quando la donna ha ceduto l’attività per dedicarsi a tempo pieno all’impresa di famiglia: l’import-export di prodotti alimentari africani. Teddy, invece, si occupato da sempre di politica. Sette anni fa fondò, a Castelvolturno, la Edo Community, un’associazione che conta fra i suoi iscritti circa duemila immigrati provenienti tutti dalla stessa regione della Nigeria, quella di Benin City (solo a Castelvolturno sono circa mille gli immigrati con regolare permesso di soggiorno provenienti da questa città). Due anni fa, poi, aveva cercato di allargare la base degli iscritti, fondando l’associazione dei nigeriani in Campania. Ma ha ottenuto meno fortuna. Cinque anni fa era stato eletto anche nel consiglio provinciale degli immigrati. Di lui, Antonio Casale, direttore del centro Fernandes di Castelvolturno, segnala l’instancabile lavoro in favore dei connazionali. «Numerose volte - dice - abbiamo messo a disposizione della Edo Community e dell’associazione nigeriani in Campania le sale della nostra struttura». Ma tra le associazioni di Teddy e la Caritas non è nata mai alcuna progettualità comune.
Nelle foto di Frattari, la villetta di Teddy teatro dell’agguato di lunedì sera
Cantiere aperto e sicurezza negata sul lido autogestito
18/08/2008
I bus di linea hanno la fermata all’ingresso Fermi da mesi i lavori di recupero
Affissi alla rete che sormonta i blocchi di cemento che prima dell’estate impedivano l’accesso al tratto di costa, ci sono ancora tutti i cartelli dei cantieri edili. Proprio in prossimità del varco che permette l’entrata sull’arenile, poi, ci sono due piccoli segnali circolari che indicano vietano l’accesso. Eppure sulla spiaggia non c’è alcun mezzo meccanico, né operai sudati intenti a lavorare. Su questo tratto di costa, quello compreso tra Fontana Bleu e la Cittadella, fino ad un paio di mesi fa erano in corso i lavori di recupero dell’area predisposti dal commissariato straordinario di governo. Adesso ci sono solo i cartelli che vietano l’ingresso e centinaia di bagnanti provenienti dalle province di Napoli e Caserta che se ne infischiano e che ogni giorno scelgono questo tratto di spiaggia per trascorrere una giornata a mare. Qui, al confine fra le località di Pinetamare e Ischitella, c’è il capolinea della compagnia casertana dei trasporti, ma anche quello dell’Anm e dell’Atan. Qui approdano tutte quelle persone che non vogliono o che non possono spendere quindici, venti euro o anche più per un giorno di mare. Qui si trova il pittoresco quadro dell’Italia anni 70, quella che partiva per i lidi con la frittata di maccheroni e il vino rosso a sacco. Qui si trova una sorta di melting pot balneare, dove in cento metri di spiaggia è possibile ascoltare almeno una dozzina di lingue diverse. Qui si trova, purtroppo, anche la morte. Negli ultimi dieci anni sono almeno una dozzina le persone annegate in questo fazzoletto di costa. Eppure queste tragedie non hanno mai destato particolare sdegno, restando solo fonte per le statistiche; forse perché sia attori, sia comparse di questi drammi estivi sono stati quasi sempre immigrati. Appena ieri il mare ha restituito il corpo dell’ultima vittima, un giovane marocchino inghiottito dal mare venti ore prima. Nessun bagnino aveva potuto intercettare la sua richiesta d’aiuto. Nessun cartello indicava, all’ingresso dell’arenile, che la spiaggia non era sorvegliata e che era sprovvista di qualsiasi sistema di sicurezza. Qui otto giorni fa è stato lanciato un altro allarme annegamento, ma le ricerche non hanno dato alcun esito. C’è addirittura il dubbio che si sia potuto trattare del gesto di un burlone, oppure davvero l’acqua del mare della spiaggia libera di Fontana Bleu custodisce con avarizia sul suo fondo il corpo di un uomo annegato? Un bagnante fantasma per una spiaggia fantasma. Intanto la guardia costiera di Castelvolturno ha fatto sapere di aver invitato ufficialmente più volte quest’estate sia il commissariato di governo, sia il Comune di Castelvolturno a mettere in sicurezza la spiaggia libera di Ischitella, ma non ha avuto ancora alcuna risposta. vi.am.
La spiaggia libera «autogestita» tra Fontana Bleu e la Cittadella
I bus di linea hanno la fermata all’ingresso Fermi da mesi i lavori di recupero
Affissi alla rete che sormonta i blocchi di cemento che prima dell’estate impedivano l’accesso al tratto di costa, ci sono ancora tutti i cartelli dei cantieri edili. Proprio in prossimità del varco che permette l’entrata sull’arenile, poi, ci sono due piccoli segnali circolari che indicano vietano l’accesso. Eppure sulla spiaggia non c’è alcun mezzo meccanico, né operai sudati intenti a lavorare. Su questo tratto di costa, quello compreso tra Fontana Bleu e la Cittadella, fino ad un paio di mesi fa erano in corso i lavori di recupero dell’area predisposti dal commissariato straordinario di governo. Adesso ci sono solo i cartelli che vietano l’ingresso e centinaia di bagnanti provenienti dalle province di Napoli e Caserta che se ne infischiano e che ogni giorno scelgono questo tratto di spiaggia per trascorrere una giornata a mare. Qui, al confine fra le località di Pinetamare e Ischitella, c’è il capolinea della compagnia casertana dei trasporti, ma anche quello dell’Anm e dell’Atan. Qui approdano tutte quelle persone che non vogliono o che non possono spendere quindici, venti euro o anche più per un giorno di mare. Qui si trova il pittoresco quadro dell’Italia anni 70, quella che partiva per i lidi con la frittata di maccheroni e il vino rosso a sacco. Qui si trova una sorta di melting pot balneare, dove in cento metri di spiaggia è possibile ascoltare almeno una dozzina di lingue diverse. Qui si trova, purtroppo, anche la morte. Negli ultimi dieci anni sono almeno una dozzina le persone annegate in questo fazzoletto di costa. Eppure queste tragedie non hanno mai destato particolare sdegno, restando solo fonte per le statistiche; forse perché sia attori, sia comparse di questi drammi estivi sono stati quasi sempre immigrati. Appena ieri il mare ha restituito il corpo dell’ultima vittima, un giovane marocchino inghiottito dal mare venti ore prima. Nessun bagnino aveva potuto intercettare la sua richiesta d’aiuto. Nessun cartello indicava, all’ingresso dell’arenile, che la spiaggia non era sorvegliata e che era sprovvista di qualsiasi sistema di sicurezza. Qui otto giorni fa è stato lanciato un altro allarme annegamento, ma le ricerche non hanno dato alcun esito. C’è addirittura il dubbio che si sia potuto trattare del gesto di un burlone, oppure davvero l’acqua del mare della spiaggia libera di Fontana Bleu custodisce con avarizia sul suo fondo il corpo di un uomo annegato? Un bagnante fantasma per una spiaggia fantasma. Intanto la guardia costiera di Castelvolturno ha fatto sapere di aver invitato ufficialmente più volte quest’estate sia il commissariato di governo, sia il Comune di Castelvolturno a mettere in sicurezza la spiaggia libera di Ischitella, ma non ha avuto ancora alcuna risposta. vi.am.
La spiaggia libera «autogestita» tra Fontana Bleu e la Cittadella
domenica 10 agosto 2008
Castelvolturno, ronde anti-prostitute
28.7.08 È un gruppo formato da una ventina di persone. Appaiono particolarmente determinati e risoluti nel risolvere una volta per tutte il problema della prostituzione di colore che si consuma tutti i giorni e le notti sulla via Domiziana a Castelvolturno. Una zona ormai tristemente famosa non solo per la presenza di numerose prostitute, moltissime delle quali extracomunitarie o dell’est europeo, ma anche per lo spaccio della droga. E spesso i due fenomeni «viaggiano» insieme. In alcuni casi, per raggiungere lo scopo della singolare missione questi giovani non esitano ad utilizzare anche metodi violenti e da squadristi. Affrontano le ragazze di Benin City che vendono sesso ai clienti italiani lungo i marciapiedi della strada litoranea brandendo fascine di rami secchi e cinture dei pantaloni, ma non si tratta di giovani bulli annoiati o di razzisti di periferia: sono connazionali delle stesse lucciole. È l'associazione «Immigrati Nigeriani in Campania» che ha iniziato da un paio di giorni nel territorio di Castelvolturno una vera e propria crociata contro le prostitute nigeriane. E per riuscirci hanno organizzato delle vere e proprie ronde. Appena individuata una prostituta di colore inchiodano le autovetture ed escono velocemente dagli abitacoli circondandola. Urlano e minacciano la donna «Lascia la strada o farai una brutta fine» le dicono. E in alcuni casi partono anche calci e ceffoni. «Proviamo ormai da molti anni a dialogare con queste nostre sorelle che sbagliano e che gettano discredito sull'intera comunità di nigeriani, ma finora non abbiamo ottenuto alcun risultato» ha detto Teddy Egonwman, il presidente dell'associazione dei nigeriani. «Dobbiamo aiutare le forze dell'ordine e le istituzioni italiane - ha continuato il presidente dell'associazione - a liberare una volta per tutta la via Domiziana dalla prostituzione, e se serve useremo anche le maniere forti». Brutta aria, quindi, per le prostitute nigeriane della Domiziana. (Vincenzo Ammaliato, Il Mattino, www.ilmattino.it)
venerdì 8 agosto 2008
Castelvolturno, l’unica associazione anti-pizzo del territorio chiude per le vacanze: «Richiameremo a settembre»
08/08/2008
VINCENZO AMMALIATO «Io non pago il pizzo e denuncio chi me lo chiede». Ma dopo le ferie. Potrebbe essere questo il titolo di questa estate del litorale domizio. Lo slogan che invita i commercianti di Castelvolturno a opporsi al racket è dell’assoiazione Alilacco - l’unica per la verità operante nella zona - che due anni fa stipulò una convenzione con il Comune per aiutare gli operatori economici della zona a uscire dalla morsa del pizzo. «Sarà una novità culturale per il territorio e una spinta provocatoria contro l’omertà di chi pensa che nulla si può fare e si nasconde dietro l’impegno delle istituzioni delegando la propria personale responsabilità, facendo finta di non essere coinvolto». Roboanti le parole del presidente dell’Alilacco, Amleto Frosi, pronunciate alla presentazione del progetto in una sala comunale stracolma di gente. Peccato che dei famosi adesivi che invitano a non cedere alle vessazioni del racket girando fra le vie del paese litoraneo non se ne veda neanche uno affisso alle finestre dei negozi e delle aziende. Peccato che al numero verde messo a disposizione dei commercianti per denunciare la camorra (800-406600) risponda da qualche giorno una segreteria telefonica che invita a lasciare nome e recapiti telefonici con la promessa fatta agli interlocutori di essere ricontattati a settembre. Insomma, dopo le ferie. Peccato anche che i killer della Domiziana, a loro volta, non vadano in ferie e continuino «a punire» chi non rispetta le regole da loro imposte. Come non vanno in ferie i signori del pizzo. Oltre alla lunga scia di sangue che si protrae dallo scorso novembre a Castelvolturno (dieci morti ammazzati riconducibili alla banda della Domiziana), non si contano ormai più le saracinesche e i portoncini delle attività commerciali della zona colpiti di notte da scariche di pallettoni. Pressioni intimidatorie contro gli imprenditori e i commercianti della zona. Ma tornando all’assocaizione che dovrebbe aiutare i commercianti, lo stesso primo cittadino Francesco Nuzzo, dice di non essere al corrente dell’operato dell’Alilacco. «La convenzione prevede che l’associazione del presidente Frosi si occupi lei stessa di ogni aspetto», dice il sindaco. Mentre il presidente della Proloco di Castelvolturno, Vincenzo Martino, addirittura fa sapere di non essere mai stato contattato dall’Alilacco: «Né in qualità di dirigente della Proloco, che fra i suoi associati conta circa trenta commercianti (a Castelvolturno non esistono associazioni locali di categoria affiliate ad Ascom o Confesercenti, ndr) - dice Martino - né come proprietario della pizzeria che gestisco da trent’anni in zona con la mia famiglia». Fino allo scorso anno gli operatori economici della Domiziana avevano paura della camorra e dei suoi emissari; da un anno questo sentimento si è trasformato in terrore. E questo sentimento è rilevato anche da Martino, il quale denuncia che dal prossimo settembre «almeno la metà dei commercianti di Pinetamare (la zona che dovrebbe essere la più fiorente da un punto di vista commerciale del litorale domizio, ndr) chiuderà i battenti, perché stufa di tutti i condizionamenti ambientali e criminali che è costretta a subire». Insomma, una resa dovuta non solo alla crisi economica del settore ma all’emergenza criminalità che strangola questo territorio.
VINCENZO AMMALIATO «Io non pago il pizzo e denuncio chi me lo chiede». Ma dopo le ferie. Potrebbe essere questo il titolo di questa estate del litorale domizio. Lo slogan che invita i commercianti di Castelvolturno a opporsi al racket è dell’assoiazione Alilacco - l’unica per la verità operante nella zona - che due anni fa stipulò una convenzione con il Comune per aiutare gli operatori economici della zona a uscire dalla morsa del pizzo. «Sarà una novità culturale per il territorio e una spinta provocatoria contro l’omertà di chi pensa che nulla si può fare e si nasconde dietro l’impegno delle istituzioni delegando la propria personale responsabilità, facendo finta di non essere coinvolto». Roboanti le parole del presidente dell’Alilacco, Amleto Frosi, pronunciate alla presentazione del progetto in una sala comunale stracolma di gente. Peccato che dei famosi adesivi che invitano a non cedere alle vessazioni del racket girando fra le vie del paese litoraneo non se ne veda neanche uno affisso alle finestre dei negozi e delle aziende. Peccato che al numero verde messo a disposizione dei commercianti per denunciare la camorra (800-406600) risponda da qualche giorno una segreteria telefonica che invita a lasciare nome e recapiti telefonici con la promessa fatta agli interlocutori di essere ricontattati a settembre. Insomma, dopo le ferie. Peccato anche che i killer della Domiziana, a loro volta, non vadano in ferie e continuino «a punire» chi non rispetta le regole da loro imposte. Come non vanno in ferie i signori del pizzo. Oltre alla lunga scia di sangue che si protrae dallo scorso novembre a Castelvolturno (dieci morti ammazzati riconducibili alla banda della Domiziana), non si contano ormai più le saracinesche e i portoncini delle attività commerciali della zona colpiti di notte da scariche di pallettoni. Pressioni intimidatorie contro gli imprenditori e i commercianti della zona. Ma tornando all’assocaizione che dovrebbe aiutare i commercianti, lo stesso primo cittadino Francesco Nuzzo, dice di non essere al corrente dell’operato dell’Alilacco. «La convenzione prevede che l’associazione del presidente Frosi si occupi lei stessa di ogni aspetto», dice il sindaco. Mentre il presidente della Proloco di Castelvolturno, Vincenzo Martino, addirittura fa sapere di non essere mai stato contattato dall’Alilacco: «Né in qualità di dirigente della Proloco, che fra i suoi associati conta circa trenta commercianti (a Castelvolturno non esistono associazioni locali di categoria affiliate ad Ascom o Confesercenti, ndr) - dice Martino - né come proprietario della pizzeria che gestisco da trent’anni in zona con la mia famiglia». Fino allo scorso anno gli operatori economici della Domiziana avevano paura della camorra e dei suoi emissari; da un anno questo sentimento si è trasformato in terrore. E questo sentimento è rilevato anche da Martino, il quale denuncia che dal prossimo settembre «almeno la metà dei commercianti di Pinetamare (la zona che dovrebbe essere la più fiorente da un punto di vista commerciale del litorale domizio, ndr) chiuderà i battenti, perché stufa di tutti i condizionamenti ambientali e criminali che è costretta a subire». Insomma, una resa dovuta non solo alla crisi economica del settore ma all’emergenza criminalità che strangola questo territorio.
il caso
08/08/2008
All’indomani del barbaro omicidio del loro genitore non avevano voluto rilasciare alcuna dichiarazione pubblica. Non presero parte neanche alla manifestazione in ricordo del padre organizzata dal sindaco di Castelvolturno, Francesco Nuzzo. Stretti nel loro lacerante dolore fecero sapere solo che a breve avrebbero lasciato per sempre il territorio. L’autoscuola Mimmo è stata aperta fino a qualche giorno fa. Adesso è chiusa ufficialmente per le ferie estive, ma dal prossimo settembre a tirare su la saracinesca dell’autoscuola del parco Sementini sarà una nuova gestione. I figli di Mimmo Noviello, l’uomo giustiziato dai killer della banda camorristica della Domiziana lo scorso maggio perché cinque anni fa denunciò i suoi aguzzini, hanno quindi lasciato definitivamente Castelvolturno. Hanno abbandonato un territorio che sembra ostaggio di quel crimine organizzato che gestisce in zona interi settori economici. Addirittura, sembra, che oltre a vessare i commercianti e gli operatori economici, i malavitosi che imperversano sul litorale stiano pretendendo il pagamento di una sorta di tangente anche da parte dei proprietari delle abitazioni che sono oggetto di ristrutturazione. E la somma da pagare, ovviamente, cresce in base al tipo di cantiere che è stato aperto. In pratica, il piombo piovuto negli ultimi dieci mesi a Castelvolturno non sarebbe altro che il chiaro segnale della forza dei nuovi «padroni»: nessuno si deve opporre alla leggi da loro imposte. C’è un sottile filo rosso che lega i quattro agguati mortali avvenuti a Castelvolturno lo scorso novembre (un romeno trovato morto a Baia Verde, un ventitreenne ucciso a Pinetamare, un cittadino italiano d’origine rom e un suo amico di Giugliano crivellati di colpi al centro storico) e il duplice omicidio dei cittadini albanesi avvenuto lo scorso lunedì a Destra Volturno. Gli inquirenti non hanno dati certi, ma gli omicidi dovrebbero avere tutti la stessa matrice. Vale a dire: persone condannate senza appello dal tribunale della camorra perché ritenute autori di furti e rapine subite dai commercianti che in zona godono della «protezione» della malavita. Persone ammazzate quasi tutte in pieno giorno e in luoghi frequentati da molta gente. Il messaggio che lancia la camorra della Domiziana deve essere quanto più chiaro e plateale possibile. A giorni i cittadini di Castelvolturno porteranno in processione la statua della Madonna del Mare, il prossimo 15 agosto. Tutti in paese quel giorno festeggeranno. Il giorno dopo inizierà la conta dei giorni che mancano alla chiusura dell’estate e si tireranno le somme di una stagione calda non solo meteorologicamente. E qualche altro castellano, probabilmente, prenderà l’esempio dei figli di Mimmo Novielllo. Andandosene. vi.am.
All’indomani del barbaro omicidio del loro genitore non avevano voluto rilasciare alcuna dichiarazione pubblica. Non presero parte neanche alla manifestazione in ricordo del padre organizzata dal sindaco di Castelvolturno, Francesco Nuzzo. Stretti nel loro lacerante dolore fecero sapere solo che a breve avrebbero lasciato per sempre il territorio. L’autoscuola Mimmo è stata aperta fino a qualche giorno fa. Adesso è chiusa ufficialmente per le ferie estive, ma dal prossimo settembre a tirare su la saracinesca dell’autoscuola del parco Sementini sarà una nuova gestione. I figli di Mimmo Noviello, l’uomo giustiziato dai killer della banda camorristica della Domiziana lo scorso maggio perché cinque anni fa denunciò i suoi aguzzini, hanno quindi lasciato definitivamente Castelvolturno. Hanno abbandonato un territorio che sembra ostaggio di quel crimine organizzato che gestisce in zona interi settori economici. Addirittura, sembra, che oltre a vessare i commercianti e gli operatori economici, i malavitosi che imperversano sul litorale stiano pretendendo il pagamento di una sorta di tangente anche da parte dei proprietari delle abitazioni che sono oggetto di ristrutturazione. E la somma da pagare, ovviamente, cresce in base al tipo di cantiere che è stato aperto. In pratica, il piombo piovuto negli ultimi dieci mesi a Castelvolturno non sarebbe altro che il chiaro segnale della forza dei nuovi «padroni»: nessuno si deve opporre alla leggi da loro imposte. C’è un sottile filo rosso che lega i quattro agguati mortali avvenuti a Castelvolturno lo scorso novembre (un romeno trovato morto a Baia Verde, un ventitreenne ucciso a Pinetamare, un cittadino italiano d’origine rom e un suo amico di Giugliano crivellati di colpi al centro storico) e il duplice omicidio dei cittadini albanesi avvenuto lo scorso lunedì a Destra Volturno. Gli inquirenti non hanno dati certi, ma gli omicidi dovrebbero avere tutti la stessa matrice. Vale a dire: persone condannate senza appello dal tribunale della camorra perché ritenute autori di furti e rapine subite dai commercianti che in zona godono della «protezione» della malavita. Persone ammazzate quasi tutte in pieno giorno e in luoghi frequentati da molta gente. Il messaggio che lancia la camorra della Domiziana deve essere quanto più chiaro e plateale possibile. A giorni i cittadini di Castelvolturno porteranno in processione la statua della Madonna del Mare, il prossimo 15 agosto. Tutti in paese quel giorno festeggeranno. Il giorno dopo inizierà la conta dei giorni che mancano alla chiusura dell’estate e si tireranno le somme di una stagione calda non solo meteorologicamente. E qualche altro castellano, probabilmente, prenderà l’esempio dei figli di Mimmo Novielllo. Andandosene. vi.am.
Occhi ciechi
il caso
Cento passi. Questa la distanza fra il bar Cubana, dove sono stati assassinati lunedì sera i due immigrati albanesi, e uno dei trenta impianti di videosorveglianza installati dalla Forestale da circa tre mesi nel territorio di Castelvolturno. L’impianto della litoranea di Destra Volturno è dotato di quattro telecamere; una di queste sembra puntare dritto proprio sul bar Cubana. Le forze dell’ordine, però, non potranno avvalersi delle registrazioni delle sue registrazioni perché l’intero sistema non è ancora operativo. Sono mastodontici gli impianti di videosorveglianza di Castelvolturno. Sono stati installati da Ischitella a Pescopagano. Uno di questi si trova nella piazza dove lo scorso maggio fu barbaramente assassinato il commerciante Domenico Noviello, massacrato per vendetta dalla camorra dopo che negli anni scorsi aveva denunciato i suoi estorsori. Neppure per il delitto di Baia Verde quegli «occhi ciechi» sono stati utili agli inquirenti. Un altro è all’interno di Pinetamare. Ce n’è uno in ogni rotonda della via Domiziana. Chi percorrere il territorio litoraneo ha come l’impressione di trovarsi in un grande set cinematografico, con l’occhio del grande fratello sempre vigile. Ma gli obiettivi digitali sono tutti ciechi. O quantomeno filmano la vita di Castelvolturno e quella dei suoi fruitori, ma non la registrano. Quindi sono praticamente inutilizzabili dalle forze dell’ordine a scopo investigativo. Inutilizzabili anche per dare una mano alle indagini dei carabinieri che stanno seguendo il caso dei due abanesi trucidati l’altroieri sera. Così come inutile si è rivelata la telecamera posta sulla piazza di Baia Verde il giorno che è stato ammazzato il commerciante che denunciò il racket. Ieri pomeriggio gli adolescenti di Destra Volturno arrivavano a frotte a dorso nudo a bordo dei loro scooter nei pressi del bar Cubana per vedere i fori dei bossoli sparati dai killer. Bramavano far parte, almeno per una volta, dei film e telefilm polizieschi che seguono a centinaia in tivvù. Volevano essere per una volta i protagonisti dei videogiochi che li tengono interi pomeriggi incollati alle consolle. Ma le telecamere che li riprendevano non potevano immortalarli nel mondo digitale. Perché, semplicemente, erano spente. intano, i killer della Domiziana ringraziano
vi.am.
Cento passi. Questa la distanza fra il bar Cubana, dove sono stati assassinati lunedì sera i due immigrati albanesi, e uno dei trenta impianti di videosorveglianza installati dalla Forestale da circa tre mesi nel territorio di Castelvolturno. L’impianto della litoranea di Destra Volturno è dotato di quattro telecamere; una di queste sembra puntare dritto proprio sul bar Cubana. Le forze dell’ordine, però, non potranno avvalersi delle registrazioni delle sue registrazioni perché l’intero sistema non è ancora operativo. Sono mastodontici gli impianti di videosorveglianza di Castelvolturno. Sono stati installati da Ischitella a Pescopagano. Uno di questi si trova nella piazza dove lo scorso maggio fu barbaramente assassinato il commerciante Domenico Noviello, massacrato per vendetta dalla camorra dopo che negli anni scorsi aveva denunciato i suoi estorsori. Neppure per il delitto di Baia Verde quegli «occhi ciechi» sono stati utili agli inquirenti. Un altro è all’interno di Pinetamare. Ce n’è uno in ogni rotonda della via Domiziana. Chi percorrere il territorio litoraneo ha come l’impressione di trovarsi in un grande set cinematografico, con l’occhio del grande fratello sempre vigile. Ma gli obiettivi digitali sono tutti ciechi. O quantomeno filmano la vita di Castelvolturno e quella dei suoi fruitori, ma non la registrano. Quindi sono praticamente inutilizzabili dalle forze dell’ordine a scopo investigativo. Inutilizzabili anche per dare una mano alle indagini dei carabinieri che stanno seguendo il caso dei due abanesi trucidati l’altroieri sera. Così come inutile si è rivelata la telecamera posta sulla piazza di Baia Verde il giorno che è stato ammazzato il commerciante che denunciò il racket. Ieri pomeriggio gli adolescenti di Destra Volturno arrivavano a frotte a dorso nudo a bordo dei loro scooter nei pressi del bar Cubana per vedere i fori dei bossoli sparati dai killer. Bramavano far parte, almeno per una volta, dei film e telefilm polizieschi che seguono a centinaia in tivvù. Volevano essere per una volta i protagonisti dei videogiochi che li tengono interi pomeriggi incollati alle consolle. Ma le telecamere che li riprendevano non potevano immortalarli nel mondo digitale. Perché, semplicemente, erano spente. intano, i killer della Domiziana ringraziano
vi.am.
Castelvolturno, identificate le vittime del duplice omicidio di lunedì sera: sono due albanesi con piccoli precedenti
06/08/2008
da Il Mattino
VINCENZO AMMALIATO Quindici colpi per Dani Zyber, venticinque per Artur Kazani. È stato quasi sicuramente il tribunale della camorra a sentenziare la morte per i due immigrati albanesi caduti lunedì sera a Castelvolturno; e i killer hanno eseguito la condanna in maniera particolarmente efferata e plateale. La pioggia di piombo è esplosa poco prima delle 23, incurante della folla di gente che transitava in quel momento sulla consortile della località castellana. Dani Zyber, 39 anni, proveniente dalla cittadina albanese di Buquize, è stato il primo a cadere. I killer lo hanno sorpreso seduto a un tavolino del bar Cubana, mentre consumava una birra. Era da solo. È stato avvicinato di spalle e senza avere neanche il tempo di girarsi gli è stata esplosa al capo una quindicina di colpi. Il suo amico, Artur Kazani, 36 anni, originario di una cittadina a nord dell’Albania, Gjorice, ha notato i killer e si è reso conto di quello che stava accadendo quando si trovava a circa quindici metri dal bar. Stava raggiungendo il locale a piedi e ha cercato di scappare, ma è stato raggiunto e freddato alle spalle. È stato poi finito anche lui con alcuni colpi di pistola esplosi al capo. Accurate indagini per i carabinieri di Mondragone, che stanno seguendo il caso, per risalire all’esatta dinamica dell’agguato. Nonostante le numerose persone che certamente erano presenti sul posto al momento della sparatoria, nesssuno ha collaborato con le forze dell’ordine. A quanto pare, nessuno ha visto né sentito niente. I militari dell’Arma, addirittura non sanno ancora neanche il numero esatto dei killer (ma stando ai bossoli, rinvenuti si ipotizza che fossero almeno tre, forse cinque). Incerto anche se siano arrivati sulla consortile di Destra Volturno a bordo di moto, in auto, o addirittura, come si suppone, a piedi. Eppure, durante i rilievi della scientifica (che sono proseguiti fino a notte fonda), a seguire le operazioni ai bordi della strada c’erano non meno di duecento curiosi. Ma le difficoltà delle forze dell’ordine non si fermano alla dinamica dei fatti. Complicato anche risalire al movente del blitz di morte. I due immigrati, hanno fatto sapere gli inquirenti, non risultano essere organici ad alcuna banda criminale. Hanno entrambi dei piccoli precedenti penali, ma pare che non abbiano mai fatto parte di organizzazioni illegali tipiche degli immigrati albanesi. Né sfruttamento della prostituzione, né assalti in villa, quindi, per loro. «Almeno, così sembrerebbe», ha detto il comandante della compagnia carabinieri di Mondragone, Barone. «Per capirci di più - ha continuato l’ufficiale - stiamo scavando nella loro vita, alla ricerca di qualsiasi indizio utile alle indagini. Ma finora siamo in un vicolo cieco». A coordinare l’inchiesta il pm di Santa Maria Capua Vetere Patrizia Dongiacomo. I due immigrati vivevano in due diverse case del territorio; entrambi si trovavano in condizioni al limite della miseria: quello stato di disagio tipico in cui si trovano gli extracomunitari dell’ultimo anello sociale della zona. Abitavano in abitazioni dalle mura annerite dalla muffa, prive di sistema fognario e con infissi divelti dalla salsedine. I killer della camorra, a quanto pare, sono entrati in azione per punire chi voleva ritagliarsi uno spazio autonomo nelle attività illegali del litorale (droga, prostituzione, racket); oppure, nei confronti di una coppia di personaggi «borderline», che tirava avanti sulla Domiziana navigando a vista e camminando sul sottile filo della legalità-illegalità o che aveva rifiutato di pagare il dazio ai clan che controllano il territorio.
da Il Mattino
VINCENZO AMMALIATO Quindici colpi per Dani Zyber, venticinque per Artur Kazani. È stato quasi sicuramente il tribunale della camorra a sentenziare la morte per i due immigrati albanesi caduti lunedì sera a Castelvolturno; e i killer hanno eseguito la condanna in maniera particolarmente efferata e plateale. La pioggia di piombo è esplosa poco prima delle 23, incurante della folla di gente che transitava in quel momento sulla consortile della località castellana. Dani Zyber, 39 anni, proveniente dalla cittadina albanese di Buquize, è stato il primo a cadere. I killer lo hanno sorpreso seduto a un tavolino del bar Cubana, mentre consumava una birra. Era da solo. È stato avvicinato di spalle e senza avere neanche il tempo di girarsi gli è stata esplosa al capo una quindicina di colpi. Il suo amico, Artur Kazani, 36 anni, originario di una cittadina a nord dell’Albania, Gjorice, ha notato i killer e si è reso conto di quello che stava accadendo quando si trovava a circa quindici metri dal bar. Stava raggiungendo il locale a piedi e ha cercato di scappare, ma è stato raggiunto e freddato alle spalle. È stato poi finito anche lui con alcuni colpi di pistola esplosi al capo. Accurate indagini per i carabinieri di Mondragone, che stanno seguendo il caso, per risalire all’esatta dinamica dell’agguato. Nonostante le numerose persone che certamente erano presenti sul posto al momento della sparatoria, nesssuno ha collaborato con le forze dell’ordine. A quanto pare, nessuno ha visto né sentito niente. I militari dell’Arma, addirittura non sanno ancora neanche il numero esatto dei killer (ma stando ai bossoli, rinvenuti si ipotizza che fossero almeno tre, forse cinque). Incerto anche se siano arrivati sulla consortile di Destra Volturno a bordo di moto, in auto, o addirittura, come si suppone, a piedi. Eppure, durante i rilievi della scientifica (che sono proseguiti fino a notte fonda), a seguire le operazioni ai bordi della strada c’erano non meno di duecento curiosi. Ma le difficoltà delle forze dell’ordine non si fermano alla dinamica dei fatti. Complicato anche risalire al movente del blitz di morte. I due immigrati, hanno fatto sapere gli inquirenti, non risultano essere organici ad alcuna banda criminale. Hanno entrambi dei piccoli precedenti penali, ma pare che non abbiano mai fatto parte di organizzazioni illegali tipiche degli immigrati albanesi. Né sfruttamento della prostituzione, né assalti in villa, quindi, per loro. «Almeno, così sembrerebbe», ha detto il comandante della compagnia carabinieri di Mondragone, Barone. «Per capirci di più - ha continuato l’ufficiale - stiamo scavando nella loro vita, alla ricerca di qualsiasi indizio utile alle indagini. Ma finora siamo in un vicolo cieco». A coordinare l’inchiesta il pm di Santa Maria Capua Vetere Patrizia Dongiacomo. I due immigrati vivevano in due diverse case del territorio; entrambi si trovavano in condizioni al limite della miseria: quello stato di disagio tipico in cui si trovano gli extracomunitari dell’ultimo anello sociale della zona. Abitavano in abitazioni dalle mura annerite dalla muffa, prive di sistema fognario e con infissi divelti dalla salsedine. I killer della camorra, a quanto pare, sono entrati in azione per punire chi voleva ritagliarsi uno spazio autonomo nelle attività illegali del litorale (droga, prostituzione, racket); oppure, nei confronti di una coppia di personaggi «borderline», che tirava avanti sulla Domiziana navigando a vista e camminando sul sottile filo della legalità-illegalità o che aveva rifiutato di pagare il dazio ai clan che controllano il territorio.
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