lunedì 18 aprile 2011

I killer di Setola hanno diviso la mia famiglia


18/04/2011
(foto Salvatore Marcello)
Parente di una delle vittime rimasto solo: "Mia moglie è andata via per paura".Vincenzo Ammaliato
«Loro hanno avuto quello che meritavano. Noi, no». La notizia che i killer che gli hanno ucciso il nipote e altri cinque amici sono stati condannati all’ergastolo non è riuscita a rasserenarlo. Il suo primo commento è stato laconico e intriso di tristezza. Lui abita nell’appartamento che si trova sopra la sartoria etnica di Castelvolturno dove il 18 settembre del 2008 c’è stato l’eccidio dei sei immigrati ghanesi. Il suo nome è Sthephan Agawi. Il nipote, Julius Kuami, fu trucidato sull’uscio della sartoria Ob Ob Fashion, freddato sotto i porticati dell’immobile. Da quel giorno Stephan non riesce più a trovare pace, e non solo per la mancanza del nipote. «La sentenza del tribunale – sottolinea – non spiega con chiarezza a noi familiari e amici delle vittime, il motivo per cui quel gruppo di malviventi ha ucciso con tanta cattiveria». Ma Peppe Setola e i suoi killer a Stephan non hanno portato via soltanto il nipote e cinque cari amici. Nel momento preciso della strage lui si trovava in casa insieme a sua moglie Irina (d’origine Russa) e la loro figlioletta di otto anni, Lilian. Vivevano tutti insieme in quell’appartamento da quando era nata la bambina. Stephan cura i giardini di molte ville della zona; la moglie era casalinga e di tanto faceva delle giornate di lavoro extra nelle cucine dei ristoranti del litorale. La figlioletta, invece, frequentava la scuola pubblica del Lago Patria. «Il rumore dei colpi d’arma esplosi dalle armi, le urla di dolore, e poi la visione di tutto quel sangue grondante sui corpi dei nostri cari stesi a terra, crivellati di colpi – ricorda Stephan – non li potrò mai scordare. E soprattutto, mia moglie non riuscirà mai farlo». La consorte di Stephan, infatti, pochi giorni dopo la strage del settembre del 2008, in preda a un forte e comprensibile choc lasciò Castelvolturno e l’Italia e fece ritorno in Russia. Con sé portò anche la piccola Lilinan. «Era terrorizzata – spiega Stephan – mi giurò che in Italia non avrebbe più rimesso piede. E io non posso raggiungerla». L’immigrato giardiniere, infatti, da quando è in Italia, da circa tredici anni, non è mai riuscito a regolarizzare la sua posizione di clandestino. Peraltro, nel 2006 fu fermato a bordo di un motorino, sprovvisto di assicurazione e senza la patente di giuda. Per questo ha subito un processo e la relativa condanna. Il precedente penale, quindi, non gli permette di regolarizzare la sua posizione, né di viaggiare. La banda del killer cieco, quindi, in quel maledetto 18 settembre oltre ad aver spezzato le vite di sei giovani immigrati ha anche diviso forse per sempre una famiglia. «Anche io - dice Stephan con dolore - nel settembre del 2008 sono stato ammazzato. Anche io sono stato condannato all’ergastolo». © RIPRODUZIONE RISERVATA

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